Un rapporto che la Gran Bretagna ha aspettato per sette anni. Composto di 12 volumi e 2,6 milioni di parole. Costato 10 milioni di sterline. Il rapporto Chilcot è destinato a riscrivere una pagina della storia della Gran Bretagna e di tutto il mondo. Quello dell’operazione Iraqi Freedom, lanciata da Stati Uniti e Gran Bretagna contro Saddam Hussein, nel marzo del 2003.Per approfondire: Perché l’Iraq rischia di scomparireIl presidente della Commissione d’inchiesta, John Chilcot, che ha esaminato il ruolo della Gran Bretagna nella guerra in Iraq dalla preparazione dell’intervento, all’azione militare, fino alle sue conseguenze, ha riferito mercoledì a Londra sul contenuto del rapporto, che, dalle 12 dello stesso giorno sarà di pubblico dominio e consultabile sul web.Quella presa dall’allora presidente Tony Blair, secondo il rapporto Chilcot, fu una decisione “di estrema gravità”: “non giustificata però da una minaccia imminente da parte del regime del defunto dittatore iracheno Saddam Hussein”. La famosa fialetta di antrace che l’allora segretario di Stato americano, Colin Powell, sventolò davanti al Consiglio di Sicurezza degli Stati Uniti nel febbraio del 2003, per il rapporto Chilcot, non fu una prova sufficiente a giustificare l’intervento. I “25 mila litri di antrace” di cui avrebbe dovuto disporre Saddam Hussein, del resto, non furono mai trovati. E i dati presentati come certi da Tony Blair alla vigilia dell’intervento, svela il rapporto, assieme alle valutazioni sull’arsenale chimico di Saddam, erano “fallaci”, e sottolinea la commissione, “non furono messi in dubbio, mentre avrebbero dovuto esserlo”.Blair, ha detto John Chilcot nel suo intervento di presentazione del rapporto, intervenne a fianco degli Usa nell’operazione Iraqi Freedom, senza valutare tutte le alternative pacifiche possibili. L’intervento militarecontro il governo di Saddam non era l’ultima opzione disponibile nel marzo 2003. “Si sarebbe potuta adottare una strategia di contenimento e portarla avanti per un certo periodo di tempo”, ha spiegato infatti mercoledì al centro congressi Queen Elizabet II, a Westminster, il presidente della commissione incaricata di redigere il rapporto, Sir John Chilcot.Per approfondire: “Gli Usa riflettano sui loro disastri in Iraq”Una decisione precipitosa, costata la vita a 179 soldati britannici, e dalle conseguenze rischiose per la Gran Bretagna e per l’intera regione mediorientale. Conseguenze sulle quali Blair, sempre secondo il rapporto, era stato messo in guardia. L’allora premier inglese sapeva che “un’azione militare avrebbe aumentato la minaccia di al-Qaeda al Regno Unito e agli interessi britannici” e che “un’invasione avrebbe potuto far finire le armi e le capacità militari irachene nelle mani dei terroristi“, ha detto Chilcot. Il rapporto sottolinea quindi come la campagna che ha portato all’impiccagione trasmessa in modo visione del “dittatore” nemico Saddam Hussein, e alla successiva destabilizzazione del Paese, abbia condotto allo scenario odierno, nel quale intere aree del Paese restano nelle mani delle bandiere nere del Califfato. Una guerra che ha diffuso una instabilità che ha causato “a partire dal 2009, la morte di oltre 150mila iracheni”, “la gran parte civili”. “Più di un milione hanno dovuto lasciare le loro case e tutto il popolo iracheno ha sofferto enormemente”, ha detto Chilcot. L’ultimo tratto della scia di sangue che va avanti dal 2003 è stato il devastante attentato compiuto dall’Isis sabato notte nel quartiere sciita di Karrada, a Baghdad, costato la vita oltre 250 persone.Il rapporto è un durissimo atto d’accusa contro l’ex premier labourista Tony Blair, che ha potuto visionare in anteprima il documento nella giornata di martedì e che mercoledì ha detto di aver agito “in buona fede” e nell’interesse degli inglesi. “Io non credo che la rimozione di Saddam Hussein sia la causa del terrorismo a cui assistiamo in Medio Oriente e altrove”, ha detto l’allora premier. La storia però, non gli ha dato ragione. “La cosa più importante che possiamo fare è imparare la lezione per il futuro”, ha detto, quindi, il premier inglese David Cameron, mentre le famiglie dei militari inglesi morti nel conflitto stanno studiando un’azione legale contro chi autorizzò l’intervento.

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