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Le immagini dei cadaveri per le strade di Bucha, cittadina a nord-ovest di Kiev, scuotono l’Europa e ricompattano il blocco occidentale sulle sanzioni alla Russia. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è detta sconvolta dalle “notizie di indicibili orrori nelle aree da cui si sono ritirati i russi”, chiedendo un’indagine indipendente e immediata di quanto avvenuto non lontano dalla capitale ucraina. Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha scritto di essere “profondamente scioccato” e che “è essenziale che un’indagine indipendente porti a una responsabilità effettiva”. Il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha descritto quelle immagini come “un pugno allo stomaco”, ricordando che Washington sta documentando l’eventuale presenza di “crimini di guerra”. Mentre Jens Stoltenberg, segretario della Nato, ha parlato di “brutalità inedita in Europa da decenni”.

Il fronte euro-atlantico sembra dunque essersi allineato dopo le immagini di Bucha. Crimini che dalla Russia negano, ritenendo che si tratti di video e foto non verificate o comunque contraffatte, ma che hanno in ogni caso scatenato un’ondata di indignazione al di qua della nuova “cortina di ferro” che potrebbe essere il preludio a una nuova ondata di sanzioni. Un nuovo giro di vite che potrebbe colpire proprio la principale “arma” diplomatica del Cremlino nelle trattative con l’Europa: l’energia.

A far comprendere la possibile svolta sulla pressione finanziaria e politica nei confronti della Russia sono soprattutto le parole dei due leader dell’asse franco-tedesco: il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente francese Emmanuel Macron. Che data la loro forte convergenza sul piano diplomatico ma differenza per tipo di Paese che rappresentano, sono personalità utili a capire la partita che si sta combattendo in Europa. Il primo, leader di una delle potenze europee più legate agli idrocarburi russi, ha detto che la Germania è pronta a sostenere l’Ucraina con altre armi e ha aperto alla possibilità di nuove sanzioni contro Mosca, anche se, come vedremo più avanti, il governo vive già delle profonde spaccature. Mentre il secondo, che si appresta a una tornata elettorale fondamentale in patria, ha condannato le immagini “insostenibili” di Bucha ricordando, in un’intervista a France Inter, che “ci sono indizi molto chiari di crimini di guerra” ed è “quasi accertato che fosse presente l’esercito russo”. Motivi per cui il capo dell’Eliseo si è detto favorevole a nuove sanzioni che colpiscano il petrolio e il carbone russo.


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Fonti citate da AdnKronos riferiscono che è possibile che al vertice dei ministri delle Finanze europee, riuniti a Lussemburgo, si presentino “sanzioni supplementari” contro Mosca, anche se è un tema trattato in via principale dai ministri degli Esteri. E questo potrebbe essere un ulteriore segnale che indica la volontà europee di rispondere, quasi in modo automatico, alle notizie della strage nell’area a nord-ovest di Kiev. E alle notizie ha fatto eco una nota dell’Alto rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Josep Borrell, in cui è scritto che “l’Unione europea continuerà, con urgenza, a lavorare su ulteriori sanzioni contro la Russia”.

Sul nodo delle sanzioni vanno evidenziate tuttavia alcune questioni che l’indignazione su Bucha rischia di coprire. In particolare, è importante ricordare che da tempo in Europa si stanno chiedendo nuove sanzioni nei confronti del Cremlino. E il tema energetico è quello più attenzionato non solo da parte dell’amministrazione americana, ma anche da diversi segmenti Nato e Ue che hanno sposato la linea della totale intransigenza contro la Russia. Bucha potrebbe essere il momento di svolta nella percezione politica e anche culturale di questo conflitto che sta devastando l’Ucraina, ma l’idea di interrompere i rapporti con la Russia nel campo energetico è sul tavolo euro-atlantico dall’inizio del conflitto. Ed è stato anche un fisiologico oggetto di scontro tra chi è ancora dipendente dalle forniture di Mosca e chi invece può farne a meno e ha già iniziato a tagliare i ponti col Cremlino. L’ultimo esempio è quello della Lituania, che attraverso un tweet del primo ministro ha detto che il suo “è il primo Paese Ue a rifiutare l’importazione di gas dalla Russia”.

La fase “emotiva” potrebbe portare a un avvicinamento ideologico tra i cosiddetti falchi, in particolare i Paesi dell’Europa orientale e i baltici, e quelli che vorrebbero mediare. Ma le differenze permangono e per questo bisognerà comprendere come il blocco occidentale possa muoversi compatto, in modo concreto, nell’applicare delle sanzioni ancora più dure nei confronti della Russia. Soprattutto per quanto concerne gas, petrolio e carbone.

