Sullo sfondo della crisi politica e di piazza che sta tenendo banco in Bielorussia e del riemergere di vecchie tensioni nella Repubblica Serba di Bosnia, vi è un altro teatro dell’Europa orientale in fermento da diversi mesi; fermento che potrebbe trasformarsi nel motivo conduttore di un nuovo confronto tra l’Occidente e la Russia: la Moldavia.
Il monito a Gazprom
Il 28 agosto è stata ufficialmente conclusa la costruzione della rete Iași-Ungheni-Chișinău, un gasdotto di 120 chilometri alla cui realizzazione ha contribuito la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS) e che è destinato a rivoluzionare il panorama del mercato energetico nella regione in quanto progettato con l’obiettivo specifico di emancipare la Moldavia dalla dipendenza da importazioni di beni energetici russi.
Il canale di trasporto, che è già “stato messo tecnicamente in funzione”, è stato ampiamente pubblicizzato da Chișinău come il salvavita che entrerà in funzione “in caso di problemi sulla rotta tradizionale”, ossia la rete della Gazprom, e sarà in grado di soddisfare fino al 75% del fabbisogno medio di Moldavia e Transnistria e fino al 60% del loro consumo medio durante i mesi freddi.
Si tratta di cifre molto elevate che potrebbero realmente servire lo scopo, abbattendo il monopolio energetico del Cremlino nel Paese che, fino ad oggi, si è rivolto alla Gazprom per soddisfare annualmente dal 99% al 100% del proprio fabbisogno di gas naturale.
Ad ogni modo, il primo ministro Ion Chicu ha lasciato intendere che il flusso nel gasdotto non resterà a zero a tempo indefinito perché l’aspettativa è quella di iniziare a ricevere gas dalla Romania non appena diventerà più economico di quello russo: “Vogliamo tariffe più basse, non importa se [il gas] viene da Sud o da Nord, qui soltanto i numeri sono importanti”.
A colpire è il fatto che, oltre a Chicu, anche il presidente Igor Dodon, che spesso e a ragione viene dipinto come l’uomo del Cremlino a Chișinău, abbia approfittato dell’occasione per inviare un messaggio all’alleato, reiterando l’invito ad abbassare il prezzo del gas. La Moldavia, infatti, sta pagando 168 dollari ogni mille metri cubici e Dodon ha spiegato che vorrebbe vedere quella cifra quasi dimezzata: 100 dollari ogni mille metri cubici.
La Russia è avvisata
Le dichiarazioni di Chicu e Dodon avvengono sullo sfondo della rinnovata pressione euroamericana sul mondo russo e dell’entrata degli Stati Uniti nell’alveo delle grandi potenze energetiche; uno status di cui Donald Trump ha saputo approfittare attraverso la promozione della dottrina della dominanza energetica. Quest’ultima sta consentendo a Washington di aumentare la propria esposizione sui mercati energetici di tutto il mondo, in particolare del Vecchio Continente, e ha anche portato Trump ad inviare un ingente carico di petrolio a Minsk durante la fase ascendente del braccio di ferro fra Aleksandr Lukashenko e Vladimir Putin: un evento storico.
Ma vi sono altri due motivi per cui non andrebbe sottovalutato il peso del gasdotto e dei messaggi di Chicu e Dodon.
Il primo è che è stato proprio il prezzo del gas a far scaturire la crisi russo-bielorussa, che si sarebbe conclusa in una vera e propria rottura diplomatica se Minsk non fosse stata avvolta dai disordini all’indomani delle elezioni di agosto.
Il secondo è che la Moldavia è entrata nel mirino dell’asse Washington-Bruxelles da diverso tempo e sta venendo gradualmente conquistata per mezzo della diplomazia umanitaria, della diplomazia dell’euro (e del dollaro), e del supporto-chiave della Turchia, che in questo piccolo Paese incastonato tra Romania e Ucraina ha un’inverosimile mole di interessi.
L’avvicinamento all’Occidente
Il 27 agosto, in occasione della Giornata dell’Indipendenza della Moldavia, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha inviato un messaggio di auguri al governo del Paese est europeo. Nella nota, firmata da Mike Pompeo, si legge che “gli Stati Uniti rimangono impegnati a favore della sovranità e dell’integrità territoriale della Moldavia e continueranno a svolgere un ruolo attivo nei negoziati per risolvere il conflitto in Transnistria” e che sono in attesa di sapere l’esito delle prossime elezioni presidenziali, che si terranno il primo novembre di quest’anno.
Il tradizionale messaggio di Washington a Chișinău in occasione del giorno dell’indipendenza quest’anno assume un valore particolarmente diverso rispetto agli anni precedenti, sicuramente più elevato. Infatti, la posizione della Moldavia all’interno dell’orbita russa è sempre più fragile e barcollante: aumentano gli screzi tra Mosca e Tiraspol, l’economia nazionale è stata quasi completamente amalgamata a quella dell’Unione Europea grazie all’accordo di associazione siglato nel 2016, e le forze politiche vecchie e nuove mostrano crescenti ambizioni di autonomia geopolitica nell’arena internazionale.
Quest’ultimo punto, nei mesi recenti, ha condotto Chișinău a chiedere ed ottenere oltre 200 milioni di dollari dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), a raggiungere un accordo di cooperazione nella difesa con il Canada, ad approfondire il dialogo con l’Alleanza Atlantica e a seguire lo stesso percorso dell’Ucraina di Volodymyr Zelensky per quanto riguarda il dossier Turchia.
