Si alza la tensione in Ecuador dopo i violenti scontri, che hanno avuto luogo in diverse città del Paese, tra polizia e manifestanti. Questi ultimi avevano preso parte allo sciopero nazionale, indetto per protestare contro le misure di austerità decise da Quito. Diverse persone sono rimaste ferite mentre almeno diciannove sono state arrestate. La soppressione dei sussidi statali al carburante, che ha provocato un’impennata dei prezzi di benzina e diesel alle pompe, è stata di certo la misura che ha suscitato la maggiore disapprovazione. La violenza nelle strade ha spinto il presidente Lenin Moreno a proclamare lo stato d’emergenza per tutelare la sicurezza dei cittadini. Il capo di Stato si è dimostrato aperto ad ascoltare le rimostranze dei cittadini infuriati ma, al tempo stesso, fermo nel difendere i provvedimenti adottati.
Una scelta difficile
Le misure di austerità fanno parte di un pacchetto di riforme che Quito dovrà approvare su richiesta del Fondo Monetario Internazionale, che ha deciso di concedere al Paese un prestito di 4,2 miliardi di dollari per risollevare l’economia nazionale. I soli sussidi sul prezzo del carburante costavano circa 1,3 miliardi di dollari alle casse dello Stato. L’aumento del 120 per cento dei prezzi ai distributori ha però scatenato, in un Paese in cui il tasso di povertà era, nel 2017, del 21.5 per cento, le ire di tanti cittadini ed in particolare di chi lavora nel settore dei trasporti. Lo stato di emergenza, che avrà una durata di 60 giorni e potrà poi essere rinnovato per altri 30, consentirà all’esecutivo di censurare la stampa, impiegare l’esercito nelle strade e di limitare la libertà di movimento dei cittadini. La relativa stabilità dell’Ecuador sembra essere ora a rischio e la storia recente della nazione sembra fornire indicazioni preoccupanti. Tre presidenti, nella decade compresa tra il 1996 ed il 2006, sono stati rimossi dal potere a causa del caos derivante da proteste popolari. Sotto la presidenza di Rafael Correa, iniziata nel 2007 e terminata nel 2017, il Paese ha conosciuto un periodo meno instabile e si è avvicinato politicamente al Venezuela, aderendo all’Alleanza Bolivariana per le Americhe (Alba), un’organizzazione politica regionale controllata da Caracas.
Un futuro incerto
Lenin Moreno ha progressivamente distanziato le politiche della sua amministrazione da quelle del suo predecessore. I rapporti con gli Stati Uniti sono migliorati, l’Ecuador ha lasciato l’Alba e raffreddato le relazioni con Caracas e sono state adottate politiche più fiscalmente responsabili. La necessità di migliorare le proprie prospettive economiche ha spinto Quito ad annunciare che, dal primo gennaio del 2020, l’Ecuador abbandonerà l’Opec. Il Paese ha necessità di aumentare la propria produzione per ottenere maggiori entrate e dovrà pertanto sforare la quota di produzione imposta dall’organizzazione. La decisione è meramente politica e non dovrebbe causare alcun tipo di problema in seno all’Opec.
L’instabilità che sta colpendo diversi Stati dell’America Latina potrebbe influire negativamente sulle dinamiche ecuadoregne. Il collasso economico del Venezuela, le crisi politica in Perù, i problemi dell’amministrazione Macri a Buenos Aires e le tensioni in Colombia non aiutano a rasserenare il quadro politico complessivo della regione e potrebbero contagiare anche Quito. Lenin Moreno dovrà barcamenarsi tra la necessità di conformarsi alle richieste del Fondo Monetario Internazionale e di non subire un crollo del consenso popolare. Qualora ciò non gli riuscisse c’è il rischio concreto che il caos possa tornare ad impadronirsi dell’Ecuador e travolgere il Paese.