La risposta data da Mark Rutte all’Huffington Post non lascia spazio a dubbi. Come riporta Angela Mauro, il premier olandese, a precisa richiesta sul piano per il Sure, ha espresso una posizione netta: “Forse Draghi ne ha parlato e magari me lo sono perso io. Però la nostra posizione è che il programma Sure per l’occupazione è ‘una tantum'”. Frase secca ma che indica molto. Perché quello che si comprende da queste parole è che lo scontro sull’idea di Ue post-crisi è ancora da definire e ricco di trappole.

La questione nasce dalla proposta di Mario Draghi di proporre il fondo europeo da 100 miliardi come strutturale e non solo come parte di un intervento emergenziale promosso dalla Commissione europea. Ipotesi ribadita dallo stesso presidente del Consiglio durante la conferenza stampa al Palacio de Cristal, che parlando del piano Sure lo ha definito “un inizio di sussidio alla disoccupazione a livello europeo e un piccolo passo verso la creazione di un mercato comune di lavoro” esprimendo l’augurio che “certe politiche espansive di bilancio non vengano ritirate troppo presto finché la ripresa non sarà consolidata”.

Naturalmente qualsiasi decisione sarà presa durante il Consiglio di giugno, ma è chiaro che la presa di posizione di Draghi manifesti un primo segnale dell’idea dell’ex presidente della Bce sul futuro dell’Europa. Ed è un’idea su cui è molto probabile che Palazzo Chigi batta i pugni: perché in gioco non c’è solo un fondo (pur di particolare rilevanza in un momento in cui la crisi ha investito il Vecchio Continente) ma il concetto stesso dell’Europa che uscirà dal post coronavirus. E in questa Europa, Draghi potrebbe avere un peso specifico molto rilevante non soltanto per il credito da ex vertice di Francoforte, ma per la particolare convergenza politica che sta caratterizzando il continente. Da una parte il tramonto di Angela Merkel, dall’altra la debolezza di Emmnauel Macron, il presidente del Consiglio italiano appare l’unico leader riconosciuto da gran parte dei Paesi dell’Unione. E questa condizione di potenziale leadership implica anche la possibilità di cercare un’agenda condivisa con Draghi prima ancora che con altri capi di Stato e di governo influenti dell’Europa.

La sfida a questo punto è solo apparentemente tra il mondo dei frugali e quello dei mediterranei. Perché c’è una differenza strutturale rispetto al passato: con Draghi a guidare l’esecutivo italiano, e difficilmente le accuse nei confronti di Palazzo Chigi potranno essere quelle di scarso europeismo o di mancato coordinamento con l’Europa o anche di timido euroscetticismo. Una condizione che implica un rovesciamento di paradigma della battaglia: non più “frugali” contro “cicale”, ma scontro ideologico su chi vuole porre un freno all’Europa come sistema che possa fare debito comune e chi invece ritiene che sia questo l’avvio di una più profonda integrazione europea. Frugali contro europeisti e non più “rigoristi” contro “lassisti”. E se questo processo di trasformazione coincide con la presidenza del Consiglio di Draghi, allora è facile pensare che sia Roma, possibilmente col sostegno di Parigi e di altre cancellerie del fronte meridionale, a dettare la linea di un nuovo percorso europeo.

L’imprimatur di Draghi e lo stop di Rutte sono il principio di uno scontro più ampio? Possibile, ma difficile adesso fare dei pronostici. Questo divario ideologico potrebbe anche creare le premesse per l’ampliamento della faglia tra Nord e Sud dell’Europa, scontro finale di un’Europa che così non può certo continuare a sopravvivere per troppo tempo. L’esempio del Regno Unito non è stato certo dimenticato da molti Paesi, specialmente nell’area scandinava e in quella nord-atlantica, ed è chiaro che per opinioni pubbliche terrorizzate dall’idea di vedere i propri soldi finire nel calderone del debito europeo, potrebbe iniziare a farsi strada l’ipotesi di nuove “exit”. O comunque l’idea di avere governi sempre meno inclini a logiche europeiste tour-court.

Ma tutto questo dipenderà molto da due fattori. Da una parte la permanenza di Draghi e l’asse con Macron, entrambi destinati a scadenze determinanti nel breve periodo. L’Eliseo si appresta alle elezioni del 2022 e su Palazzo Chigi incombe il cambio della guardia al Quirinale. Dall’altra parte, non va sottovalutato il ruolo che potranno avere le elezioni in Germania. Con la fine dell’era Merkel, è chiaro che ci sarà inevitabilmente un cambio di passo anche nella capacità tedesca di incidere sul continente. Ma tutto dipenderà da come si combineranno Cdu e Verdi, i partiti che per adesso appaiono nettamente più in grado di arrivare al primo e secondo posto. I Verdi hanno già espresso opinioni positive sul debito europeo e sono anche ritenuti una valida alternativa dagli Stati Uniti. La Cdu, se vorrà rispondere alla pancia del Paese evitando di far crescere altri partiti, potrebbe invece puntare proprio sulla tutela delle paure tedesche, molto più affini ai timori degli del Nord che alle ambizioni politiche mediterranee. A giugno si inizieranno a mettere dei paletti: ma è chiaro che il futuro dell’Ue si deciderà, ancora una volta, nell’arco dei prossimi mesi.