Politica /

(Beirut) Il Libano in questi giorni è impegnato nella difficile trattativa per formare il governo. Abbiamo parlato di questo e della complessa situazione mediorientale con l’ex primo ministro Fuad Siniora.

Nato in una famiglia sunnita di Sidone, Siniora è stato un amico dell’ex Primo Ministro libanese Rafiq al Hariri, sin dall’infanzia. Diplomato in economia presso la American University of Beirut, Siniora è stato docente universitario e ha poi lavorato nel settore bancario all’interno del gruppo Citibank di Beirut, prima di occuparsi di auditing e controllo interno presso la Banca Centrale del Libano. Dal 1982 ha iniziato a lavorare all’interno dell’impero economico di Rafiq al-Hariri, rivestendo importanti mansioni dirigenziali. Fu varie volte ministro delle Finanze e divenne primo ministro dopo la cosiddetta “Rivoluzione dei Cedri” nella primavera del 2005, in seguito all’assassinio di Rafiq al Hariri e la vittoria dell’opposizione antisiriana nelle successive elezioni politiche. Il suo governo dovette affrontare il conflitto con Israele del 2006.

Quali sono i problemi nella formazione del governo?

Il problema attuale è piuttosto artificioso. Hezbollah sta perdendo tempo per conquistare le posizioni che vuole. Il problema è che non c’è nessuna regola costituzionale che dica che il primo ministro incaricato debba creare una maggioranza promettendo dei dicasteri per ogni cinque o sei parlamentari che pretendono di avere influenza. La Costituzione prevede che il Primo Ministro debba avere una maggioranza coerente e capace di governare. Il sistema, inoltre, prevede tre poteri indipendenti, il Parlamento, il Governo e il sistema giudiziario. Se ogni membro del parlamento invece di dare la fiducia al primo ministro incaricato, dovesse avere voce in capitolo su ogni singolo ministero, non ne usciremmo più fuori, oltre che contraddire la Costituzione. Il problema politico reale è il ruolo di Hezbollah, perde tempo per dimostrare che ha il potere di bloccare tutto. Non rappresenta solo un gruppo settario, ma sta agendo per conto dell’Iran per dimostrare che può fermare tutto. Lo farà fino a quando non otterrà qualcosa e allora si troverà un accordo.

Cosa pensa della politica iraniana nella regione?

Credo che gli iraniani debbano iniziare a pensare in modo più prudente. Non è vero che c’è una rivalità tra l’Iran e l’Arabia Saudita. Io penso che l’Iran sia parte di questa regione, bisogna integrarlo politicamente e cooperare, a patto però che la smetta di intervenire negli altri paesi. Avevamo ottimi rapporti con l’Iran prima della Rivoluzione Islamica del ’79 e prima che Khomeini iniziasse a esportarla all’estero.

Ma non sarà solamente l’Iran il colpevole per le tensioni nella regione?

Altri due fattori, sempre in quegli anni, finirono per complicare ancora di più la situazione, l’invasione russa dell’Afghanistan, che fu una risposta a quello che era accaduto in Iran e l’accordo di pace tra Israele e l’Egitto, che divise il fronte arabo e permise all’Iran di infilarsi nella questione israelo-palestinese, riempiendo il vuoto lasciato dall’Egitto. Anche l’irrigidimento delle regole religiose in Arabia Saudita è successivo a quell’epoca. Tutte queste tensioni sono figlie di quegli anni.

Il fondamentalismo islamico, sunnita, come sciita, non sta mettendo a rischio la sopravvivenza delle minoranze e degli islamici liberali?

Io vengo da Sidone, dove tradizionalmente vi sono sunniti, sciiti, cristiani di ogni confessione, drusi ed ebrei. Il Medio Oriente è sempre stato così, il problema sono gli estremisti che dopo gli anni settanta hanno aumentato la loro aggressività. Un tempo avevano tutti in comune un’identità araba che prevaleva sulle religioni. Poi dopo il settantanove, l’idea di un’identità araba è cominciata a venire meno e questo vuoto è stato riempito da nuove identità settarie basate sulla religione e questo, in una cultura mista come quella mediorientale, è un vero problema.

Cosa pensa dell’uscita del governo americano dall’accordo sul nucleare iraniano?

Io credo che il Medio Oriente debba essere libero da potenze atomiche, questo vale per l’Iran, come per Israele. L’accordo iraniano manca di garanzie sui missili balistici, perché l’intesa non prevede norme su questo fronte e la loro proibizione è l’unico modo serio per garantire che non si possa lanciare una bomba atomica. Non basta controllare che l’Iran usi l’energia atomica solamente per scopi pacifici, perché se il paese infrangesse il patto, ci vorrebbe pochissimo per fare un’atomica e avendo i missili balistici, ancora meno per lanciarla. Ecco perché l’accordo avrebbe dovuto prevedere un controllo su di essi. La seconda questione, che non è affrontata dall’intesa, è l’influenza che l’Iran ha nella regione.

