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La morte di George Floyd ha innescato una “rivoluzione culturale”, animata da Black Lives Matter e dalle altre organizzazioni della sinistra americana, che ha l’obiettivo di sostituire radicalmente lo status quo e la storia d’America con i nuovi valori ultra-liberal del politicamente corretto. L’odio di sé – che caratterizza questi i nuovi movimenti progressisti che vogliono cancellare la storia – rappresenta un lascito del puritanesimo. Come nota Robert Huges nel suo saggio La cultura del piagnisteo. La saga del politicamente corretto, i Puritani si ritenevano, a buon diritto, vittime di una persecuzione, designate a creare uno Stato teocratico le cui virtù trascendessero i mali del Vecchio Mondo e riscattassero così la caduta dell’uomo europeo. La democrazia americana, nota Hughes, “consistette nell’infrangere la condizione di vittima coloniale, creando uno Stato laico in cui diritti naturali dell’individuo si ampliassero senza sosta a vantaggio dell’eguaglianza”.

Ma i nuovi “rivoluzionari” politicamente corretti non agiscono da soli e in piena autonomia. Come scrive Tino Oldani su Italia Oggi, recentemente il Wall Street Journal, come ha opportunamente segnalato Paolo Panerai su Orsi & Tori di sabato scorso, denuncia il dilagare del “giacobinismo” negli Stati Uniti, ne sottolinea il pericolo per la tenuta della cultura liberale, e lo dimostra raccontando decine di casi in cui nomi noti del mondo giornalistico, accademico e artistico, per nulla estremisti, sono stati epurati e licenziati sui due piedi soltanto per avere espresso la loro opinione, che per una sola parola o un solo aggettivo non collimava con quelle estremiste del movimento Black Lives Matter (Blm). In tutti i casi si trattava di opinioni moderate, per nulla di stampo razzista, ma soltanto dubbiose sul fatto di manifestare in piazza e nelle strade con la violenza e i saccheggi. Metodo che, con i cortei Blm, ha dilagato in molte città americane. Tucker Carlson (Fox News) protagonista del programma televisivo d’approfondimento politico più seguito in America, con oltre 4 milioni di spettatori che lo seguono quotidianamente, è da settimane vittima del boicottaggio di decine e decine di aziende che hanno rinunciato agli spazi pubblicitari durante lo show. Motivo? Ha osato criticare Black Lives Matter e i suoi metodi violenti. Come nota Oldani, nell’editoriale del Wsj mancano però i nomi dei due grandi padri putativi del nuovo “giacobinismo” in salsa politically correct: il finanziere George Soros e l’ex presidente Usa Barack Obama.

George Soros e la guerra permanente contro Trump

Il finanziere Soros, fondatore dell’organizzazione filantropica Open Society Foundations, non ha mai realmente smesso di fare la guerra al Presidente Usa Donald Trump. Come spiegava IlGiornale.it la scorsa estate, Soros, che nel 2016 aveva investito diversi milioni di dollari a sostegno di Hillary Clinton, è sceso nuovamente in campo a favore del Partito democratico americano e ha fondato, secondo quanto riportato da Politico, un super Pac, chiamato Democracy Pac, che fungerà da “hub” per le sue spese elettorali in vista del 2020. Negli Stati Uniti il Pac – acronimo di Political action committee – è un comitato che raccoglie fondi per effettuare donazioni a sostegno dei candidati alle elezioni. I Pac più importanti sono quelli creati per sostenere il candidato presidente degli Stati Uniti. Soros ha investito 5,1 milioni di dollari nel Democracy Pac, solo nel 2019, secondo i documenti depositati presso la Commissione elettorale federale.

È nota inoltre la vicinanza di Black Lives Matter all’orbita dell’Open Society Foundations. Come scrive Italia Oggi, l’attivista afroamericana Candace Owens, tra le più attive nel “Blacks for Trump”, ha accusato Soros di avere versato 33 milioni di dollari al Blm. Effettivamente, la Open Society ha effettuato una serie di donazioni a enti che collaborano con il movimento Blm a livello mondiale, tra cui la britannica Release Leads, che nel 2018 ha ricevuto 280 mila dollari. È inoltre noto che alla presidenza della Osf sieda Patrick Gaspard, afroamericano, ex capo di gabinetto di Barack Obama alla Casa Bianca, nonché autorevole esponente del partito democratico Usa.

