Per i democratici, l’audizione dell’ex procuratore speciale sul Russiagate Robert Mueller è stata un vero incubo. Mueller non ha offerto alcuna nuova rivelazione in merito all’inchiesta “Russiagate” durante le sette ore di audizione tenute mercoledì 24 luglio davanti alla commissione Giustizia della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti e successivamente davanti a quella di Intelligence. Mueller, la cui testimonianza era stata chiesta a gran voce dai democratici, che speravano in nuovi elementi contro il presidente Donald Trump, ha indagato per 22 mesi sulle presunte interferenze della Russia nelle elezioni del 2016 e sui presunti tentativi del presidente Donald Trump di ostruire la giustizia.
L’audizione, tuttavia, è stata un vero incubo per i democratici: Robert Mueller si è attenuto strettamente al rapporto di 448 pagine che lui e il suo team hanno consegnato al dipartimento di Giustizia ad aprile. L’ex procuratore speciale ha rifiutato ripetutamente di offrire la sua opinione su questioni chiave, rifiutando di esprimersi su oltre 200 domande, o addirittura di leggere direttamente dal rapporto documento. I democratici nutrivano grandi speranze nelle audizioni, nella speranza di riportare l’indagine a carico di Trump al centro del dibattito pubblico, magari aprendo la strada per una possibile richiesta di impeachment.
L’ex Procuratore speciale ha passato una vita a interrogare testimoni: durante le due audizioni ha eluso la maggioranza delle domande e ha risposto soltanto a ciò che riteneva opportuno, attenendosi a ciò che è contenuto nel rapporto, a costo di apparire “confuso” e inadeguato. Esattamente ciò che i dem temevano.
Perché l’audizione di Mueller è stata un flop per i democratici
I democratici sono delusi e arrabbiati. Speravano di poter “rianimare” il Russiagate e, finalmente, avviare la procedura d’impeachment. Il risultato è che il Partito democratico sta litigando al suo interno pure su questo tema ed è fortemente diviso. La riunione dei democratici dopo l’audizione si è svolta in un clima, ricostruiscono le fonti, dominato dalla delusione da parte di molti per l’esito della deposizione di Mueller che, come spiega Politico, è apparso esitante, persino insicuro sul contenuto effettivo delle 448 pagine del rapporto sulle presunte interferenze russe nelle elezioni del 2016 e sui tentativi di Trump di ostacolare l’inchiesta. Ai deputati, tra i quali molte matricole, che chiedevano chiarimenti sugli aspetti tecnici dell’inchiesta di impeachment, la Speaker della Camera Nancy Pelosi avrebbe risposto il modo brusco: “I fatti e la legge, queste sono le cose contano”.
Pelosi, secondo quanto riferito da Politico, avrebbe avuto un’animata discussione con Jerry Nadler, presidente della commissione Giustizia, che da mesi spinge per avviare una procedura d’impeachment definita “controproducente” dalla stessa Speaker della Camera. Pelosi ha insistito sul fatto che i democratici hanno bisogno del sostegno dei repubblicani e di gran parte dell’opinione pubblica, prima di avviare un’indagine di impeachment contro Trump.
Mueller delude i critici del Presidente Trump
Come sottolineato dallo stesso Politico, per quasi due anni molti democratici hanno considerato Mueller come una specie di Messia che avrebbe dovuto liberarli dalla “piaga” della presidenza di Trump attraverso quello che assomigliava a un intervento divino. Così non è stato e la delusione è enorme. I dem, infatti, si erano convinti che la testimonianza di Robert Mueller avrebbe segnato un punto di svolta, nonostante lo stesso super procuratore abbia fatto del suo meglio per dissuaderli, dichiarando ai media il 29 maggio che non avrebbe aggiunto nulla al rapporto se chiamato prima a testimoniare al Congresso.
La “performance” di Mueller, evidentemente riluttante, è stata molto più disastrosa di quanto i democratici potessero soltanto ipotizzare. Le risposte, quando date, erano spesso a monosillabi, ma il più delle volte l’ex Procuratore speciale ha dichiarato che la domanda andava fuori dal suo “ambito” di competenza. Certo, ha ammesso che Donald Trump può essere incriminato per ostruzione alla giustizia, una volta lasciata la Casa Bianca e che il Presidente ha tentato di licenziare Jeff Sessions, oltre al fatto che il tycoon non avrebbe affatto collaborato alle indagini. Ma i democratici volevano ed esigevano molto di più.
Secondo il professor Laurence Tribe di Harvard, vicina ai democratici, “l’udienza di questa mattina è stata un disastro” mentre per il cineasta di sinistra Michael Moore l’ex direttore dell’Fbi “è un vecchio fragile, incapace di ricordare le cose, che si rifiuta di rispondere a domande basilari”. Come sottolinea Errol Louis sul sito web della Cnn – non certo benevola con il Presidente Donald Trump – “è ironico che l’uomo che ha guidato e diretto le indagini sia stato ridotto a un personaggio secondario taciturno”, un’apparizione che Louis definisce “sconcertante”.
Per Howard Fineman, analista politico della Nbc, “non so cosa si aspettassero i democratici da Robert Mueller ma probabilmente non è questo”; AmyWalter di Cook Political Report osserva invece l’audizione “non sta andando come i democratici speravano.
Le critiche dei repubblicani
Se tra i democratici c’è grande amarezza, nel Gop è maturata la convinzione che l’indagine sul Russiagate abbia tralasciato alcuni aspetti fondamentali che potevano diventare un boomerang per gli avversari. Sebbene il suo mandato gli richiedesse di indagare sulle presunte interferenze russe nelle elezioni americane senza un riferimento specifico a un particolare candidato o partito, Robert Mueller ha chiarito di aver indagato solo sulla campagna del presidente Donald Trump. Interrogato dal repubblicano Steve Chabot, l’ex Procuratore speciale ha dichiarato di non aver indagato sul falso dossier redatto dall’ex spia britannica Christopher Steele pubblicato dal sito americano Buzzfeed.
Fu proprio Steele, come rivelò il Guardian, a confezionare il documento pubblicato poi da BuzzFeed, dal quale emergevano contatti frequenti tra lo staff di Donald Trump e gli intermediari del Cremlino durante la campagna elettorale del 2016. Un dossier che poi si è rivelato essere in larga parte infondato e falso, come lo stesso ex membro dell’agenzia di spionaggio per l’estero della Gran Bretagna ha ammesso. Il dossier Steele è stato finanziato in parte dalla Fusion Gps, dal Washington Free Beacon, dal Democratic National Committee e dalla campagna di Hillary Clinton. Contiene affermazioni infondate secondo cui gli agenti dell’intelligence russa avrebbero filmato il presidente Trump con delle prostitute in un hotel di Mosca. Inoltre, secondo il dossier, Michael Cohen, ex avvocato del tycoon, si sarebbe recato a Praga nell’agosto del 2016 per prendere accordi con gli agenti del Cremlino e con gli hacker. Trump e Cohen hanno negato con veemenza tali accuse.
Matt Gaetz, uno dei più combattivi e apprezzati dal presidente Trump, ha attaccato l’ex direttore dell’Fbi, accusandolo di non aver indagato abbastanza su Christopher Steele. “Su quel tema lei non ha detto niente – lo ha incalzato Gaetz – mentre su altri è stato abbastanza loquace”.