Le relazioni diplomatiche tra Cina e Stati Uniti non riescono a ripartire. L’ultimo stop è arrivato dopo la scoperta di un pallone aerostatico cinese nei cieli del Montana. La sonda avrebbe sorvolato parte dell’Alaska per essere poi individuata nei pressi del Treasure State, in particolare sopra la base missilistica di Malmstrom che ospita testate nucleari. La Cina ha confermato che si tratta di un loro pallone, ma che si trattava di una sonda per ricerche meteorologiche e ha espresso disappunto per la circostanza. Ma tanto è bastato a far saltare la visita di Antony Blinken in Cina. “In questo momento una visita a Pechino non sarebbe costruttiva, ma il segretario intende recarsi in Cina alla prima occasione utile”, ha fatto sapere in una nota un alto funzionario del dipartimento americano in un briefing con un gruppo ristretto di giornalisti.

L’arrivo del segretario di Stato Usa era previsto per domenica e doveva segnare un cambio di passo nelle relazioni dei due Paesi. Negli ultimi due anni il braccio di ferro tra Washington e Pechino è diventato sempre più intenso, tanto che molti hanno parlato di punto più basso, a livello diplomatico dal 1979, anno in cui i due Paesi riattivarono i loro legami diplomatici.

Uno scenario complesso in cui si intrecciano tutte le linee di faglia che allontanano i due Paesi. Il viaggio di Blinken doveva aprire una stagione chiave, sopratutto perché avrebbe dovuto incontrare il presidente cinese Xi Jinping. Un faccia a faccia di alto livello per la prima volta dal 2017 quando l’allora segretario di Stato Usa Rex Tillerson vide il presidente cinese nel primo anno di amministrazione Trump, cioè quando ancora la guerra commerciale tra i Paesi non era iniziata.

Fonti vicine al suo entourage sottolineano che lo stesso Blinken non ha voluto ingigantire la vicenda annullando la visita, ma facendolo slittare in avanti quanto basta per fare in modo che il tema del pallone non domini l’incontro. Anche se il Washington post nota che la scelta di rimandare il viaggio derivi da una volta di non mostrare teneri con Pechino.

Le linee di tensione tra Pechino e Washington

Il rilevamento del pallone-spia è solo l’ultimo episodio di una lunga scia di tensioni diplomatiche tra le due potenze. Tensioni hanno visto il loro apice all’inizio di agosto con la visita della speaker della Camera Nacy Pelosi a Taiwan. Un affronto cui la Cina ha risposto con massicce esercitazioni militarli su larga scala intorno allo stretto. Per la Cina Taiwan è una provincia ribelle che deve tornare nell’orbita di Pechino, per gli Usa una democrazia asiatica da tutelare. Non a caso Joe Biden ha ribadito più di una volta, l’ultima in un’intervista alla Cbs dello scorso settembre, che gli Usa sono pronti a intervenire nel caso di un attacco militare dell’Esercito popolare di liberazione contro l’Isola.

Il destino di Formosa non è l’unico macigno sulle relazioni tra i due Paesi. Oltre all’aggressività intorno alle acque di Taiwan gli Usa sono preoccupati per l’espansione dell’arsenale atomico cinese e per le sue forze armate, ma soprattutto sono infastiditi dalla mancata presa di posizione contro l’invasione russa dell’Ucraina.

Pechino dal canto suo è preoccupata sia sotto il profilo militare che economico. Il primo riguarda il pressing Americano in tutto il suo cortile di casa. La sensazione di accerchiamento arriva da una serie di episodi, come i viaggi di membri dell’amministrazione nella regione, come quelli fatti dal segretario alla Difesa Lloyd Austin a luglio 2021 (Singapore, Vietnam e Filippine), nel giugno 2022 (Singapore e Thailand) e soprattutto quello nelle Filippine a inizio febbraio dove gli Usa hanno strappato un’intesa per la concessione di quattro basi militari.

Ma la Cina è frustrata anche sul versante economico per gli sforzi dell’amministrazione americana per limitare l’accesso cinese a tecnologia americana in particolare sui semiconduttori. Sempre gli Usa, con Giappone e Paesi Bassi hanno raggiunto un’intesa che limiti la vendita di studenti per la produzione dei chip proprio alla Cina. Non solo. Come ha scritto Politico qualche giorno fa il presidente della commissione Esteri della Camera Usa, ha fatto sapere che l’amministrazione Biden starebbe pensando a un ordine esecutivo per bloccare flussi di capitale americano nei settori dell’hit tech cinese. Non da ultimo sempre gli Usa sono pronti a lanciare una serie di progetti su tecnologia, spazio e difesa in comune con l’India, rivale strategico cinese nell’area Indo-Pacifica.

Un anno complicato per gli Usa

Il mancato viaggio di Blinken è solo la punta dell’iceberg che gli americani si troveranno a gestire quest’anno. Se osserviamo le relazioni dal punto di vista di Pennsylvania Avenue sono almeno quattro i nodi da sciogliere.

1 – Lo stretto raggio di azione di Biden

Gli Usa, e Joe Biden, sanno bene che la Cina rappresenta il vero rivale sistemico per questo l’approccio non può che essere misto, da un lato la stretta e la guerra commerciale e tecnologica (Biden per ora non ha messo in discussione le tariffe varate dal predecessore) dall’altro un tentativo di negoziato e riapertura diplomatica. Non è un caso che proprio Biden e Xi abbiano tenuto un bilaterale di quasi tre ore durante il G20 di Bali.

Lo stop al viaggio del segretario di Stato conferma che il sentiero diplomatico è molto stretto. E sullo sfondo si staglia un altro problema. Il neo speaker della Camera, il repubblicano Kevin McCarthy ha promesso che nel corso dell’anno visiterà di nuovo Taiwan. Un’iniziativa potenzialmente esplosiva, tanto che fonti del Pentagono hanno ammesso di essere al lavoro per dare un minimo di pianificazione al viaggio.

