Troppi nodi mai sciolti, tentativi di accordo non andati a buon fine, rancori impossibili da dimenticare. I dissapori tra Belgrado e Pristina rallentano a dismisura il processo di integrazione europea per Serbia e Kosovo e la stabilizzazione dei Balcani, minacciata anche dal nuovo fenomeno Isis, sembra sempre più un abbaglio che aveva impedito di vedere la realtà negli ultimi anni. La Serbia, sempre più attratta dalla prospettiva europeista, è disposta a compiere tutti i passi che le vengono richiesti, tranne uno. “Non riconosceremo mai l’indipendenza del Kosovo”, ha confermato l’ufficio del presidente serbo Tomislav Nicolic, mentre i nuovi negoziati di Bruxelles sulla questione sono entrati nel vivo.Per approfondire: I campi dell’Isis in KosovoIl ministero degli esteri tedesco, sotto la spinta di Belgrado per l’entrata nella Ue della Serbia, aveva auspicato per bocca del suo responsabile agli affari europei che ogni incomprensione sulla questione Kosovo venisse appianata, ma la risposta chiara e senza possibilità di equivoci della Serbia ha smorzato ogni possibile entusiasmo. Stanislava Pak, consigliere del Capo di Stato serbo, ha ribadito che il presidente “non violerà mai la Costituzione”. Come ben si sa, la Costituzione elenca il Kosovo tra le province della Serbia. L’affermazione è quindi perentoria e suona come una famosa pubblicità: “Toglieteci tutto, ma non il nostro Kosovo”. La dichiarazione sembra contrastare con le esternazioni del premier serbo Vucic, che ha promesso di portare il suo paese nell’Unione europea entro il 2020, assicurando di potere appianare tutte le questioni in sospeso, compresa dunque quella dell’indipendenza del Kosovo. I suoi ministri non sembrano d’accordo con lui. Dal governo qualcuno lo accusa di voler sembrare europeista a tutti i costi e in tanti ricordano che i problemi aperti con Pristina sono ancora troppi. Qualche anno fa, ad esempio, dalla capitale kosovara era stato promesso di concedere maggiore autonomia alle municipalità serbe nel Nord del Paese, riconoscendo loro un presidente, un parlamento, una bandiera. Il progetto, denominato “Associazione delle municipalità serbe”, non è mai decollato e ha trovato strenua opposizione negli ambienti politici di Pristina.Per approfondire: Il Kosovo sprofonda nel terroreLa netta linea di demarcazione che separa serbi e kosovari è del resto ancora oggi tracciata a livello fisico: simbolo di tutte le divisioni resta il ponte sul fiume Ibar, che spezza in due la città di Mitrovica. I serbi vivono a nord del fiume, gli albanesi a sud. Periodicamente viene tentata la riapertura al traffico automobilistico del ponte. Puntualmente, il tentativo fallisce perché minacce, granate e colpi d’arma interrompono quello che la buona volontà di alcuni cerca di ottenere. Intanto Bruxelles aspetta. Anche perché lo stesso Kosovo ha avanzato le sue istanze circa l’entrata nella Ue e, ovviamente, non ha nessuna intenzione di rinunciare a quell’indipendenza autoproclamata e riconosciuta da molti Stati della comunità internazionale, ma non da tutti. L’imbarazzo dei vertici europei inizia ad essere palese. Portare in Europa un conflitto mai risolto non gioverebbe ad una Ue già debole e, parimenti, ignorare le richieste di chi vuole entrare non si può. Di fronte a tutto questo, il processo di integrazione è impantanato.
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