Si è chiusa la prima tornata di consultazioni tra le varie parti impegnate all’interno del conflitto siriano, adesso la palla passa nuovamente all’Onu che per il prossimo 8 febbraio ha indetto a Ginevra una nuova fase di colloqui sulla Siria; questa prima fase, voluta fortemente da Russia, Iran e Turchia, ha avuto luogo ad Astana: il vertice tenuto nella capitale kazaka era molto atteso, proprio perché organizzato in primo luogo da quei paesi, come i tre sopra citati, che hanno un ruolo effettivo sul campo e che possono influenzare i vari gruppi che da sei anni compongono il mosaico frastagliato del territorio siriano. I colloqui hanno rimarcato la volontà di andare avanti con il cessate il fuoco in vigore dal 29 dicembre scorso, con l’asse Mosca – Teheran – Ankara a fare da garante; le parti, con la mediazione della Russia, si sono anche accordate su uno schema di una futura costituzione siriana, le uniche divergenze permangono sulla volontà di alcuni gruppi di opposizione di sollevare Assad dal suo incarico.Il peso delle forze fedeli al governoComplessivamente il vertice di Astana segna un passo avanti nell’azione diplomatica volta a ridare stabilità alla Siria: la Turchia infatti, nella dichiarazione finale, si impegna a rispettare la sovranità di Damasco e, pur se non scritto esplicitamente, tra le righe si intravede comunque il definitivo superamento del proprio intento di rovesciare Assad. I gruppi che Ankara ha armato in questi anni non sono ovviamente d’accordo, ma il governo turco al momento riesce a tenere calme le loro velleità di combattimento e quindi la tregua nei prossimi giorni dovrebbe comunque reggere; l’impressione è che i tre paesi promotori dei colloqui in terra kazaka vogliano adesso ‘aspettare’ le mosse degli Usa del nuovo governo di Trump, rinviando quindi al nuovo vertice di Ginevra qualunque altra decisione di un certo peso. Nell’attesa quindi dei nuovi sviluppi diplomatici, è possibile intanto tracciare peso e ruolo specifico degli attori in campo nello scacchiere siriano.Partendo dalle cosiddette ‘forze lealiste’, ossia fedeli al governo di Bashar Al Assad, si può ben notare un ricco mosaico di gruppi che al momento operano in Siria; l’esercito di Damasco prima dello scoppio delle ostilità contava 300.000 uomini effettivi: di questi, circa 120.000 risultano ad oggi deceduti o dispersi nel corso dei cinque anni di guerra, a cui poi bisogna aggiungere anche delle defezioni specialmente durante la prima parte del conflitto. Pur tuttavia, il numero di uomini su cui possono contare le forze di difesa siriane raggiunge ugualmente una cifra vicina ai 300.000 in quanto, tra volontari e forze paramilitari, si contano almeno tra i 100.000 ed i 120.000 soldati non effettivi ma ugualmente impegnati sul fronte. Il governo siriano inoltre, può contare su diversi gruppi paramilitari stranieri: in primo luogo gli Hezbollah, impegnati con 5.000 uomini al fronte e capaci di essere molto efficaci nelle azioni di fanteria, a cui bisogna aggiungere i volontari delle milizie palestinesi, irachene ed afgane.Ma per Damasco, specialmente nelle fasi dei colloqui diplomatici di Astana ed in quelli che si terranno a Ginevra a partire da giorno 8, sono molto confortanti soprattutto altri due fattori: l’appoggio russo ed il peso politico. Sul primo punto, l’intervento diretto di Mosca a sostegno di Assad ha garantito il rovesciamento della situazione sul campo con l’iniziativa offensiva tolta dallo scrigno dei ribelli e passata nuovamente sul fronte lealista; sul secondo punto invece, è importante sottolineare come Damasco, da un lato, controlli sì ‘soltanto’ il 34% del territorio siriano, ma dall’altro lato tale percentuale corrisponde al territorio urbanizzato del paese e, dopo la conquista di Aleppo, il 65% dei siriani vive nelle zone in cui sventola la bandiera della Repubblica Araba Siriana. E’ su quest’ultimo punto che Assad si giocherà gran parte delle principali carte diplomatiche a sua disposizione durante i colloqui.Il peso della ‘galassia’ dell’opposizione islamistaAd Astana, per la prima volta e sotto