Le organizzazioni riconducibili al finanziere hanno inoltre sponsorizzato le manifestazioni femministe contro The Donald. Più di 50 associazioni che hanno organizzato e aderito alla Women’s March svoltasi a Washington D.C nel gennaio 2017 – con Trump appena insediatosi – e in molte città del mondo contro il presidente eletto Donald Trump, sono state finanziate dalla Open Society Foundations di George Soros. A sostenerlo non era una testata conservatrice statunitense bensì la giornalista Asra Q. Nomani sul New York Times, musulmana, femminista e nota attivista dei movimenti liberali nell’Islam. Senza dimenticare che il finanziere ha sponsorizzato, nell’ottobre 2018, le proteste contro il giudice conservatore Kavanaugh. Alla manifestazione contro il giudice conservatore, in effetti, hanno preso parte tutte le associazioni supportate dalla rete del finanziere: l’American Civil Liberties Union, la Leadership Conference on Civil and Human Rights, Planned Parenthood, NARAL Pro-Choice America, the Center for Popular Democracy, Human Rights Campaign e molte altre. “MoveOn.org – spiega Nomani – l’organizzazione vicina ai democratici e fondata grazie al denaro di Soros, ha inviato al suo esercito di seguaci un modulo dove poter richiedere i biglietti del treno per arrivare a Capitol Hill”. Ad animare la protesta contro il giudice Kavanaugh c’era anche USaction (ora People’s Action) che, secondo Open Screts, nel solo 2018, ha ricevuto dal Soros Fund Management circa due milioni di dollari.

I rapporti fra la “talpa” anti-Trump e l’Open Society

Parliamo ora del processo di impeachment sull’Ucrainagate, conclusosi con un nulla id fatto. La “gola profonda”, il “whistleblower” che ha denunciato Donald Trump per le presunte pressioni esercitate nei confronti del presidente ucraino Zelensky, dando di fatto avvio alla procedura di impeachment, che Real Investigations ha individuato in Eric Ciaramella, riceveva e-mail sulla politica ucraina da un alto dirigente della Open Society Foundations, la rete filantropica fondata dal finanziere George Soros. Le e-mail, risalenti al 2016 e diffuse dal giornalista investigativo John Solomon, dimostrano i contatti fra l’Open Society e l’amministrazione Obama sugli spostamenti del magnate e sui contenuti degli incontri privati del finanziere a Kiev.

Uno dei destinatari delle e-mail della Open Society, insieme a Ciaramella, era l’allora Segretario di stato aggiunto per gli affari europei Victoria Nuland, con la quale la “gola profonda” ha lavorato a stretto contratto. In una mail del 9 giugno 2016, Jeff Goldstein, analista politico presso l’Open Society Foundations, scrive a Nuland e Ciaramella, i destinatari principali della missiva. “Volevo farvi sapere che il signor Soros ha incontrato Johannes Hahn (commissario europeo, ndr) a Bruxelles oggi. Una delle questioni sollevate durante l’incontro riguardava la preoccupazione per la decisione di ritardare la liberalizzazione dei visti per la Georgia e le implicazioni per l’Ucraina”. Le e-mail, oltre a dimostrare i rapporti fra la “talpa” che ha denunciato il presidente americano e l’organizzazione di Soros, dimostra anche l’ingerenza dell’amministrazione Obama nel Paese dell’ex Unione sovietica attraverso la rete filantropica fondata dal magnate. George Soros ammise, in un’intervista rilasciata alla Cnn, di aver contribuito attivamente al rovesciamento dell’ex presidente ucraino Viktor Yanukovych.

Barack Obama: così ha “sabotato” l’amministrazione Trump sin dall’inizio

Arriviamo infine a Barack Obama. Come nota Italia Oggi, nel corso degli anni, per opera soprattutto di Obama, il connubio tra il partito democratico Usa e il movimento Blm ha prodotto una progressiva radicalizzazione culturale sui temi razziali, che è andata avanti di pari passo con il Metoo femminista e con la tutela dei diritti sessuali Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transgender). Un’arma politica da usare contro Donald Trump. Ma la guerra di Barack Obama contro Trump non si è certo limitata a soffiare sul fuoco delle proteste. Come abbiamo rilevato su InsideOver, l’ex presidente Barack Obama ha avuto un ruolo chiave nell’orchestrare il falso scandalo del Russiagate e nell’alimentare la narrativa della collusione fra la Campagna di Donald Trump e il Cremlino a cavallo fra il 2016 e il 2017. Secondo il New York Post, le recenti rivelazioni nell’ambito della lunga battaglia giudiziaria dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael T. Flynn conferma che Obama ha svolto un ruolo centrale in tutta la vicenda. Gli appunti scritti a mano dall’agente dell’Fbi Peter Strzok mostrano che Obama, in combutta con Joe Biden, incoraggiò il bureau e del Dipartimento di Giustizia a indagare su Flynn, nonostante i gli alti funzionari dell’Fbi avessero confermato che le azioni del tenente generale e le sue telefonate con l’allora ambasciatore russo Sergey Kislyak sembrassero “legittime”.

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