Proprio mentre a Khartoum si celebra l’accordo tra militari e società civile che sancisce l’inizio della transizione politica nel Paese, il Sudan si trova a dover affrontare una nuova sfida: il riaccendersi delle ostilità sul confine con la sua controparte meridionale, il Sud Sudan. L’indipendenza di quest’ultimo, ottenuta nel 2011, non ha messo fine alle turbolenze tra i due Stati, che ancora oggi si trovano a dover affrontare scontri e tafferugli su entrambi i lati della frontiera, in particolare nella regione di Abyei.

Il rettangolo della discordia

Abyei è un rettangolo di terra, delle dimensioni di circa 10mila chilometri quadrati, posto approssimativamente al centro della linea di confine tra i due Sudan: nel 2014, la popolazione stimata nel territorio era di 124mila persone. La sua situazione giuridica è di per sé complessa: ufficialmente, fa parte del Sudan, all’interno del quale mantiene lo status di “Area Amministrativa Speciale”, ma è da sempre rivendicato dalle autorità del Sud, che vorrebbero indire un referendum per ridefinirne l’appartenenza e che, già nel 2008, avevano nominato un governatore locale responsabile della zona, causando una serie di scontri tra l’esercito sudanese e l’allora Armata di liberazione del Sud Sudan (Spla).

Una votazione, inizialmente prevista per il gennaio del 2011 in concomitanza con il referendum di indipendenza del Sud, non ha però mai avuto luogo a causa dei continui scontri tra le due parti, ed è stata rimandata ad una data rimasta ancora oggi indefinita: nel maggio successivo, la presa di controllo della zona da parte di 5mila uomini armati inviati da Khartoum ha inoltre causato un’ulteriore crisi, sfociata in un impasse ancora irrisolto. Nel 2013, una consultazione informale indetta dai Ngok Dinka, uno dei gruppi etnici dominanti nella regione, ha però rivelato come il 99,98% dei votanti fosse favorevole all’annessione da parte del Sud Sudan (nel quale vivono circa 4 milioni di Dinka). Al voto, giudicato “trasparente” dagli osservatori internazionali ma condannato dall’Unione Africana come possibile causa di nuove tensioni, non ha però preso parte l’altra grande etnia di Abyei, la tribù araba dei Misseriya, che ha scelto di boicottare l’operazione e che, ad oggi, ha soltanto annunciato un’iniziativa simile senza però portarla avanti.

Un nuovo conflitto?

Facciamo un piccolo passo indietro e torniamo al 2011, l’anno dell’indipendenza del Sud da Khartoum: in concomitanza con quel fondamentale evento, le Nazioni Unite decidono di inviare una forza di peacekeeping nel piccolo territorio. L’Unisfa, acronimo che sta per United Nations Interim Security Force for Abyei, ha ancor oggi la sua base nel capoluogo di Abyei Town, e consta attualmente di circa 4500 uomini, per la massima parte appartenenti alle forze armate etiopi. Dal 2015, il comandante incaricato della loro gestione è Haile Tilahun Gebremariam, in precedenza commissario politico del Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope, una coalizione di stampo comunista tuttora attiva in Etiopia.

La presenza dei militari dell’Unisfa ad Abyei, il cui scopo è quello di prevenire la presa di controllo della regione da parte di uno dei due Sudan, non si è però rivelata essere molto gradita dalle popolazioni locali: gli attacchi al contingente non sono rari, e la sua partenza viene continuamente posticipata a causa dell’insorgere di sempre nuove problematiche nell’area. L’ultima proroga, la cui data di scadenza era fissata per il 15 aprile 2019, non è stata rispettata a causa degli eventi politici occorsi nel frattempo a Khartoum, e la prospettata riduzione dei quadri a soli 541 uomini è stata annullata, con lo scopo di mantenere lo status quo sino almeno al 15 novembre prossimo. Con il senno di poi, si è trattato di una decisione saggia, ma dalle tragiche conseguenze: come riporta Reuters, lo scorso 16 luglio un attacco armato al mercato di Amiet, per molti anni rimasto chiuso in seguito a episodi di violenza interetnica tra le comunità Dinka e Misseriya, ha provocato la morte di sei civili (tra i quali due donne e un bambino) e di un soldato etiope, mentre un collega di quest’ultimo è rimasto ferito.

Ombre sul confine

Non si sa con esattezza chi sia responsabile per l’accaduto: quel che è certo è che l’attacco, immediatamente condannato dal segretario generale dell’Onu António Guterres, provoca non pochi dubbi sulla stabilità futura di una zona così delicata. L’apparente tentativo di normalizzazione della situazione nel resto del Sudan rende possibile il riaprirsi di scenari violenti sulla frontiera.

Il Sud Sudan, che sta vivendo a sua volta una fase politica turbolenta (l’accordo tra governo e opposizioni siglato lo scorso settembre può dirsi tutt’altro che stabile), non si è ancora espresso a riguardo, e non sono state avanzate ipotesi sull’identità degli attaccanti ad eccezione di quanto detto da Kuol Alor Jok, il governatore di Abyei, che ha affermato di credere si tratti di “nordisti”. Non è inoltre chiaro se le vittime fossero di etnia Dinka o Misseriya, anche se il fatto di trovarsi in un mercato comune, aperto cioè ad entrambe le etnie, farebbe supporre si sia trattato di una sorta di effetto collaterale in un’operazione specificamente mirata a colpire i peacekeeper dell’Unisfa. La prospettata partenza del contingente, ora ancora più in dubbio, unita ai disordini politici e militari che spesso hanno luogo sia a nord che a sud della frontiera, potrebbero rappresentare una vera e propria bomba a orologeria non solo per Abyei, ma per l’intera linea che separa i due Stati. Questione di tempo?