I sauditi e gli israeliani sono sullo stesso fronte contro l’accordo sul nucleare iraniano, questo non indebolirà la causa palestinese?

Non credo, si tratta di un problema esplosivo che dovrà essere risolto. Secondo tutti i sondaggi, per l’ottanta per cento degli arabi la questione palestinese è uno dei problemi più importanti da risolvere. Lo stesso vale per la questione siriana.

La politica della non violenza di Gandhi e Mandela potrebbe essere utilizzata per risolvere la questione palestinese?

Può essere d’ispirazione, ma ci sono stati tentativi da parte degli arabi di trovare un’accordo di pace con Israele, riconoscendo il suo diritto di esistere. Israele però ha boicottato in tutti i modi possibili questi tentativi. A parole dice di volere condividere il paese con i palestinesi, ma nella realtà vuole tenere tutto solo per sé. Ha costruito il muro e continua a espandersi ampliando le colonie nei territori palestinesi. Non ha fatto le scelte forti di Mandela o Gandhi.

Cosa pensa della situazione siriana?

Per la Siria la situazione è davvero difficile. Non si può immaginare che sia Assad a unire le diverse anime del paese, dopo le responsabilità che si è preso in questa guerra. Ci vorrebbe un modo creativo per fargli lasciare il potere. Bisogna trovare una qualche soluzione. Per risolvere la crisi dei rifugiati, più che immaginare come integrarli nei paesi in cui sono arrivati, bisogna risolvere il problema per cui sono partiti e favorire un loro ritorno in patria. Bisogna trovare una via d’uscita creativa per Assad e capire che i costi della guerra sono maggiori dei guadagni che alcuni ci fanno. Anche la Russia deve comprendere che ha una patata bollente tra le mani e deve trovare una via d’uscita che vada oltre Assad ed il suo clan. Si deve capire che si può avere un futuro più costruttivo per tutti se si supera questa devastante guerra.

I tre milioni e mezzo di libanesi sembrano spaventati dalla presenza di oltre un milione e mezzo di rifugiati siriani e palestinesi presenti nel Paese

La grandissima maggioranza dei libanesi non vuole far diventare libanesi il milione di siriani e i cinquecento mila palestinesi, però bisogna essere pragmatici e affrontare il problema, perché non è facile farli tornare indietro vista la situazione della regione. Bisogna trovare una soluzione condivisa. I rifugiati sono usati per creare un clima di paura tra i vari gruppi culturali e religiosi, sostenendo che tutto cambierà in peggio se gli diamo la cittadinanza. Bisogna trovare una via d’uscita razionale e condivisa.

Lei è stato anche banchiere e Ministro delle Finanze in Libano. Come sta andando l’economia del paese?

Bisogna prendere in mano la situazione economica e fiscale. Non è una questione facile, le riforme economiche si possono davvero fare quando un paese non è in profonda crisi e quindi può permettersi di farle. Quando si è obbligati a farle, il costo diventa davvero alto e doloroso e non è detto che le riforme riescano. Io sono stato in passato anche Ministro delle Finanze e ho scritto tantissimi documenti e paper su questo, ma nulla è accaduto. Ormai servono riforme radicali, non solo finanziarie e fiscali, ma soprattutto una riforma dello Stato, che non può essere visto come una torta in cui alcuni politici o gruppi si spartiscono i frutti per diritto. Lo Stato deve fare politiche per l’interesse generale. La gente ormai non crede più nello Stato e nella politica. Bisogna affrontare velocemente questo enorme problema.

Si stanno facendo politiche per fare rientrare i milioni di libanesi che vivono all’estero?

Non accadrà facilmente perché la gente parla di cambiamenti e non li attua. Bisogna risolvere i problemi per cui le persone vanno via. Serve meritocrazia, uno Stato non settario, un’economia che funzioni. I libanesi all’estero non devono diventare però un’ossessione per i cristiani in Libano, visto che pensano che sia la loro comunità ad aver avuto più emigrati e che temono che i musulmani facciano più figli. L’accordo costituzionale prescrive che musulmani e cristiani debbano dividere il potere al cinquanta per cento senza ossessioni demografiche. Bisogna quindi favorire il ritorno di tutti i libanesi che vogliono, al di là della religione, creare uno stato che funzioni bene e un’economia forte. Anche perché oggi, in realtà, chi decide di lasciare il paese appartiene a tutte le differenti comunità religiose.

Dacci ancora un minuto del tuo tempo!

Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.