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Solo una manciata di giorni fa il web ha rincorso una notizia proveniente dalle isole Barbados, paradiso caraibico colonia inglese fino al 1966: l’elezione a presidente di Sandra Mason, ex governatrice generale, che il 30 novembre prossimo prenderà il posto della regina Elisabetta II del Regno Unito. Nessuna transizione burrascosa, essendo il Paese indipendente da undici lustri, piuttosto un passaggio di consegne simbolo dei tempi che cambiano: sua Maestà, infatti, conservava ancora il potere di nomina del governatore generale, ovvero il braccio e il volto della Corona nello Stato insulare. Una coincidenza storica singolare, quella con lo stato di salute di Elisabetta, che allarma da giorni il Regno Unito agitando lo spauracchio della successione al trono.

Cos’è esattamente il Commonwealth

Formalmente il Commonwealth delle nazioni è un’organizzazione di Stati. Nella sostanza non è altro che la prosecuzione in altre forme di ciò che un tempo era l’impero coloniale britannico. Una rete di cinquantaquattro Stati indipendenti ed eguali che ospita 2,4 miliardi di persone e comprende sia economie avanzate che Paesi in via di sviluppo. Sulla carta i membri lavorano insieme per promuovere la prosperità, la democrazia e la pace, amplificare la voce dei piccoli Stati e proteggere l’ambiente: sebbene le radici del Commonwealth risalgano all’Impero britannico (da qui, le eterne accuse di neocolonialismo), oggi qualsiasi Paese può entrare a far parte del Commonwealth moderno. L’ultimo ad aderire è stato il Ruanda nel 2009.

Nel corso del tempo, diversi Paesi dell’Impero hanno ottenuto diversi livelli di libertà dal Regno Unito. I paesi semi-indipendenti erano chiamati Dominion. I leader dei domini hanno partecipato a conferenze con Londra dal 1887. Alla Conferenza Imperiale del 1926 parteciparono i leader di Australia, Canada, India, Stato Libero d’Irlanda, Terranova, Nuova Zelanda e Sud Africa. Alla conferenza del 1926, la Gran Bretagna e i Dominion concordarono sul fatto che erano tutti membri uguali di una comunità all’interno dell’Impero britannico. Dovevano tutti fedeltà al Re o alla Regina britannici, ma il Regno Unito non li avrebbe governati. Questa comunità era chiamata Commonwealth britannico delle Nazioni o semplicemente Commonwealth.

I Domini e altri territori dell’Impero Britannico divennero gradualmente completamente indipendenti dal Regno Unito come nel caso dell’India nel 1947. In una riunione dei primi ministri nel 1949, la Dichiarazione di Londra sancì che tutti i Paesi che lo desiderassero ne avrebbero potuto far parte, plasmando di fatto il moderno Commonwealth delle Nazioni. Re Giorgio VI fu il primo capo del Commonwealth e la regina Elisabetta II divenne capo quando morì. Ma il re o la regina britannici non ne sono automaticamente a capo: nel 1965 è stato creato il Segretariato del Commonwealth come organizzazione intergovernativa centrale per gestirne il lavoro.

Il Commonwealth in crisi

Per quanto l’organizzazione resista integerrima da decenni, gli ultimi anni e la pandemia ne hanno rivelato cattivi funzionamenti e una certa vetustà che rende necessaria una riforma totale più che un banale maquillage. Le sfide poste dalla pandemia di COVID-19 e l’incapacità di coordinare l’accesso ai vaccini per i Paesi più poveri sono stati un ottimo esempio del fallimento del Commonwealth nel capitalizzare la sua ampia appartenenza. Molti di questi membri hanno lottato per ottenere i vaccini e mantengono ancora oggi, a quasi un anno dalla diffusione delle prime dosi, tassi di immunizzazione bassissimi. Non va dimenticato che nella rete vi è l’India, il principale produttore al mondo, che avrebbe dovuto essere messa al centro di una strategia di immunizzazione internazionale avente come nucleo proprio la struttura del Commonwealth.

L’organizzazione forse paga una ben più generale sfiducia internazionale nei confronti delle organizzazioni internazionali: nel contesto della nuova Guerra Fredda, infatti, tutti gli organismi regionali o multilaterali stanno perdendo smalto, cedendo il passo al bilateralismo più aggressivo. In uno scenario come questo, anche il Commonwealth appare come una scricchiolante sovrastruttura vittoriana. Non è un caso che l’attuale Segretaria generale, la baronessa Patricia Scotland, invisa sia ai britannici che al governo australiano, uno dei maggiori contraenti dell’organizzazione. L’attuale leadership in scadenza è sfidata da una concorrente autorevole e carismatica, la kenyana Monia Juma, ex ministra degli Esteri del suo Paese, la cui candidatura sembra spaccare i leader dell’organizzazione. Juma si offre come candidata per la ri-costruzione del consenso, ma in privato alcuni leader del Commonwealth hanno affermato che gli sforzi per estromettere la Scotland “rischiano di dividere il Commonwealth regione per regione”.

Lo scorso anno la crisi del sistema si era accentuata quando il Regno Unito rifiutò di consegnare circa 4,7 milioni di sterline (9 milioni di dollari) dopo che un’indagine schiacciante su una decisione del Segretario generale Patricia Scotland mise in luce profondi problemi di governance all’interno del Segretariato. La baronessa Scotland – ex ministro del Lavoro sotto Tony Blair e Gordon Brown e membro a vita della Camera dei Lord – aveva “aggirato” le normali regole sugli appalti per girare 500.000 a un amico ed ex collega. Mesi fa l’Australia seguì a ruota, negando 800.000 dollari stanziati per l’organizzazione minacciando di bloccarne ulteriori 500.000.

Last but not least, le questioni sui diritti umani scuotono continuamente l’organismo, mettendo in luce i gravissimi divari al suo interno in termini di PIL, diritti e condizioni di vita. Tutti i Paesi membri del Commonwealth devono sottoscrivere i valori e i principi della sua Carta, compreso l’impegno per lo sviluppo di società libere e democratiche e la promozione della pace e della prosperità. Nel 2016 era stato clamoroso il caso delle Maldive: la repubblica lasciò il Commonwealth nel 2016 dopo essere stata minacciata di sospensione a causa della mancanza di progressi sulle riforme democratiche sotto l’ex presidente Abdulla Yameen: allora, il governo accusò il Segretariato parlando di procedure eseguite “ingiustamente e scorrettamente”. L’arcipelago è stato riammesso lo scorso anno dopo aver mostrato prove di processi democratici funzionanti.

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