Vladimir Putin e Donald Trump si incontreranno ad Helsinki. E fra i punti nevralgici del vertice ci sarà certamente la Siria, dove Russia e Stati Uniti si trovano su fronti completamente opposti. Ma la vittoria di Assad è ormai una realtà ed entrambe le potenze sono consapevoli che sia arrivato il momento di trovare un accordo.
E l’accordo sembra essere arrivato. Per il Sud della Siria, dove Israele ha promesso l’interruzione dei raid e il riconoscimento della vittoria di Bashar Al Assad. Ma anche per il Nord, dove gli Stati Uniti sembra abbiano concesso alla Russia il ritiro delle proprie forze. Un accordo che, se così confermato, significherebbe la fine della guerra in Siria.
A conferma dell’accordo fra Stati Uniti e Russia sul fronte settentrionale, giungono in queste ore le notizie da Damasco dell’arrivo di una delegazione delle forze curde dello Ypg. Come riportato da Giordano Stabile per La Stampa, la delegazione ha concluso con il governo siriano una bozza di accordo in cui si prevede il sostanziale ripristino della sovranità dello Stato sul Kurdistan siriano.
Assad da tempo corteggia i curdi. E i curdi, dall’altro lato, corteggiano il governo siriano. Dopo le giravolte americane e l’offensiva della Turchia di Recep Tayyip Erdogan che ha devastato le forze curde di Afrin e delle province limitrofe, Assad è diventato un potenziale alleato. E in effetti non va dimenticato che durante l’intero corso della guerra, l’esercito di Damasco e quello dei ribelli curdi non sono mai entrati direttamente in conflitto. Sia per la protezione dell’Occidente sui curdi, sia per un tacito accordo contro un nemico comune: lo Stato islamico.
Secondo le indiscrezioni, la bozza di accordo, che deve essere ovviamente confermata, prevede che le Forze democratiche siriane (Sdf), in larga parte curde, siano integrate nell’esercito siriano. Non si sa se integrate in maniera totalizzante oppure attraverso una struttura a parte. Probabilmente, la base del patto è la stessa su cui si è fondata l’idea dell’integrazione dei miliziani delle brigate sciite irachene nell’esercito di Baghdad dopo la sconfitta di Daesh. La loro importanza, unita al peso politico ottenuto, hanno avuto come risultato l’integrazione nei ranghi militari con una sorta di riconoscimento.
Anche in questo caso, in Siria, si pensa di riconoscere alle forze curde delle Sdf il rango di militari e si andrebbero a considerare gli anni passati nelle forze ribelli come anni di arruolamento nell’esercito regolare. In questo caso, i miliziani curdi non avrebbero più la scure della giustizia militare siriana sulla loro testa e potrebbero tornare a casa.
Come ricordato sempre da La Stampa, Tra i punti dell’accordo c’è inoltre il passaggio all’esercito regolare dei posti di forntiera di Tal Kojar e Simalka, al confine con l’Iraq, e quelli di Al-Darbasiyah e Ras Al-Ayn, punti di passaggio con la frontiera turca. I curdi inoltre avranno diritto a usare la loro lingua come seconda dopo l’arabo e avrebbero concessioni anche sul petrolio, il cui ministro dovrebbe essere un rappresentante curdo.
Dall’America fanno sapere che il Pentagono avrebbe chiesto almeno 18 mesi per il ritiro dal nord della Siria, ma che Trump non è disposto ad aspettare a lungo. Il presidente Usa non ha mai apprezzato l’impegno militare nel conflitto siriano e vuole cercare di risolverlo per concentrarsi su altri punti della sua agenda politica.
La Turchia, dal canto suo, avrebbe avuto la garanzia di non avere curdi indipendenti né semi-autonomi al confine. Una volta entrati nei ranghi dell’esercito siriano, le milizie curde diventerebbero parte integrante del comando di Damasco, rendendo impossibili i legami con il Pkk. Ma dall’altro lato, Erdogan ha ottenuto quello che voleva, soprattutto a Idlib e Afrin. Per quanto riguarda i curdi di Afrin la sostituzione etnica con i curdi cacciati e sostituiti dalle famiglie degli jihadisti della Ghouta dà ad Ankara una sfera d’influenza importantissima. E Erdogan ha migliaia di rifugiati nel suo territorio. Unite alle frange terroriste, la Turchia ha ancora una carta importante da giocare nel nord del Paese.