Lunedì 20 agosto è una data che i greci non dimenticheranno facilmente. La Grecia è uscita definitivamente dal piano di salvataggio imposto da Banca centrale europea, Unione europea e Fondo monetario internazionale. Alexis Tsipras ha celebrato questo giorno nell’isola di Itaca, a voler indicare che l’Odissea del Paese era finita, dopo otto anni di lacrime e sangue.
Itaca non è più la stessa
Ma Itaca non è la stessa isola lasciata da Ulisse prima della guerra di Troia. E la Grecia non è (e non sarà più) la stessa dopo gli anni di austerità imposti dalla Troika. Perché mentre Atene era impegnata a pagare il suo tributo ai creditori internazionali, lo Stato iniziava una delle più grandi svendite di beni pubblici che la storia europea ricordi. E negli anni, le grandi aziende straniere, con la complicità dei governi interessati, hanno depredato la Grecia colpendo gli asset strategici del Paese.
La Commissione europea e il Fondo monetario internazionale parlavano, nel 2011, di circa 50 miliardi di euro da incassare dalle vendite dei beni pubblici greci una volta avviata una serrata campagna di privatizzazione.
A piano di salvataggio concluso, si può tranquillamente dire che quelle privatizzazioni hanno fatto riscuotere ad Atene un ben più misero bottino. Come scrive Bloomberg, la vendita dei beni pubblici ha raggiunto la cifra di 4,7 miliardi di euro fra il 2011 e il 2017. Un risultato molto magro, cui si aggiungono circa 7 miliardi di offerte vincolanti e circa 2,7 miliardi di entrate nel 2018 per progetti ancora in fase di completamento.
E del resto, il governo non poteva fare altrimenti. Spinto dai creditori a ottenere liquidità a tutti i costi e il prima possibile, il governo guidato da Tsipras non ha potuto fare altro che svendere gran parte del suo patrimonio a prezzi spesso inferiori al suo valore reale. E soprattutto per il settore delle infrastrutture, questa svendita è stata una vera e propria manna dal cielo per le maggiori potenze internazionali. Un vero e proprio saccheggio, che ha unito tutti, da Oriente a Occidente.
Il sacco di Grecia
Il caso più noto è stato sicuramente quello del porto del Pireo. In base all’accordo ratificato dal Parlamento greco nel luglio del 2016, il gigante cinese Cosco ha assunto il controllo del 67% dell’Autorità del Porto per una cifra pari a 368,5 milioni di euro. Un’operazione che a molti è sembrata più che opaca e frutto di accordi politici di più ampio respiro. Cosco (China Ocean Shipping Company) fu l’unica azienda a presentare un’offerta all’Agenzia per la privatizzazione del governo greco. Da quel momento, la Grecia ha perso il controllo sul suo porto più importante e la Cina, dal canto suo, ha ottenuto un terminale di fondamentale importanza per la Nuova Via della Seta.
Ma non è solo la Cina ad aver fatto affari con il governo greco. La stessa Europa, quella che ha “salvato” la Grecia, ha dato il via libera alle proprie aziende per investire in Grecia sfruttando la fine del monopolio statale. La Francia, già ai tempi di Manuel Valls, siglò alcuni importanti accordi con la Grecia per l’ingresso delle aziende pubbliche francesi nel settore energetico e idrico. L’Italia, in particolare con Ferrovie dello Stato, è già intervenuta per siglare accordi sulla rete greca: in questi giorni, due Frecce sono arrivate in Grecia per collegare Atene e Salonicco.
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E in questo valzer di svendite, non poteva non partecipare la Germania, che molti considerano ormai il vero dominus dell’economia ellenica. La compagnia tedesca Fraport ha firmato nel 2015 un accordo da 1.2 miliardi di euro per la gestione di 14 aeroporti regionali in tutta la Grecia. Con questo accordo, la Germania si è assunta il pieno controllo per almeno 40 anni di tutti gli aeroporti turistici regionali più importanti della Grecia.
Gli aeroporti di Zante, Corfù, Skiathos, Salonicco, Mykonos, Kos, Rodi, solo per citarne alcuni, sono tutti passato sotto l’autorità dell’azienda tedesca. Azienda che, va ricordato, è per la maggior parte di proprietà pubblica.In sostanza, il governo di Angela Merkel, grazie alle privatizzazioni imposte dalla Troika, ha preso il controllo su uno dei settori strategici più importanti della Grecia: il turismo.
Ma il sacco di Grecia non è destinato a concludersi. Il 20 luglio, il governo greco ha accettato di vendere il 66% di Desfa Sa (gestore della rete di gas naturale) a un consorzio europeo composto da Snam, Enagas International e Fluxys Sa per 535 milioni di euro. A maggio, invece, Deutsche Telekom ha completato l’acquisto del 5% della Hellenic Telecom per 284,1 milioni di euro. Mentre a marzo, il governo greco ha venduto il 67% del porto di Salonicco a un consorzio internazionale composto da Deutsche Invest Equity Partners GmbH, Belterra Investment e Terminal Link. Il tutto per 231,9 milioni di euro, con un valore complessivo dell’operazione di circa 1,1 miliardi di euro.
E la svendita non è finita
Come scrive Bloomberg, il governo Tsipras prevede di incassare circa 2,7 miliardi di euro nel 2018 dalla vendite di altre attività statali. Il segnale, dunque, è che la Grecia non sia affatto uscita dal vortice della cessione di settori strategici ad aziende straniere, per lo più pubbliche.
Una delle prossime cessioni, sembra essere quella di Hellenic Petroleum. La Grecia “ha selezionato Glencore Energy U.K. e Vitol Holding BV per l’acquisto di una quota del 50,1% del più grande raffinatore del paese”, scrive la testata americana. La vendita avverrà a blocchi e, secondo le stime dell’Agenzia greca per la privatizzazione, dovrebbe portare a un guadagno di circa mezzo miliardo di euro.
Altra cessione potrebbe essere quella di Depa, gigante greco del gas. Il ministro dell’Energia Giorgos Stathakis ha annunciato che il piano prevede, anche in questo caso, la scissione dell’azienda in due tronconi, di cui uno, la Depa Infrastructure comprenderà la rete del gas del Paese e i progetti internazionali, fra cui i gasdotti. Questi rimarrano statali, il resto sarà privatizzato.
Sempre nel ramo dell’energia, altro oggetto di mercato sarà la Public Power Corporation, il principale fornitore di energia elettrica di Grecia. Di proprietà statale per il 51%, il governo ha concordato con i creditori che venderà impianti pari a circa il 40% dell’energia prodotta. La cinese Guohua Elec. Power Co. e la greca Damco Energy hanno già presentato un’offerta.