Refugees welcome”. La scritta colorata che dà il benvenuto ai rifugiati campeggia, enorme, sull’ingresso del Deutsches Historisches Museum, il museo della storia tedesca situato nel cuore di Berlino. Unter den Linden, il viale più centrale della capitale tedesca dove il museo si trova, è affollatissima da migliaia di turisti venuti a godersi la mitezza dell’estate berlinese. Dalla folla si staccano di tanto in tanto dei gruppetti di persone decisamente diverse rispetto alle altre. Hanno tutte i tratti somatici medio orientali, sono tutte vestiti in maniera semplice e nessuno di loro impugna una guida o una macchina fotografica. Queste persone si dirigono tutte verso l’ingresso del museo e si fermano sotto la scritta che dà loro il benvenuto. Da lì vengono prelevate da una guida, anche lei rigorosamente dai tratti somatici arabeggianti, che fa loro strada verso l’interno.

Si tratta di una Führung, una visita guidata organizzata dal governo per i migranti ospiti delle centinaia di strutture di accoglienza situate nelle periferie della città. Ogni fine settimana decine di gruppi di profughi vengono condotti da all’interno del museo, dove una guida fornisce loro nella rispettiva lingua i rudimenti della storia del Paese in cui si trovano: dall’impero romano a Bismarck, passando per il nazionalsocialismo e la Ddr. I profughi, infatti, sono destinati a rimanere a lungo, forse per tutta la loro vita, in Germania e il governo ritiene sia bene che capiscano dove sono fin da subito.Un gruppo di una decina di siriani guarda incuriosito una teca di vetro, dietro la quale sono custoditi un pezzo di stoffa a righe e una stella gialla con sopra cucita la parola “Jude”, ebreo. Ai siriani va spiegato che in questo Paese i rapporti con gli ebrei e con Israele sono del tutto particolari e che non è conveniente esternarsi in maniera critica nei loro confronti, come invece molti di loro sono abituati a fare in patria a causa dei tesissimi rapporti tra la Siria e lo Stato ebraico. A spiegarlo loro è Khaled Haddad, 26 anni, anche lui siriano. Carnagione olivastra, capelli rasati a zero e occhi scurissimi, Khaled è nato e cresciuto a Damasco da una famiglia cristiana. Il suo cognome è lo stesso di un’altra persona cristiana, diventata una vera e propria celebrità in tutto il mondo arabo: la cantante Nouhad Wadie’ Haddad, in arte Fairouz.Dopo essersi laureato in economia aziendale Khaled ha ottenuto un visto per continuare gli studi in Germania e ha così lasciato il suo Paese, la sua famiglia, la sua ragazza e suo fratello, che invece ha deciso di recarsi al fronte per combattere tra le fila del regime di Bashar al Assad. A settembre inizierà un master all’università di Berlino, nel frattempo lavora dal lunedì al venerdì in banca, mentre nel fine settimana si occupa a fare da guida ai propri connazionali. “La vita non è facile qui in Germania” racconta, “ chi arriva qui legalmente deve sudarsi ogni centesimo”. Il suo sogno è quello di tornare in Siria quando la guerra sarà finita, per ricostruire il Paese attraverso le competenze acquisite in Europa. E rendere il suo Paese bello e prospero come racconta essere stato prima dello scoppio dello ostilità.Per approfondire: Berlinograd, l’invasione silenziosa di BerlinoCom’era la vita per i cristiani in Siria prima dello scoppio della guerra?La vita era pacifica e tranquilla per tutte le comunità religiose. Il governo riusciva a garantire la convivenza tramite una legge alla quale tutti si dovevano attenere: era vietato chiedere di che religione si fosse. Per tenere insieme un Paese composto da gruppi così diversi tra loro lo Stato non ha mai cercato di annullare le rispettive differenze ma faceva sì che di fronte alle istituzioni tutti fossero uguali e godessero degli stessi diritti. Poi, all’interno delle rispettive comunità e luoghi di culto, ognuno poteva manifestare liberamente la propria fede. I cristiani come gli alawiti, gli sciiti come i sunniti. Noi cristiani potevamo andare in chiesa, festeggiare il Natale pubblicamente e rendere la nostra fede l’elemento che teneva