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Il Baltico non è mai stato un problema secondario per la Russia. Non lo era quando Pietro il grande scelse di costruire lì la nuova capitale, e quando la guerra del nord fece scontrare le forze dello zar contro la Svezia e altre potenze regionali. Non lo è stato durante la Seconda guerra mondiale, quando l’Unione Sovietica fece il possibile per ripristinare il territorio dell’impero perduto dopo la fine del conflitto precedente. E nella Guerra Fredda, la persistenza di stati satellite uniti al “cuscinetto” scandinavo formato da Finlandia e Svezia aveva in qualche modo rassicurato Mosca sulla possibilità che quel mare non rientrasse più nella sfera di influenza russa.

Dopo la dissoluzione dell’Urss e con la spinta delle nuove realtà regionali di entrare a far parte di Nato e Unione europea, per il Cremlino la via del Baltico è risultata sempre più stretta diventando così garantita solo da tre elementi: San Pietroburgo, l’exclave di Kaliningrad, la neutralità (per quanto attiva) di Finlandia e Svezia. Una situazione in ogni caso complessa, che si è contraddistinta in particolare per la sensazione, tipica della strategia russa, di sentirsi una fortezza sotto assedio, in questo caso dalla Nato, e con la via verso il mare ostruita da un blocco avversario. La nascita della iniziativa dei tre mari come costruzione di una barriera geopolitica che collegasse, su spinta Usa, il Baltico, l’Adriatico e il Mar Nero era l’emblema di una cintura strategica che rendeva quel mare settentrionale una sorta di avamposto occidentale sullo sbocco russo per l’ovest e non più, al contrario, l’avamposto russo verso occidente.

L’annuncio della richiesta di adesione di Finlandia e Svezia all’Alleanza Atlantica non ha fatto altro che palesare una realtà già molto chiara sia agli occhi degli strateghi russi che di quelli occidentali, americani in primis. Helsinki e Stoccolma, per quanto neutrali, non erano in una posizione di assoluta neutralità nei confronti di Mosca, e anzi hanno fatto capire già a suo tempo di avere blindato l’appartenenza all’Occidente rafforzando il partenariato strategico con la Nato e aderendo, prima, all’Unione europea. Tuttavia, se dal punto di vista strategico nulla cambia a livello materiale, dal punto di vista politico il segnale è evidente: esclusa Kaliningrad, ultima roccaforte di Mosca sul Baltico, quel mare è ormai appannaggio di Washington, che può disporne come meglio crede per rafforzare il suo vantaggio nei confronti dell’avversario al Cremlino.

Non deve dunque sorprendere che ora, nel pieno della crisi tra Ovest ed Est in questa rinnovata fase di “cortina di ferro” calata sull’Europa il Baltico sia diventato l’epicentro di una nuova escalation. Kaliningrad è oggi il punto di contatto più allarmante tra i due blocchi. Ma è soprattutto un avamposto che, come dimostrato dalla decisione lituana sulle merci e con lo spazio aereo europeo chiuso ai voli russi, può essere completamente isolato. Un’eventualità che gli strateghi russi conoscono bene, dal momento che da tempo hanno individuato nel Suwalki gap, il corridoio che divide Bielorussia e Kaliningrad e che unisce, invece, Lituania e Polonia, uno dei grandi nodi strategici delle future relazioni con la Nato. Quella striscia di terre che estromette la Bielorussia dal mare ma che soprattutto divide l’exclave russa dell’ultima provincia dell’impero di Mosca è da tempo un pallino sia dei russi e che delle forze atlantiche. Per entrambe le fazioni, ma da prospettive opposte, quello è il vero tallone d’Achille della Nato in Europa orientale: facile da attaccare e difficile da difendere. Un modo per isolare i baltici dalla Nato (almeno via terra) e di unire definitivamente Kaliningrad alla madrepatria. Difficile che questo possa accadere nel breve termine, visto che i Paesi fanno parte di Ue e Nato. Ma è chiaro che un isolamento totale dell’avamposto potrebbe far scattare delle decisioni da parte di Mosca.

Del resto non è un caso che le forze britanniche abbiano da tempo rafforzato la loro presenza proprio in quei territori, in particolare in Estonia. L’appartenenza alla Nato farebbe scattare dei piani di difesa ben diversi rispetto a quelli visti in Ucraina, ma il rischio di incidenti non è da sottovalutare. Uno come quello avvenuto in queste ore, in cui un elicottero russo ha violato lo spazio aereo estone. Il ministero degli Esteri ha convocato l’ambasciatore russo, e si teme che ogni scintilla possa fare esplodere una nuova crisi.

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