l’egida della Turchia, erano seduti l’uno accanto all’altro diversi gruppi dell’opposizione siriana; il loro peso militare e politico è quasi impossibile definirlo con certezza per via delle tante divisioni interne che in queste ore si stanno anche traducendo in fratricidi scontri, specialmente nella provincia di Idlib. Complessivamente è possibile tracciare una prima grande distinzione, ossia quella tra i cosiddetti ‘ribelli’ e l’ISIS: i primi controllano parti delle province di Aleppo e Daraa, parti della periferia di Damasco e soprattutto la maggior parte della provincia di Idlib, mentre il califfato occupa l’area desertica siriana con Raqqa quale città più importante in proprio possesso. Pur tuttavia, proprio dal vertice di Astana, emergono due ragguardevoli considerazioni: in primo luogo, pare non esserci traccia della cosiddetta ‘opposizione moderata’, in secondo luogo all’interno della galassia ribelle – islamista emergono a sua volta altre distinzioni.Infatti, con l’ingresso della Turchia nell’asse Mosca – Teheran, i gruppi islamisti è possibile suddividerli tra coloro che hanno accettato la tregua (decidendo anche di sedersi al fianco delle delegazioni governative ad Astana) e le fazioni legate invece ad Al Nusra, filiale siriana di Al Qaeda. Sul piano pratico per la verità, tale distinzione è poco significativa: tanto il primo, quanto il secondo fronte, si è macchiato negli anni di crimini contro la popolazione alawita, mentre è ben nota come detto l’appartenenza alla comune ideologia islamista, pur tuttavia sul piano diplomatico la divisione del fronte ‘ribelle’ potrebbe portare ad importanti e nuovi scenari. Il gruppo convinto dalla Turchia al cessate il fuoco e distaccato adesso dal fronte jihadista di Al Nusra, ad Astana è stato rappresentato da Mohammad Alloush, a capo di una fazione filo saudita denominata ‘Esercito dell’Islam’, attiva anch’essa ad Idlib; tale gruppo è quindi alleato al momento con Ahrar al-Sham, la più importante organizzazione islamista distaccatasi da Al Nusra.In totale, considerando i territori controllati da Ahrar al-Sham ed alleati, l’opposizione islamista controlla il 13% del territorio dove vive il 12% della popolazione siriana; all’interno di questi numeri però, sono comprese le aree che  i gruppi islamisti controllano assieme ad Al Nusra. Infine, come detto, da queste fazioni si è totalmente distaccato il califfato islamico voluto dall’ISIS nel giugno 2014; a dispetto di un 33% di territorio controllato, i miliziani jihadisti fedeli ad Al Baghdadi controllano solo pochi centri urbani anche se di recente hanno nuovamente strappato al governo la città storica di Palmyra e, con una certa intensificazione avvenuta nei giorni scorsi, stanno inoltre provando a conquistare definitivamente la sacca governativa di Deir Ezzour.Il ruolo dei curdi all’interno del conflittoDa non dimenticare infine i curdi, i quali complessivamente controllano il 20% del paese; al momento le fazioni curde risultano più ‘defilate’ nello scacchiere siriano, sia perché nate per difendere la popolazione curda del nord del paese dagli assalti di Al Nusra e dell’ISIS, sia perché il cambiamento della via diplomatica turca in Siria risulta essere stato agevolato dal timore che alla fine del conflitto potesse sorgere una maxi area autonoma proprio a ridosso dei confini con Gaziantep. I curdi siriani vengono spesso identificati con la ‘Rojava’, nome della regione storica del nord della Siria dove ad agire sono soprattutto i membri dello YPG, da Ankara considerato costola del PKK; pur tuttavia emergono spaccature importanti in seno alle proprie fazioni: infatti, è possibile distinguere i curdi di Afrin, enclave posta nella parte nord occidentale della provincia di Aleppo, da quelli che avanzano dalla provincia di Al Hasakah. Nessun gruppo curdo è stato comunque invitato ad Astana e questo proprio per il veto imposto dalla Turchia, impegnata con i propri uomini ad Al Bab nel cercare di dividere geograficamente la nascente provincia autonoma settentrionale.

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