Non è una novità. Da tempo l’Ue cerca di trovare la quadratura del cerchio in un complesso meccanismo di interessi strategici differenti. E a volta risulta estremamente difficile riuscire a limitare gli effetti negativi sull’economia di quei Paesi in modo da sbloccare le trattative. L’esempio più cristallino, in questo senso, è la posizione tedesca. La Germania ha aperto a sanzioni nei confronti dei Mosca a dal governo di Scholz è arrivato più volte il segnale di uno sganciamento complessivo dalla dipendenza energetica con la Russia. Il tema è sul tavolo e lo hanno confermato lanche le dichiarazioni del cancellerie e dei membri del suo esecutivo. Tuttavia esiste un fattore interno che non può essere sottovalutato e che pone Berlino in una posizione complicata. La ministra della Cooperazione economica e dello sviluppo, Svenja Schulze, lo ha detto in modo esplicito durante un’intervista all’emittente N-tv: le sanzioni devono “danneggiare Mosca e non Berlino” ha ripetuto l’esponente del Partito socialdemocratico tedesco, e non ha nascosto che lo stop al gas e al petrolio russo avrebbe “enormi conseguenze” per l’economia della Germania. Ma anche sul fronte interno, il governo tedesco, come riporta la Zdf, è spaccata tra chi crede nella linea dura, come il ministro della Difesa Lambrecht, e chi appunto teme per le ricadute sull’economia germanica.

Lo scontro interno alla Germania è in fondo lo stesso che si vive in Europa. Dal punto di vista teorico, tutti appaiono estremamente in linea con la condanna feroce nei confronti del Cremlino e con l’adottare una forma di pressione ancora più stringete per fermare le azioni russe. Ma su questo punto è evidente una divergenza di fondo tra chi sostiene l’intransigenza anche perché frutto di una precisa narrativa politica di governo e chi invece, controllando gli effetti sulla propria economia, cerca di mediare. La Francia di Macron ha iniziato a parlare di sanzioni sul carbone e sul petrolio, ma questo dipende ovviamente dalle capacità di un sistema di rispondere a questo tipo di manovre finanziarie. Parigi è una potenza che riesce a evitare la dipendenza dalla Russia. La maggior parte dell’energia è prodotta dalle centrali nucleari, il gas è importato in larga parte della Norvegia e in misura minore da Russia e Paesi Bassi. Ben diversa la posizione tedesca, dove i dati mostrano che solo nel 2019, le importazioni di energia del Paese erano il 71% dell’intera fornitura energetica. L’ipotesi quindi è che ci siano settori in cui si possa trovare una prima forma di allineamento in Europa, ma è chiaro che tra un Paese che vive di importazioni dalla Russia e uno che non ha bisogno di ricevere forniture da Mosca, l’idea riguardo alle sanzioni è molto diversa.

Anche per questo motivo, e lo riporta il Financial Times, sembra che l’Unione Europea potrebbe discutere già il 6 aprile, a livello di ambasciatori Ue, restrizioni che potrebbero però colpire persone fisiche e la possibilità alle navi russe di attraccare nei porti dell’Unione europea. Sul tavolo è anche in ballo l’ulteriore restrizione delle fonti energetiche, ma l’ipotesi a questo punto più plausibile è che si arrivi a un tentativo di colpire la Russia partendo da quello che possa danneggiare meno tutti i Paesi europei indiscriminatamente. Di certo, in questa fase, non esistono sanzioni a impatto zero sulla stessa Europa. Ma le tempistiche per sganciarsi da un Paese non sono assolutamente in linea con i tempi della politica e delle reazioni agli orrori del conflitto in Ucraina.

L’America spinge per un divorzio tra il gigante russo e il Vecchio Continente che però non può essere sostenuta in modo così netto dalle esportazioni di Gnl attraverso la flotta Usa. Il Regno Unito, che da tempo si è attivato come campione del blocco atlantico e antirusso, sostiene questa linea e trova sponda nei Paesi baltici e nella Polonia, bastione Nato in Ue. Ma ora tutto dipenderà dal gioco franco-tedesco in cui l’Italia, che ha una posizione simile a quella della Germania, attualmente sembra essersi ritagliata un ruolo diverso, che appare più compatto rispetto alle divergenze interne all’esecutivo di Berlino. Berlino, dati i rapporti strategici con Mosca, è ancora il termometro delle scelte finali dell’Unione europea.





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