È meritevole di nota il fatto che, il 24 aprile, ossia il giorno in cui il Parlamento moldavo ha ratificato l’accordo sul prestito del Fmi, la corte costituzionale ha invece bloccato l’entrata in vigore di un accordo siglato con il governo russo riguardante la concessione di un prestito da 200 milioni di euro.
Il fattore turco
I rapporti fra Chișinău ed Ankara non sono mai stati così intensi, fitti e fruttuosi come negli anni recenti. La Turchia è il settimo investitore ed il settimo partner commerciale della Moldavia e contribuisce in maniera significativa alla produzione del benessere e alla vitalità del mercato del lavoro per via della presenza sul territorio di circa 1.200 imprese.
Nelle fasi più acute della pandemia la Turchia ha giocato un ruolo da coprotagonista nella guerra degli aiuti sanitari combattutasi in Moldavia, posizionandosi dietro a Russia e Cina per quanto riguarda l’impegno complessivo ma troneggiando in una regione: la Gagauzia.
La Gagauzia è una regione autonoma della repubblica moldava abitata dai gagauzi, un popolo turcico stanziatosi nell’area tra il 12esimo e il 13esimo secolo. Curiosamente, è proprio da questa regione che ha avuto inizio la breve stagione di separatismo che ha colpito la Moldavia all’indomani della fine dell’era sovietica. Infatti, le autorità gagauze dichiararono la propria indipendenza nell’agosto 1991 – ossia un mese prima che la più celebre Transnistria facesse lo stesso – salvo poi abbandonare l’agenda secessionista in cambio della concessione di una vasta autonomia.
Fra il 26 ed il 27 agosto l’influente ministro degli esteri turco, Mevlut Cavusoglu, è stato in Moldavia per una visita di Stato allestita con l’obiettivo di migliorare e potenziare i rapporti bilaterali, o meglio: trilaterali.
A Chișinău si è tenuto il primo incontro del Gruppo congiunto per la pianificazione strategica, un meccanismo nato nel seno del Consiglio per la cooperazione strategica di alto livello. Quest’ultimo ha elevato la qualità delle relazioni tra Moldavia e Turchia, portandole al livello di partenariato strategico, ed è nato da un accordo siglato fra Dodon e Recep Tayyp Erdogan nell’ottobre 2018.
Il vertice, al quale hanno preso parte anche Dodon e Chicu, è terminato con l’auspicio di poter organizzare il ritorno di Erdogan nel Paese ad emergenza sanitaria rientrata e di trasformarsi in un appuntamento a cadenza fissa ed annuale. Le parti hanno anche concordato di portare avanti la lotta congiunta contro il movimento gulenista, i cui membri attivi nella repubblica moldava sono stati deportati ad Ankara e la cui rete di scuole “Horizont” è stata chiusa.
A Comrat, il capoluogo della Gagauzia, Cavusoglu ha partecipato all’attesissima inaugurazione del consolato turco, la cui realizzazione ha iniziato ad essere chiesta a gran voce dalla popolazione negli anni recenti in concomitanza con l’aumento dell’esposizione diplomatica e culturale di Ankara nella regione.
La Gagauzia è stata a lungo un feudo russo al pari della Transnistria ma la situazione è cambiata radicalmente da quando Erdogan ha deciso di darle priorità all’interno della propria agenda estera, istruendo l’Agenzia Turca per lo Sviluppo e la Cooperazione Internazionale (TIKA) affinché si occupasse di riscrivere la mappa urbana, dei servizi e delle infrastrutture. Qui la Tika ha costruito nuove scuole, ospedali e strade, ha rinnovato interi quartieri e contribuito ad incrementare l’accesso della popolazione all’acqua e all’elettricità.
Ultimo ma non meno importante, la Tika ha dato impulso ad un processo di nazionalizzazione delle masse basato sulla somministrazione di corsi di lingua gagauza e sulla promozione di iniziative e programmi culturali miranti ad instillare negli abitanti la consapevolezza di condividere un’identità etnica e spirituale, di essere parte dello stesso mondo: quello turco.
La transizione di questa regione dall’orbita russa a quella turca è stata ufficializzata nell’ottobre 2018 quando Erdogan, durante una storica visita effettuata a Comrat, ampiamente partecipata a livello popolare, comunicò alla platea l’intenzione di diventare il portavoce dei gagauzi all’interno della Moldavia e che avrebbe mostrato la serietà delle sue intenzioni negoziando con le autorità centrali affinché concedessero piena autonomia alla Gagauzia.
Da quel momento in poi è stato un percorso interamente in salita: la Gagauzia ha ospitato per la prima volta l’incontro annuale del Gruppo di Lavoro delle Minoranze Turche dell’Unione Federale delle Nazionalità Europee, è uscita indenne dalla pandemia grazie al pronto e massiccio intervento di Ankara e ha iniziato ad ottenere maggiore ascolto da parte del governo moldavo. Non sorprende quindi che i gagauzi abbiano voluto un consolato turco sul loro territorio e che Iran Vlah, la governatrice, durante la sua inaugurazione abbia parlato in termini entusiastici della Turchia, definendola “il Paese più vicino alla Gagauzia”.
Il controllo della Moldavia passa dalla Transnistria e dalla Gagauzia, e la Russia sta gradualmente allentando la presa sulla prima, mentre sembra aver ceduto il possesso della seconda. A meno di radicali e subitanei cambiamenti di tendenza, il prossimo passo potrebbe essere la fuoriuscita del Paese dall’orbita del Cremlino.