Secondo le indiscrezioni degli ultimi giorni, Paolo Savona sarebbe stato scelto da Giuseppe Conte come prossimo presidente della Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) e potrebbe, a breve, lasciare il ruolo di ministro degli Affari Europei. La nomina non appare affatto una retrocessione, dato che la Consob è un’autorità di vigilanza di importanza fondamentale per l’operato delle società nel mercato borsistico e mobiliare e la durata della sua presidenza, pari a sette anni, eccede quella di qualsiasi ciclo governativo.
Tuttavia, l’uscita di Savona dal governo segnala che il vento nell’esecutivo è notevolmente cambiato rispetto ai tempi della sua formazione, che rischiava di naufragare quando il presidente della Repubblica, ora favorevole all’approdo di Savona in Consob, pose il veto sull’accesso del navigato accademico sardo al ministero dell’Economia. E che a fare da spartiacque sono stati, principalmente, gli atteggiamenti dei leader dei partiti di governo, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, nel periodo di definizione della manovra di bilancio e il mancato appoggio alle proposte di Savona di riforma istituzionale dell’architettura comunitaria.
Savona, il ministro-intellettuale
Savona ha sperimentato l’isolamento dell’uomo di cultura in un governo iperpoliticizzato. Ha lavorato, con risultati notevoli, in sinergia con Giuseppe Conte per convocare la prima cabina di regia sugli investimenti pubblici nell’autunno scorso. Ha svolto il ruolo di adulto nella stanza nella fase di stesura della manovra, avvertendo dei rischi della recessione globale in arrivo che rendevano opportuno un rilancio degli investimenti produttivi, poi rimasto lettera morta. Ha, in estrema sintesi, sviluppato un progetto coerente con il suo pensiero, volto a mediare tanto con il “cigno nero”, il rischio di una nuova tempesta finanziaria, e con le sue idee di un’Europa “diversa, più forte, più equa” che influenzano l’importante documento presentato a Bruxelles, propugnante riforme di ampia portata tra cui spicca la trasformazione della Bce in un istituto capace di fungere da prestatore di ultima istanza per garantire i debiti sovrani.
E il semaforo verde di Mattarella alla sua nomina alla Consob segnala come, in fin dei conti, Savona abbia fatto bene a far valere il suo rigore intellettuale di fronte a una pressione mediatica che, nel maggio scorso, gli chiedeva l’atto d’abiura: l’assunzione di colpa per il reato di (presunto) euroscetticismo. “Ma il fatto è che il professore euroscettico non era affatto, bensì pensava allora, e pensa oggi, che l’Unione sia stata costruita con così tanti errori da esigere una svolta radicale per costruirne poi una migliore”, fa notare Corrado Ocone su Formiche.
La solitudine di Savona e della sua riforma
Il fatto è che però “Savona era troppo professore e onesto intellettualmente, per deflettere dalle sue idee. Non lo ha fatto con il presidente Mattarella, non lo avrebbe fatto al ministero dell’Economia e non lo ha fatto certo a quello per gli Affari europei che gli è stato infine assegnato. Il suo ruolo nell’esecutivo però, e non solo a causa del minor peso del suo ministero, è andato sempre più assottigliandosi”. Dunque, la sua uscita dall’esecutivo potrebbe privare l’Italia di una figura fondamentale nel contesto delle relazioni in campo europeo.
E portare al centro della scena il problema del mancato appoggio a Savona nella fase dell’elaborazione del documento intitolato “Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa”. La mente economica più lucida del governo Conte ha sottolineato in un editoriale sul Sole 24 Ore come tra i big dell’Eurozona solo la sua omologa francese, il ministro Loiseau, abbia inviato una risposta al documento programmatico aprendo a una convergenza sul tema della riforma mentre secondo Savona altri, “compreso il presidente Juncker, si sono trincerati in un silenzio che voglio rifiutarmi di considerare mancanza di volontà di dialogo sui veri problemi dell’Unione”.
Questo, tra le altre cose, anche per il fatto che Savona è stato lasciato, troppo spesso, isolato nella promozione della sua azione riformista nel contesto comunitario. Difficilmente il governo gialloverde, ora, potrà esprimere una figura di analogo spessore capace di portare un ministero senza portafoglio oltre la sua dimensione di appendice di Palazzo Chigi.
Con Savona alla Consob Conte rafforza il suo ruolo nei palazzi di potere
Chi sicuramente ha sviluppato un solido asse con Savona è il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Secondo Ocone, Savona “alla Consob, se l’operazione va in porto, avrà ruolo e spessore, e quella autonomia e quel potere che nel governo non poteva più avere”: dal punto di vista di Conte, dunque, non si tratterebbe di un promoveatur ut amoveatur quanto, piuttosto, del consolidamento dell’asse tra Palazzo Chigi e gli apparati di potere più influenti nel sistema di potere romano (Quirinale, Vaticano, grande impresa pubblica, burocrazie economiche) come centro parallelo d’influenza alla maggioranza parlamentare leghista e pentastellata.
E con Savona alla Consob, del resto, il presidente del Consiglio otterrebbe una vittoria politica personale riuscendo a consolidare la sua sfera d’influenza sul processo di presa delle decisioni. A perdere energia, in ogni caso, sarebbe il residuo slancio politico per l’impostazione di una seria politica di ridefinizione delle norme e delle istituzioni europee, in cui sul lungo periodo l’Italia dovrà giocoforza svolgere un ruolo e la cui direzione era stata indicata dall’82enne ministro sardo. E, del resto, la mancanza di Savona si farà sentire in occasione della scrittura delle successive manovre di bilancio, in cui la sua competenza e la sua chiarezza sarebbero risultate di notevole importanza.