Ganar no significa gobernar, “vincere non significa governare. Così ha chiuso la campagna elettorale il Primo ministro spagnolo uscente e leader del Partito Socialista Operaio di Spagna (Psoe) Pedro Sanchez alla vigilia di un voto cruciale per il futuro della sua carriera politica e, soprattutto, del Paese.

Sanchez ha scelto di convocare le nuove elezioni, le terze in quattro anni per la Spagna, dopo che i due partiti indipendentisti catalani Sinistra Repubblicana di Catalogna (Erc) e Partito Democratico Europeo Catalano (PdeCat) hanno ritirato a febbraio il sostegno all’esecutivo nato nel giugno 2018 dopo il vittorioso voto di sfiducia che aveva affossato il governo di Mariano Rajoy.

Perché Sanchez ha convocato il voto

Le elezioni, per Sanchez, rappresentano un’opportunità cruciale visti i rapporti di forza politici venutisi a creare a Madrid e l’evoluzione delle principali questioni istituzionali. Nei mesi scorsi il Psoe, ritornato al governo, aveva costituito un esecutivo monocolore che aveva il sostegno principale nella Sinistra di Podemos e nei vari partiti regionalisti; il difficile equilibrio venutosi a creare aveva portato Sanchez a barcamenarsi tra le diverse forze che sorreggevano, con numeri fragili in Parlamento, il suo esecutivo.

E così l’azione di governo ha oscillato tra la promozione di una coraggiosa manovra finanziaria antiausterità, il rilancio di temi strumentali cari alla sinistra iberica come la questione della salma di Francisco Franco, un’ambigua politica migratoria orientata a una retorica di apertura che ha dovuto presto scontare la necessità di scelte più rigide e l’eterno ritorno della questione catalana.

Sanchez, di fatto, ha perso la maggioranza in parlamento dopo che i partiti catalani hanno negato la fiducia alla manovra finanziaria adducendo come pretesto il mancato assenso del governo a un nuovo referendum sull’indipendenza della Generalitat. Per il Psoe il ritorno al voto rappresentava, dunque, una possibilità di uscita da una situazione precaria e Sanchez ha potuto approfittare della visibilità garantita dai mesi al governo per accrescere la forza del suo partito nei sondaggi.

Il Psoe è in testa ma non domina

“I sondaggi pubblicati nell’ultimo mese, in genere, danno come vincitore il Psoe”, sottolinea Città Nuova. “La media attribuisce un 29,5% dei voti al Psoe, seguito dal Partito Popolare con un 21,4% (sono i due partiti tradizionali), e dietro di loro il liberale Ciudadanos con un 14,6%, la sinistra di Podemos con 13,4%, e l’estrema destra di Vox con un 9,9%”. Nell’ultimo anno, dunque, Sanchez ha operato un forte sfondamento al centro, erodendo notevolmente la riserva di voti attribuita dai sondaggi ai liberali di Ciudadanos, che con il loro oltranzismo sulla questione catalana avevano in un certo momento superato il 25% dei consensi, e posizionandosi in maniera ottimale per poter concepire due possibili schieramenti governativi, uno avente come sponda la stessa Ciudadanos ed uno più orientato a sinistra Psoe-Podemos.

Il laboratorio andaluso galvanizza le destre

Il leader di Podemos Pablo Iglesias ha più volte galvanizzato l’elettorato di sinistra ritenendo un buon successo elettorale della sua formazione l’unica garanzia per un vero governo di sinistra, ma un recente voto regionale ha portato alla ribalta un nuovo scenario. A fine 2018, infatti, il voto nella storica regione rossa dell’Andalusia ha visto il Psoe battere in ritirata e i partiti di centrodestra (Ciudadanos, Pp e Vox) raggiungere la maggioranza assoluta se sommati congiuntamente.

L’ultradestra di Vox, che punta al primo ingresso ufficiale alle Cortes, è stata sdoganata in sede istituzionale venendo cooptata per l’appoggio esterno a un governo di coalizione. Un vero e proprio “laboratorio” per una possibile soluzione del genere per la Spagna post-elezioni? Il Pp dopo la caduta di Rajoy e l’ascesa di Pablo Casado alla segreteria ha virato fortemente a destra, ma soffre della competizione sui due fronti di Ciudadanos e Vox e difficilmente potrebbe ergersi a centro di gravità di una coalizione del genere.

Vox, l’ago della bilancia del dibattito

Il partito di destra guidato da Santiago Abascal è stato il convitato di pietra di ogni discorso della campagna elettorale. Seguendo la scelta di Jair Bolsonaro in Brasile, Abascal ha disertato appositamente i dibattiti televisivi per mantenere intatta la sua strategia comunicativa basata sul contatto diretto tra partito e folla. “Vox”, scrive Il Foglio, è “un partito che soltanto un anno fa era quasi impercettibile nei sondaggi, e che adesso potrebbe superare il 10 per cento dei consensi”.

Verso un parlamento ingovernabile?

Tutti questi dibattiti, in ogni caso, sono condizionati dal fatto che i sondaggi preliminari lasciano presagire una riedizione del Parlamento privo di maggioranza che si avvia a concludere il suo ciclo. Un Parlamento che avrebbe alternati i rapporti di forza tra Psoe e Pp ma richiederebbe al tempo stesso un fronte governativo più ampio delle ipotesi discusse.

Il complicato meccanismo elettorale spagnolo rende difficile calcolare ex ante la corrispondenza tra i voti e i 350 seggi del Parlamento, ma le impressioni lasciano presagire che nessuna delle tre ipotesi di coalizione (Psoe-Podemos, Psoe-Ciudadanos e Ciudadanos-Pp-Vox) possa raggiungere la maggioranza assoluta dei seggi. Questo potrebbe rappresentare uno stallo per Sanchez, che sul tema del “voto utile” e della governabilità ha costruito una fetta importante della sua campagna elettorale. Il Psoe, con ogni probabilità, sarà vincitore della tornata elettorale, ma la strada per formare un esecutivo e, soprattutto, dare alla Spagna una linea d’indirizzo politico chiaro è tortuosa. E Sanchez, parlando nel suo discorso di fine campagna elettorale, questo sembra averlo capito bene.

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