Per l’ennesima volta il Parlamento degli Usa ha perso l’occasione per mettere un limite alla vendita di armi sul mercato estero come su quello interno. Qualche giorno fa è stata la Camera dei Rappresentanti a bloccare un provvedimento che avrebbe fermato la vendita di cluster bombs (bombe a frammentazione) all’Arabia Saudita, che le usa nello Yemen. Ieri è toccato al Senato dividersi sui progetti di legge per ridurre la facilità con cui i cittadini americani possono armarsi fino ai denti. I repubblicani hanno votato contro i democratici, i democratici contro i repubblicani. E addio.

Il dibattito, ovviamente, si era aperto dopo la strage di Orlando, dove Omar Mateen, 30 anni, nato a New Hyde Park nello Stato di New York, di professione guardia giurata, aveva sterminato 49 persone in un locale per gay servendosi di un fucile semi-automatico Sig Sauer e di una pistola semi-automatica Glock. Mateen aveva proclamato la propria fedeltà al verbo dell’Isis ma era anche un frequentatore di chat e locali gay.

Quel che vale la pena notare è che il dibattito al Senato ha rivelato tutta la difficoltà degli Usa nel fronteggiare due fenomeni (lotta al terrorismo, lotta alle stragi interne) che hanno alcune dinamiche in comune. Democratici e repubblicani, infatti, hanno bloccato pure la proposta di vietare la vendita di armi a coloro che sono sulla Terrorist watch list; la proposta (sponsorizzata dalla National Rifle Association, grande padrina del diritto ad acquistare e portare armi) di dare tre giorni di tempo a un giudice per decidere se la persona ritrovata sulla Terrorist watch list può essere autorizzata a comprare un’arma; la proposta di allertare l’Fbi nel momento in cui una persona inserita sulla Terrorist watch list prova ad acquistare un’arma.

Per capire la portata della questione, bisogna spendere due parole su questa famosa Lista. La Terrorist watch list fu introdotta nel 2003 nell’ambito dei provvedimenti per la sicurezza nazionale dopo gli attentati dell’11 Settembre. Sulla lista, gestita dall’Fbi, finiscono “those known or reasonably suspected of being involved in terrorist activity”, cioè gli “individui noti per il loro coinvolgimento o ragionevolmente sospettabili di coinvolgimento in attività terroristiche”. Dal punto di vista ufficiale questo è quanto. La Lista è ovviamente segreta e i criteri con cui viene composta anche. Si è molto dibattuto, negli Usa, sulla sua ammissibilità ma anche esperti di organizzazioni per i diritti civili ”liberal” si sono pronunciati a favore.

Il problema, però, non è capire se la Lista violi o no i diritti civili ma se funzioni, se abbia senso. E su questo i dubbi sono molti. Ci possono aiutare le non molte notizie che sono comunque trapelate. In primo luogo: la Lista contiene oggi circa un milione di nomi (erano più di 800 mila a fine 2014) dei quali, pare, solo poche migliaia sono di cittadini americani. Il che costituisce un primo punto critico: un sospettato di terrorismo (per non parlare di chi è coinvolto) non otterrà mai il visto per gli Usa. E comunque le stragi dell’11 Settembre furono perpetrate senza usare armi da fuoco. D’altra parte, la Lista pare essere quasi inutile se lo scopo è impedire a un qualunque cittadino americano di armarsi e compiere una strage. Il caso dello stragista di Orlando, Omar Mateen, è tipico: fu indagato dall’Fbi nel 2013 e nel 2014 proprio per le sue esternazioni violente ma lo stesso non finì sulla Lista. Due anni dopo ha ammazzato 49 persone. E lo stesso vale per Siyed Rizwan Farouk e Tashfeen Malik, i coniugi stragisti di San Bernardino (California).

Si può pensare: be’, se invece Mateen fosse stato sulla lista… E invece no. Quando una persona inserita nella Terrorist watch list cerca di acquistare un’arma, scattano ovviamente gli allarmi all’Fbi. Che però, sulla base delle leggi vigenti negli Usa, non ha quasi mai modo di impedire l’acquisto. Un sospettato non è un colpevole e se fa le cose legalmente nessuno può fermarlo. Il Government Accountability Office (l’ufficio del Congresso che monitora l’operato del Governo) ha diffuso questi dati: dal 2004 a oggi l’Fbi ha fatto 193 mila controlli, incrociando i dati sulla vendita delle armi con i nomi inseriti nella Lista. Sono state 2.447 le richieste di acquisto di un’arma da fuoco da parte di persone inserite nella Lista (quindi “persone note o ragionevolmente sospettabili” di attività terroristiche) e solo 212 quelle fermate. Quindi negli Usa ci sono 2.265 persone che potrebbero essere terroristi ma girano armate, dopo aver comprato un fucile o una pistola secondo tutti i crismi della legalità.E abbiamo parlato fin qui, appunto, di acquisti e vendite di armi legali, presso rivenditori autorizzati. Fuori dal discorso restano le fiere e gli acquisti via Internet, di fatto liberi a tutti. In questo quadro così precario, il Senato Usa, come dicevamo, ha trovato modo di respingere pure la proposta che voleva vietare l’acquisto (anche legale) di armi a tutti coloro che risultano essere sulla Lista. Il che automaticamente toglie quasi ogni valore alla Lista stessa: se un sospettato può comprare un fucile, che sospettato è? E nello stesso tempo spiega con grande efficace perché gli Usa (e noi con loro) stiano perdendo sia la lotta contro il terrorismo sia quella contro le stragi dentro il loro Paese.





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