Resta da capire come la Casa Bianca gestirà la missione di McCarthy. Ufficialmente non si può opporre data l’indipendenza tra i rami del potere politico, ma tutto passerà dal coordinamento della comunicazione. Poco prima della partenza di Pelosi prima Biden confermò il viaggio senza preavviso, per poi dire che il dipartimento della Difesa era contrario creando un momento di imbarazzo notevole tra istituzioni.

Lo speaker della Camera Kevin McCarthy (Foto: EPA/MICHAEL REYNOLDS)

2 – Le fughe in avanti del Congresso

Il secondo focolaio di tensione nei piani di contenimento cinese passa dal Congresso. La Camera dei rappresentanti ha votato per creare un nuovo comitato speciale che si occupi delle relazioni tra Usa e Cina. A presiederlo il repubblicano Mike Gallagher del Wisconsin. Un veterano dei Marines specializzato in Storia della Guerra fredda e studi mediorientali. Non è un caso, quindi, che lo stesso deputato abbia detto che l’obbiettivo primario del comitato sia “vincere la nuova Guerra fredda contro la Cina comunista”.

Il punto è che l’approccio ideologico nella questione cinese trova praterie dentro al Congresso. Divisi su tutto, Democratici e Repubblicani trovano un terreno comune quando si tratta di contrastare Pechino. Come la proposta per vietare l’app cinese TikTok sul territorio americano. Lo stesso comitato guidato da Gallagher è stato votato in modo bipartisan. Questa convergenza anti cinese sarà un elemento che Biden non potrà non considerare, sia in materia di guerra economica che di iniziative diplomatiche.

3 – Gli allarmi dei generali

Nel complicato intreccio tra economia e politica si inserisce anche la variabile militare. Da tempo gli Stati Uniti sono impegnati in uno scivolamento di interessi militari dal Medio Oriente al Pacifico, anzi l’Indo-Pacifico. L’accordo con le Filippine è solo l’ultimo capitolo di una lunga serie. La rete di Basi Usa intorno alla Repubblica popolare viene rinforzata e mantenuta. Ma non solo. L’intera macchina del Pentagono lancia segnali al Congresso che vanno investiti fondi ingenti nella Difesa proprio per contenere Pechino.

Non è un caso che negli ultimi anni siano proliferate le “profezie” su quando potrebbe scoppiare un conflitto tra Cina e Stati Uniti. L’ultima in ordine di tempo è quella che ha spostato la data più vicino a noi ed è arrivata dal generale Michael A. Minihan, a capo dell’Air Mobility Command, uno dei Major Command della Us Air Force che si occupa della flotta di aerei da trasporto e rifornimento. Per Minihan entro due anni scoppierà un conflitto tra le due potenze.

“Spero di sbagliarmi”, ha scritto Minihan, “ma secondo il mio istinto combatteremo nel 2025”. Come in altre previsioni la scintilla arriverebbe sempre da Taiwan: “Xi si è assicurato il terzo mandato. Le elezioni presidenziali di Taiwan sono nel 2024 e offriranno a Xi una scusa. Le Presidenziali negli Stati Uniti sono nel 2024 e offriranno a ala Cina un’America distratta. La squadra, la ragione e l’opportunitĂ  di Xi sono tutte allineate per il 2025”.

Il dipartimento della Difesa si è affrettato a dire che le parole di Minihan non rispecchiano quelle del Pentagono, ma il punto è che in precedenza già altri ufficiali avevano parlato di un conflitto aperto entro al fine del decennio, ad esempio nel 2027.

Il difficile dialogo tra Cina e Stati Uniti

Il futuro resta molto incerto. Va capito se la visita verrĂ  riprogrammata a breve o addirittura verrĂ  cancellata. Nonostante questo la strada tracciata da Washington sembra chiara: continuare la stretta tecnologica e provare a trattare sul piano diplomatico, un doppio binario che verrĂ  testato di nuovo nei prossimi mesi, sempre che non emergano altri elementi sul pallone aerostatico rinvenuto nel Nord degli Stati Uniti.

Il segretario al Tesoro Usa Janet Yellen dovrebbe volare in Cina nel corso dell’anno. Mentre a settembre al G20 di Nuova Delhi, in India, Biden potrebbe rivedere Xi. Qualche mese dopo funzionari cinesi dovrebbero volare a San Francisco per il summit del Asia-Pacific Economic Cooperation. Un’agenda fitta, ma estremamente fragile dopo gli eventi in Montana.

Questa ricerca diplomatica da parte di Cina e Usa è sicuramente positiva, ma la sensazione è che il clima sia rimasto quello di Anchorage, quando ci fu un un duro scontro proprio tra Blinken e l’allora ministro degli Esteri cinese Wang Yi, che oggi presiede l’Ufficio della Commissione per gli affari esteri del Comitato centrale del Politburo. Un dialogo difficile che non riesce a rompere i problemi di fiducia e soprattutto di comprensione.

Come ha notato Simone Pieranni in una puntata del podcast Altri Orienti uno dei principali ostacoli al dialogo è dato dai rappresentanti che gli Stati Uniti hanno deciso di schierare. In passato, negli anni dell’amministrazione Nixon ad esempio, sul dossier cinese lavoravano diplomatici di esperienza che avevano vissuto in Cina, lavorato coi cinesi e colto il modo di pensare dei cinesi. Oggi quel tipo di approccio è del tutto assente, come dimostra la nomina di Gallagher, un falco anti cinese interessato alla retorica da Guerra fredda che mal si adegua al modo si pensare e vedere il mondo della Repubblica popolare.

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