La spaccatura venutasi a creare tra Ungheria e Unione europea potrebbe allargarsi al punto da diventare irreversibile. Budapest ha tracciato linee rosse e lanciato molteplici avvertimenti all’indirizzo di Bruxelles. Il premier ungherese Viktor Orban ha perfino annunciato una consultazione nazionale per misurare l’opinione dei cittadini magiari sullo spinosissimo tema delle sanzioni energetiche contro la Russia.
Già, le sanzioni: è proprio questo il breaking point principale che rischia di far deragliare la strategia dell’Ue per “punire” Mosca. “Le sanzioni sono state introdotte in maniera non democratica, perché sono state decise dai burocrati di Bruxelles ma a pagarne il prezzo sono gli europei”, ha tuonato Orban, lasciando intendere che l’Ungheria potrebbe discostarsi dall’azione congiunta dell’Ue contro il Cremlino.
Anzi: si smarcherà quasi sicuramente nel caso in cui l’Europa dovesse inserire misure restrittive sull’energia nel nuovo pacchetto sanzionatorio anti russo. La giustificazione di una simile presa di posizione, a sentire i rappresentanti ungheresi, è da ricercare nella sicurezza energetica nazionale. Senza l’ombrello energetico russo, tra pezzi in aumento e assenza di risorse alternative a buon mercato, Budapest teme di trovarsi con l’acqua alla gola.
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La variabile economica
Certo, accanto alla vicenda energetica che coinvolge la Russia, tra Ungheria e Ue troviamo anche un’altra frattura. La Commissione europea non ha ancora approvato il piano dell’Ungheria necessario per sbloccare i finanziamenti del Next Generation Eu, anche chiamato Recovery Fund. Bruxelles, infatti, teme che il governo ungherese possa impiegare i fondi per altri fini. Non per stimolare la ripresa economica ungherese ma, ad esempio, per legittimare il proprio consenso interno e violare norme europee sullo stato di diritto.
È per questo che la stessa Commissione, a meno di correttivi richiesti a Budapest, ha proposto il taglio del 65% dei fondi di coesione, pari a 7,5 miliardi di euro, e la sospensione del Pnrr per l’Ungheria, con altri 5,8 miliardi di euro. La perdita definitiva di questi fondi, in totale 13,3 miliardi di euro, sarebbe un duro colpo per Orban, che si ritroverebbe un enorme “buco” nei conti del Paese. La decisione finale spetta al Consiglio, che ha un mese di tempo – prorogabile fino ad un massimo di altri due – per decidere il da farsi, ovvero se adottare tali misure in presenza di una maggioranza qualificata (deve votare a favore il 55% degli Stati membri, i quali devono, a loro volta, corrispondere ad almeno 65% della popolazione totale dell’Ue).
Un altro “buco” nei conti ungheresi potrebbe essere causato delle misure restrittive relative al fronte energetico. Reuters ha scritto che l’Ungheria necessita di un periodo compreso tra i tre anni e mezzo e i quattro per “allontanarsi” dal greggio russo, effettuare enormi investimenti e adeguare così la sua economia alle nuove condizioni geopolitiche. Fino a quando non ci sarà un accordo su tutte le questioni, Budapest non sosterrà quindi l’embargo petrolifero proposto dall’Ue, né altre misure restrittive in materia di energia.
Le possibili soluzioni di Orban
Collegando i due “buchi” economici, si potrebbe pensare che l’Ungheria stia facendo leva sul nodo energetico, minacciando il veto su ipotetiche nuove sanzioni anti russe, per convincere l’Ue a non fare passi falsi in tema di Pnrr e Stato di diritto. In termini concreti, Orban non ha alcuna intenzione di perdere i finanziamenti europei, né di subire ulteriori privazioni che deriverebbero dal ritorno di fiamma di misure energetiche restrittive rivolte contro la Russia. Misure, per di più, approvate per compiacere la stessa Bruxelles che ha accusato Budapest di non essere una democrazia.
Le minacce e gli avvertimenti possono essere utili fino ad un certo punto. Superato il limite massimo, Orban non potrà che scendere a compromessi cercando di raccogliere più benefici possibili. In alternativa, l’Ungheria potrebbe rompere definitivamente con l’Ue e intraprendere altre, pericolose strade. Orban ha recentemente dichiarato di non star negoziando solo con l’Unione Europea per quanto concerne le risorse necessarie per modernizzare le infrastrutture energetiche nazionali (che valgono 16 miliardi di euro). Ma quali potrebbero essere le alternative all’Ue?
La Russia potrebbe fare al caso di Budapest ma, a causa delle sanzioni imposte dall’Ue a Mosca, Mosca non può fornire sostegno finanziario diretto al governo magiaro. Una fonte esterna potrebbe essere la Cina, che in genere sostiene gli investimenti infrastrutturali. Un’opzione simile comporterebbe però un prezzo geopolitico piuttosto alto, nonché il rischio di creare nuove tensioni in seno all’Ue. Resta il Fondo Monetario Internazionale. Anche se, come spiegato dal ministro della presidenza del Consiglio dei Ministri ungherese, Gergely Gulyas, a Budapest non sarebbe ancora venuto in mente di negoziare risorse con l’FMI.