Gli screzi tra siriani e turchi sono sempre esistiti, già da prima della fondazione dell’attuale repubblica siriana. Il sospetto di Damasco che l’odierna Turchia voglia, a poco alla volta, tornare a considerare la Siria una provincia come ai tempi dell’impero ottomano, è sempre stato molto forte. E tutto è partito con l’invasione di Alexandretta, oggi conosciuta meglio con il nome turco di Iskenderun, avvenuta nel 1938. Quell’appendice della Turchia che dall’Anatolia penetra tra il Mediterraneo ed il nord della Siria è stata conquistata da Ankara con un’operazione militare seguita da un referendum mai riconosciuto dalle autorità dell’allora Siria francese. E secondo i vari leader siriani che negli anni si sono succeduti, Ankara non ha mai rinunciato ai progetti di annessioni di altre regioni del Paese.
I confronti tra Hafez Al Assad ed Ankara
Con l’avvento del Baath e con l’arrivo al potere di Hafez Al Assad, padre dell’attuale presidente Bashar Al Assad, i rapporti tra Siria e Turchia non sono mai stati votati alla stabilità. Anche perché, mentre Ankara è entrata nell’orbita Nato, Damasco consentiva ai sovietici di installare a Tartus la prima loro base navale del Mediterraneo. Dunque, non solo ragioni storiche e di confine, alla base della diffidenza negli anni si è aggiunto il reciproco posizionamento nell’ambito della guerra fredda. Hafez Al Assad ha provato a rendere meno vulnerabili i propri confini utilizzando la questione curda. Ed infatti Damasco, al contrario dell’Iraq di Saddam Hussein, ha sempre lasciato liberi i curdi presenti nel proprio territorio di organizzarsi.
Negli anni, inoltre, la costituzione di partiti e formazioni nelle regioni curdo siriane in collegamento con il Pkk in Turchia ha costituito una gravosa spina nel fianco per Ankara. Anche per questo motivo per anni è stato proprio nelle zone a maggioranza curde in Siria che Abdullah Ocalan, storico leader del Pkk, ha potuto organizzare le proprie formazioni ed i propri piani. L’ospitalità data al capo più carismatico e popolare tra i curdi, ha irritato la Turchia fino al punto che nel 1998 si è avuto il rischio maggiore di scontro diretto tra i due paesi degli ultimi 50 anni.
Nell’ottobre di quell’anno per giorni sia sul versante turco che in quello siriano, Ankara da un lato ed Hafez Al Assad dell’altro hanno schierato battaglioni, uomini e mezzi. Soltanto l’intervento di mediazione degli Usa e della Russia ha scongiurato il peggio. Si è giunti quindi ad un accordo che grossomodo sta reggendo fino ad oggi.
Gli occhi sulla M4, l’autostrada del possibile scontro tra Siria e Turchia
Di pericolo ottomano è tornato a parlare Bashar Al Assad quando nel 2011 è scoppiata la guerra civile. L’ingresso costante dalla Turchia di jihadisti è stato visto come un tentativo di Erdogan di mettere le mani sulla Siria. Di certo da Ankara non si è mai fatto mistero di aver lavorato, soprattutto negli anni più caldi del conflitto siriano, per rovesciare il governo di Assad. Quasi una resa dei conti posticipata dai tempi in cui a Damasco sedeva ancora il padre dell’attuale presidente siriano. La storia ha poi inquadrato il conflitto su altri canali: dopo il fallito golpe del 2016 contro Erdogan, Ankara si è riavvicinata alla Russia, con quest’ultima che da alleata di Assad ha fatto sedere la Turchia al tavolo dei negoziati di Astana insieme all’Iran.
Il governo turco ha mediato in questi ultimi anni assieme ai russi, determinando l’avanzata dell’esercito siriano in punti precedentemente occupati dai jihadisti. Migliaia di combattenti, tramite Ankara, hanno deciso di ammassarsi ad Idlib, ultima provincia siriana fuori dal controllo di Assad, e lasciare campo libero alle truppe di Damasco. In cambio, Erdogan ha potuto coltivare il suo progetto per la creazione di una fascia di sicurezza anti curda nel nord della Siria. Un intento che dal leader turco è stato portato avanti prima con l’operazione su Al Bab e poi su Afrin. Ma adesso, con il lancio della nuova missione nel nord della Siria, si potrebbe arrivare ad un nuovo rischio di confronto diretto tra i due Paesi.

Questo perché, come oramai è reso noto da giorni, Assad ha stretto un accordo con i curdi che dal 2012 nel nord della Siria hanno creato la regione de facto autonoma del Rojava. Le truppe siriane si stanno via via posizionando nelle zone fino a pochi giorni fa controllate dai filo curdi delle milizie Sdf. Il corpo a corpo dunque, prima ancora che tra turchi e curdi, rischia di essere tra turchi e siriani. E gli occhi sono puntati sulla M4, l’autostrada che collega Aleppo con Qamishli. Si tratta dell’arteria oggetto dell’intervento turco iniziato nei giorni scorsi, il cui parziale controllo nelle aree del Rojava interessate dall’interno sta permettendo alle milizie filo Ankara di avanzare.
Ma sulla M4 si stanno riversando in questi giorni anche i reparti dell’esercito di Damasco che stanno procedendo verso Manbji, una delle città a maggioranza araba occupata fino a pochi giorni fa dalle Sdf. Una località che però è nel mirino anche della Turchia e delle milizie finanziate da Erdogan. Ecco perché aumenta dunque il rischio di un confronto diretto tra Assad ed Erdogan, con l’autostrada M4 che potrebbe rappresentare il vero fronte militare di questo nuovo braccio di ferro tra Siria e Turchia. Se tra i due Paesi inizierà un confronto fatto di colpi di artiglieria e di trincee, tutto potrebbe avvenire lungo proprio questa strategica arteria.
La situazione a Manbji
Intanto nelle ultime ore, fonti siriane e russe hanno confermato che la città di Manbji sarebbe adesso interamente nelle mani delle forze di Damasco. Segno di come il riposizionamento delle truppe fedeli al presidente Assad stia procedendo come concordato con i turchi domenica scorsa. L’esercito siriano a Manbji dovrebbe avere inoltre la copertura aerea russa, circostanza russa che avrebbe facilitato l’azione delle truppe di Damasco nella “corsa” verso Manbji. Resta alta la tensione poco più a nord della città, dove le forze filo turche premono per provare ad entrare in questo territorio della provincia di Aleppo.