Nel quadro delle elezioni locali che interesseranno il Regno Unito nella giornata del 6 maggio il voto scozzese ha un particolare significato politico di respiro interno ed internazionale. Il rinnovo dei 129 seggi del parlamento scozzese andrà in scena parallelamente a un’elezione amministrativa di valore nazionale in cui il premier Boris Johnson punta, dopo la pandemia e il perfezionamento della Brexit, a consolidare la forza del vento in poppa dei sondaggi che premiano i Conservatori. E nel pieno della polemica sulla possibile riproposizione di un referendum per il distacco di Edimburgo dal Regno. Ipotesi respinta dal governo di Londra, che con la Brexit ha mirato a consolidare il fondativo “impero interno” degli inglesi e a bloccare le spinte centrifughe delle nazioni celtiche che, come dimostra il redivivo movimento scozzese, il caos in Irlanda del Nord e anche alcuni cambiamenti in atto in Galles, negli ultimi anni hanno assunto dimensione crescente.
La sfida di Nicola Sturgeon
E non è un caso che con un Partito Laburista in crisi di identità l’anti-Johnson per eccellenza nel Paese sia diventata, in parte controvoglia, la First Minister scozzese Nicola Sturgeon, leader dello Scottish National Party che nel 2016 ha guidato a un’importante affermazione nelle ultime elezioni regionali (63 seggi su 129 conquistati e oltre il 46,5% dei voti) e a due autentici trionfi nella corsa ai distretti uninominali nei voti nazionali del 2017 e del 2019, il cui lo Snp, fattosi alfiere dell’identitarismo scozzese dopo la schiacciante vittoria del Remain al referendum sulla Brexit (62% nel giugno 2016), ha conquistato rispettivamente 56 e 48 seggi su 59 in palio per il Parlamento di Londra. In cui da due legislature è stabilmente terza forza.
Ebbene, molto è in gioco in questa elezione. La Sturgeon e lo Snp mirano a rafforzare la loro presa sul Parlamento scozzese facendosi portavoce delle pulsioni autonomiste, se non addirittura indipendentiste, della storica regione del Regno Unito; i Conservatori che col 22% e 31 seggi fecero un’ottima prestazione alle elezioni del 2016 mirano a confermarsi competitivi e a fungere da portavoce della volontà dei lealisti alla corona britannica. Douglas Ross, leader della sezione scozzese del partito dal 2020 e nome noto agli appassionati calcistici d’Europa per il suo ruolo di guardalinee nelle principali competizioni Uefa, punta a un risultato simile dopo l’avanzata compiuta nel 2019 alle elezioni generali.
Ross non è un sostenitore strenuo di Johnson ma interpreta una linea comune al premier: il referendum del 2014 era stato richiesto dal leader scozzese Alex Salmond per essere uno once-in-a-generation vote e la Brexit non deve cambiare le carte in tavola. Sturgeon la pensa diversamente, avendo puntato sul dualismo con Londra buona parte delle sue carte politiche e criticando la capitale per il fatto che David Cameron, allora premier, avesse utilizzato l’arma del possibile veto britannico all’ingresso scozzese nell’Unione Europea come arma per favorire la vittoria dei contrari all’indipendenza.
Il voto come termometro per un nuovo referendum
Il Foglio nota che tra i sostenitori del partito di governo scozzese si è radicata l’idea che l’esito delle urne “dirà quanto la Sturgeon si sentirà legittimata a reclamare dal governo centrale l’autorizzazione per un altro referendum. In altre parole, si dice, se le forze indipendentiste avranno la maggioranza nel Parlamento scozzese, allora Londra non potrà evitare di permettere una nuova consultazione”. Ma la questione non è così semplice e lineare: in primo luogo lo Snp è da diversi anni maggioritario nel Paese e nemmeno lo stop del 2014 ne ha precluso la possibilità di continuare ad amministrare la Scozia. Inoltre, non è detto che tutto il bacino di voti del partito sia, automaticamente, favorevole alla causa indipendentista come invece si può dire del più piccolo e radicale Alba Party, che mira ad entrare al Parlamento di Edimburgo.
La Bbc ha recentemente sottolineato come BoJo abbia indicato che di referendum per l’indipendenza scozzese non si debba parlare per almeno quarant’anni e che tra alcune comunità scozzesi, specie quelle di pescatori del Nord della regione, l’indipendentismo non va necessariamente a braccetto con l’europeismo. Certamente si nota in queste occasioni quanto la Brexit sia stata, di fatto, l’ultima epopea imperiale degli inglesi (intesi in senso stretto e non metonimico come sinonimo di “britannici”) per riaffermare la presa economica e geopolitica sul resto del Regno. Ma anche quanto complesse siano le strumentalizzazioni delle cause nazionali per fini politici di breve termine e piccolo cabotaggio. Lo Snp sventola la causa indipendentista come arma, ma non ha un progetto su come governare attivamente un’eventuale Paese slegato da Londra, dai suoi aiuti fiscali, dal sostegno della Banca Centrale e del governo all’economia, dai suoi agganci globali. Addirittura l’Institute for Fiscal Studies ha pubblicato un rapporto sul fatto che la Sturgeon dovrebbe promuovere, in caso di indipendenza del Paese, un pacchetto di aumenti delle tasse, politiche austeritarie e tagli di bilancio per evitare all’economia nazionale di implodere sotto il peso della fragilità monetaria e della quota di debito a rating basso o nullo.
L’indipendentismo paga dunque come arma politica e retorica per ottenere quello che forse è il vero obiettivo della Sturgeon: la maggioranza assoluta dei seggi per una navigazione tranquilla nel governo della Scozia nel prossimo quinquennio. L’ultimo sondaggio di YouGov dava il Snp al 52% dei voti contro il 20% dei Tory e il 19% dei laburisti. Anche al governo centrale, in ogni caso, il radicalismo scozzese torna in un certo senso unico, aiutando BoJo a galvanizzare i suoi sostenitori nelle roccaforti strappate ai laburisti e che hanno trainato la Brexit al successo. La sfida retorica serve sia a Londra che a Edinburgo e in un certo senso la polarizzazione tra le due capitali, quella nazionale e quella locale, garantisce una crescita di consensi a entrambi i duellanti nell’agone politico. Il tutto a spese dei laburisti, destinati ad essere i grandi sconfitti sia nelle amministrative britanniche che oltre il Vallo di Adriano. Talmente indecisi su ogni questione da risultare ininfluenti.