Dopo sessant’anni dalla crisi di Cuba che tenne il mondo con il fiato sospeso, Cuba e la Russia hanno scelto di celebrare la loro entente cordiale con un viaggio molto più che simbolico del presidente cubano Miguel Diaz Canel a Mosca.

La visita di Diaz Canel a Mosca

Il presidente Vladimir Putin e quello cubano hanno inaugurato insieme una statua in bronzo di Fidel Castro, al culmine di una visita che ha sottolineato la sintonia politica fra Mosca e L’Avana contro le sanzioni occidentali. “Entrambe i paesi, Russia e Cuba, sono soggetti a sanzioni ingiuste”, ha detto Diaz Canel, citato dalla Tass. Putin, dal canto suo, si è lasciato andare nostalgicamente al ricordo delle “ore di conversazione” con il defunto leader cubano. Castro diceva che “ogni paese aveva diritto a svilupparsi liberamente, a scegliere la sua strada, e che le dittature, il saccheggio e il neocolonialismo non hanno posto in un mondo giusto”, ha tuonato lo zar. L’incontro è stato perfino “benedetto” dalla presenza del patriarca Kirill e dell’ex presidente russo Dmitry Medvedev.

Nella retorica di Diaz Canel hanno risuonato i sempiterni ritornelli sull’ “l’impero yankee“, nemico comune di Cuba e Russia, ma anche una presa di posizione netta sulla guerra in Ucraina: “Capiamo che questo conflitto deriva dalle macchinazioni americane”, ha dichiarato il leader cubano , aggiungendo che Putin “aveva avvertito da molto tempo il mondo che l’espansione della Nato verso la Russia era semplicemente inaccettabile”.

Cuba ha bisogno di Mosca. O il contrario?

Tutta la visita di Diaz Canel è costellata da riverenza e lodi per Putin strombazzate a mezzo stampa, talmente insistenti da sembrare artefatte da un leader con il cappello in mano. Cuba non è più oasi protetta del socialismo reale, ma un vero dramma umanitario. Così come gli anni Sessanta sono finiti da un pezzo. Resta però un’enclave imprigionata nella storia, a settanta miglia dal territorio degli Stati Uniti che prima o poi sarebbe finita nel frullatore di questi mesi, complice la crisi che vive da anni e il fatto che sia diventata, suo malgrado, periferia del mondo multipolare. Tanto da non essere chiaro se sia Cuba ad aver bisogno del sostegno di Mosca o se per Mosca L’Havana sia uno spauracchio da agitare all’occorrenza.

Cuba, dopo mesi di conflitto in Ucraina, inizia a risentire delle sanzioni occidentali imposte alla Russia, in particolare nel settore energetico e in quello turistico, considerando che i turisti russi qui non possono più arrivare. Da oltre due anni l’isola è alle prese con carenze croniche di alimenti, farmaci e altri beni di prima necessità come il carburante. I lavoratori non vengono pagati da mesi, assieme a molti investitori stranieri. Salito al potere, Diaz Canel aveva sperato in un potenziamento del supporto economico di Mosca, alla luce anche del futuro incerto delle aperture di Washington. Ma su quelle promesse di aiuti e di investimenti è andata a schiantarsi la vicenda ucraina. Forse è per questo che lo scorso 2 marzo, Cuba ha preferito astenersi piuttosto che votare contro all’Assemblea generale dell’Onu che condannava l’invasione russa.

Diaz Canel sa bene che i tempi di vacche grasse (russe) son finiti e, al di là della propaganda o di chissà quale antico filo ideologico che univa Cuba alla grande madre Russia, occorre salvare un Paese al collasso, poco importa se con i dollari o i rubli. L’ultimo decennio è stato segnato da un’attenzione particolare all’economia ma soprattutto da quattro anni di stagnazione che ha aperto, nel 2020, a una contrazione dell’11%. A gennaio del 2021, il governo ha poi eliminato il problematico sistema a doppia valuta in vigore dal 1994, eliminando il cosiddetto CUC (pesos cubano convertibile) e ha fissato il tasso di cambio ufficiale a 24 pesos per dollaro: tutto questo ha generato un picco dell’inflazione, con alcuni prezzi che sono aumentati fino al 500%, come quello della corrente elettrica.

Quali saranno le prossime mosse di Biden?

Il perenne flirt con Mosca non porta i risultati sperati, e dunque anche gli yankee potrebbero tornare utili per il “leale tecnocrate” Diaz Canel. Nelle midterm nè vinte nè perse Cuba era apparsa come un fantasma: per la prima volta, dopo essere stata investita dall’uragano Ian, ha accettato due milioni di dollari offerti da Usaid. Gli Usa hanno riaperto una serie di voli verso l’isola oltre che le visite culturali di cittadini americani e le missioni di imprenditori. Ma sui rapporti trasnfrontalieri incombe soprattutto la bomba migratoria, che ha portato un aumento del 450% degli sbarchi in Florida solo quest’anno.

Proprio il sunshine state rappresenta l’anello di congiunzione tra le politiche americane e Cuba. Nel legare le mani a Biden hanno avuto un ruolo fondamentale le comunità anticastriste statunitensi, in particolare quelle della Florida, che invece hanno dato largo appoggio a Trump e alle sue iniziative. Qui Ron De Santis, riconfermato governatore, ormai competitor di Trump per le primarie del Gop, è esponente di quei repubblicani che tanto piacciono agli ex-esuli, nemici giurati dei dem. Sarà difficile che lo Stato passi di mano nel futuro prossimo e questo potrebbe essere comodo per Biden, libero dall’ossessione di dover inseguire i falchi locali.

Il presidente, tuttavia, non può a lungo ignorare il colpo di coda dell’amministrazione Trump, che nel gennaio del 2021 ha designato Cuba come sponsor del terrorismo, nullificando la storica svolta dell’era Obama che aveva scongelato i rapporti con l’isola caraibica. La notizia, di per sé, non sorprese nessuno: Cuba era già stata etichettata come parte di una “Troika della tirannia” con Nicaragua e Venezuela. La mossa tuttavia, apparve anche come un astuto piano per mettere i bastoni fra le ruote alla politica estera latina di Biden. Al momento dell’insediamento, le nomine del presidente Usa avevano fatto ben sperare i cubani: Antony Blinken come Segretario di stato e Jake Sullivan come consigliere alla politica estera, erano già consiglieri di Biden o di Barack Obama ai tempi del disgelo del 2015.

Un segnale di svolta prossima potrebbe essere l’annuncio che l’Ambasciata Usa all’Avana il 4 gennaio riprenderà in pieno il servizio dei visti dopo l’affaire “Sindrome dell’Avana”. Il primo passo, forse, per una serie di “scongelamenti” ulteriori che potrebbero rappresentare aria fresca per l’economia cubana ridotta all’asfissia. Ma l’appoggio incondizionato di Diaz Canel a Putin e alla sua crociata potrebbe creare un ostacolo non negoziabile, al di là di un Dipartimento di Stato ben disposto. In gioco c’è la credibilità della linea americana verso Mosca, al di là di qualsiasi ammorbidimento o frenata sul sostegno a Kiev.

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