Questo fine settimana la Slovacchia va al voto. I cittadini sono chiamati alle urne per eleggere il nuovo parlamento decidere se confermare la fiducia all’attuale esecutivo governato dai socialisti e guidato da Robert Fico, 52 anni, capo del governo una prima volta tra il 2006 e il 2010 e di nuovo dal 2012.
Nonostante il Paese provenga da un trimestre di discreta crescita economica gli stipendi medi sono tra i più bassi d’Europa, mentre il tasso di disoccupazione è molto alto, indice di un’economia che non si è ancora veramente ripresa dalla grande depressione degli anni 90 che seguì le privatizzazioni massicce del settore pubblico. Inoltre lo scarso livello di diversificazione del sistema produttivo nazionale (eredità, questa, avuta in gran parte dal vecchio sistema sovietico) e gli scompensi territoriali che vedono le zone a Est alle prese con forme evidenti di arretratezza economico-produttiva hanno generato profondo disagio in ampi strati della popolazione e a diverse manifestazioni di protesta anti-governativa. Per questo gli esiti del voto sono ancora molto incerti, nonostante i sondaggi vedano l’attuale maggioranza in testa. Secondo molti osservatori internazionali la vittoria andrà alla coalizione che riuscirà porsi agli occhi dei cittadini come la più affidabile nel risolvere le problematiche legate all’immigrazione.
Il malcontento popolare è esploso in una serie di ripetute manifestazioni dei dipendenti pubblici, in modo particolare nel settore dell’istruzione. Cosa che ha indotto il premier ad assicurare che, in caso di vittoria, si impegnerebbe a promuovere aumenti salariali per i dipendenti pubblici “fino al 20per cento”. Il primo ministro è inoltre criticato per il suo atteggiamento nei confronti dei media. Molti criticano il fatto che Fico dialoghi con certi organi di stampa discriminandone altri. Come evidenziato dall’Osservatorio Mitteleuropeo, circa due terzi degli slovacchi interpellati sull’argomento trova che il comportamento del primo ministro sia scorretto, mentre Il 37per cento dei simpatizzanti della coalizione socialista non approva la sua condotta. Il 73per cento di quanti hanno votato per il partito di governo, invece, ritene sbagliato il suo comportamento con i media e non adatto a un primo ministro. Secondo le opposizioni l’astensionismo sarà molto alto e particolarmente diffuso tra i giovani.
Nonostante le critiche, però, Fico ha dalla sua parte ampie fette dell’opinione pubblica a seguito delle sui posizioni intransigenti sull’immigrazione. A differenza che nei Paesi dell’europa occidentale, infatti, quella del Centrosinistra ungherese è una posizione di totale chiusura nei confronti dei flussi migratori. Le forze governative, che stanno conducendo una campagna incentrata sull’anti-immigrazione, criticano severamente la politica dell’Ue in questo ambito e respingono il sistema delle quote di accoglienza obbligatorie. La Slovacchia ha contribuito al rilancio del Gruppo di Visegrád (V4) di cui è membro insieme all’Ungheria, alla Repubblica Ceca e alla Polonia. Il Gruppo si è di recente espresso negativamente sul ruolo della Grecia nella difesa dei confini meridionali di Schengen e ha proposto una soluzione alternativa che vede in prima linea la Bulgaria e la Macedonia. Al suo interno sono soprattutto Bratislava e Budapest ad esprimere le posizioni più radicali riguardo al modo di gestire la crisi. Il primo ministro Fico condivide quindi i punti di vista del suo omologo ungherese Viktor Orbán almeno in questo campo e in quello della rivendicazione del diritto dei paesi membri dell’Ue di decidere del loro futuro senza le ingerenze di Bruxelles.
Che cosa spinge un governo socialista ad essere così fortemente avverso all’immigrazione? A differenza che nei Paesi dell’Europa occidentale quelli dell’Est sono molto gelosi della propria sovranità, che hanno riconquistato da due decenni dopo mezzo secolo di dominazione sovietica. L’opinione pubblica slovacca, inoltre, manifesta di essere ancora fortemente legata alla propria identità, ibernata per decenni sotto la cortina di ferro e tornata a manifestarsi dopo l’implosione del blocco comunista. Un’identità, quella slovacca, che viene da molti percepita come sotto minaccia dall’arrivo dei flussi migratori. E che chiede al proprio governo di respingere. Per ciò l’esecutivo, anche se socialista, sta assecondando queste richieste.