Cresce l’attesa per il referendum del prossimo 23 giugno in cui gli inglesi si pronunceranno sulla permanenza o meno della Gran Bretagna in Europa. E, a poche settimane dal voto, si alzano i toni della campagna referendaria ed è ormai un testa a testa, nei sondaggi, fra gli inglesi che vorrebbero dire addio all’Unione Europea e quelli che invece vorrebbero evitare la Brexit.Fare previsioni sull’esito della consultazione è impossibile. Quello che è certo però, è che il sentimento di sfiducia nei confronti delle istituzioni europee è in crescita fra i cittadini: e non solo nel Regno Unito. Un sondaggio del Pew Research Center, pubblicato oggi dal network di informazione tedesco Deutsche Welle, mostra, infatti, confermando i più recenti sondaggi, come il 48% degli elettori inglesi abbiano una opinione negativa dell’Ue, mentre “solo” il 44% guardi con favore alle istituzioni comunitarie.Ma il sondaggio del centro di ricerca statunitense mostra come la sfiducia verso le istituzioni europee, oggi, non sia una peculiarità soltanto britannica. L’euroscetticismo, secondo quanto emerge dalla ricerca “Euroscetticismo oltre la Brexit”, è in crescita, infatti, in tutta Europa. E sono “circa due terzi sia degli inglesi, sia dei greci”, assieme ad ulteriori significative fette di popolazione di altri Paesi europei, a desiderare che alcuni poteri fossero restituiti da Bruxelles ai parlamenti nazionali. Nelle dieci nazioni prese in considerazione nella ricerca, se il 51% degli europei mantiene una visione favorevole dell’Ue, il 42% della popolazione, d’altra parte, ha una visione opposta e vorrebbe che i parlamenti nazionali tornassero a decidere autonomamente sulle principali questioni all’ordine del giorno.Il quadro tracciato dal sondaggio del Pew mostra un’Europa sostanzialmente spaccata in due tra euroscettici e pro-Ue. Ma sui temi di maggiore attualità, come l’economia e l’immigrazione, le percentuali di chi giudica negativamente l’operato dell’Unione Europea crescono notevolmente. Il 77% degli italiani, il 75% degli spagnoli, l’88% degli svedesi e il 94% dei greci è critico sulla gestione comunitaria della crisi migratoria. Allo stesso modo viene giudicata negativamente la gestione economica dell’Ue dal 92% dei greci, dal 68% degli italiani e dal 66% dei francesi.Il Paese più euroscettico si conferma la Grecia, mentre il secondo è, a sorpresa, la Francia, dove solo il 17% della popolazione si dichiara favorevole all’operato delle istituzioni Ue. Lo scorso anno, secondo i ricercatori americani, la stessa percentuale si aggirava attorno al 38%. Una curiosità, invece, è che, secondo la ricerca, il supporto pubblico verso l’Ue è più forte, paradossalmente, in Polonia e Ungheria, dove al governo siedono partiti fortemente euroscettici.Il 70% circa degli intervistati in nove nazioni europee, però, sono concordi nell’affermare che se gli inglesi il prossimo 23 giugno decidessero per la Brexit, questo avrebbe conseguenze negative per l’Europa.Economia e immigrazione sono stati anche il principale terreno di scontro nel faccia a faccia televisivo tra il premier britannico David Cameron e il leader euroscettico dello Ukip, Nigel Farage, che oggi a Strasburgo si è augurato che “il prossimo 23 giugno non sia solo il giorno dell’indipendenza del Regno Unito, ma anche quello che segna la fine del progetto europeo”. La rimonta dei “brexiters” è sostenuta, infatti, soprattutto dalla retorica anti-immigrazione di Farage e degli altri leader euroscettici, per i quali l’Ue sarebbe “spacciata” e destinata a scomparire “nel giro di 30 anni al massimo”. La Gran Bretagna, sostiene Farage, non può accogliere “mezzo milione di stranieri in più ogni anno”.Sul fronte pro-Ue, al contrario, Cameron ha sottolineato i rischi che un addio della Gran Bretagna a Bruxelles potrebbe comportare: dalla recessione economica ad un calo del peso politico del Regno Unito negli affari internazionali. Non solo, per il primo ministro una Brexit comporterebbe un calo delle opportunità per i giovani e potrebbe determinare una nuova spaccatura con la Scozia, mettendo a rischio l’integrità del Paese.La partita resta però più che mai aperta e il risultato delle urne è imprevedibile. Quello che è certo, finora, è che il dibattito di ieri ha spinto oltre mezzo milione di elettori a registrarsi per votare al referendum del prossimo 23 giugno. Una affluenza tale, che ha fatto addirittura saltare i sistemi operativi 90 minuti prima dello scadere del termine indicato dal governo, a causa della mole di visitatori. Una circostanza che ha spinto Downing Street a pensare ad un’estensione dei termini per la registrazione, per permettere di votare anche a chi non ce l’ha fatta a registrarsi entro i limiti previsti.
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