unita la nostra comunità. L’appartenenza nazionale prevaleva su quella confessionale, l’integrazione e la convivenza tra i vari gruppi venivano incentivate e l’amicizia tra i rispettivi individui era cosa comune. Chiunque sia cresciuto in Siria nella mia generazione ha avuto amici di tutte le fedi. E’ per questo che la maggior parte dei cristiani oggi continua a sostenere Assad.In molti accusano la Siria di Assad di non essere mai stato un sistema democratico. Com’era la vita politica prima della guerra?La Siria era una democrazia, si tenevano regolari elezioni alle quali tutti i cittadini di tutte le fedi potevano partecipare e votare che volevano fare eleggere. Non era solo Assad a candidarsi, ma vi era un numero molto alto di partiti molto diversi tra loro, dai comunisti ai nazionalisti, che rappresentavano le opinioni delle fette di elettorato che li votava.Eppure la famiglia Assad non si è mai schiodata dalle massime cariche di potere. E quasi nessun partito di opposizione tentò mai di destituirla tramite mezzi democratici. Pensi veramente che se le elezioni fossero state veramente libere la famiglia Assad sarebbe rimasta così a lungo al potere?I partiti di opposizione dovevano comunque avere il consenso del regime per poter fare politiche. E tale consenso veniva concesso solo a coloro che si fosse sicuri non rappresentassero una minaccia per la stabilità nazionale e per il potere del presidente. Prima della guerra c’erano comunque molti punti di disaccordo tra Assad e le opposizioni, ma oggi molte di questo lo appoggiano per combattere con lui il terrorismo. Se quella in vigore in Siria non era una opposizione effettivamente libera allora non lo sono nemmeno le democrazie di molti Paesi europei. Da Berlino mi rendo conto come il funzionamento della democrazia in Germania è per molti aspetti molto simile a quella in Siria. Esiste formalmente la possibilità di opporsi al governo, ma di fatto ogni alternativa allo status quo viene demonizzata dai grandi partiti di maggioranza e dalla stampa a loro affine affinché essa non venga ritenuta come credibile. In questo contesto è molto difficile per chi fa opposizione raggiungere i propri obiettivi all’interno del quadro democratico. Gli unici a riuscirci sono coloro che mettono in dubbio l’intero sistema fin dalle sue radici, cosa che induce spesso alla repressione, anche violenta, da parte della autorità in nome della difesa della democrazia e della stabilità sociale. Se è legittimo bombardare la Siria in nome dell’esportazione della democrazia bisognerebbe bombardare allora anche la Germania.Nel 2011 sono iniziate le prime rivolte popolari in Siria, che sono poi degenerate nella guerra che tutti conosciamo e che ha causato almeno 300 mila morti. Com’è stato possibile lo scoppio delle ostilità all’interno del contesto armonioso che hai descritto?Lo scoppio della guerra è da imputare principalmente all’influenza che alcuni grandi attori internazionali hanno esercitato sulla Siria, creando una conflittualità prima inesistenti tra le diverse componenti sociali. Certamente esistevano già delle forze che si opponevano al sistema di Assad, le quali provenivano soprattutto dal mondo sunnita. Gli attori internazionali hanno agito per incrementare queste rivalità per destabilizzare il Paese e creare una frattura sociale che è diventata una guerra.Com’è avvenuta questa pressione mediatica? Come l’avete vissuta voi che in Siria ci vivevate?Tutto ha iniziato a cambiare quando in Siria è arrivato internet. Nelle case dei siriani sono entrati nuovi messaggi che dipingevano l’Occidente come la miglior società possibile, i cui valori rendevano gli individui più felici che mai. Veniva poi veicolato il messaggio che i problemi esistenti in Siria erano dovuti all’assenza dei questi valori, il cui arrivo era impedito da Assad. Col senno di poi possiamo dire che l’effetto della rete ha devastato la coesione sociale siriana: ha introdotto un nuovo immaginario collettivo, ha cambiato i sogni delle persone e creato nuovi bisogni nelle loro teste. Di fatto il web ha cambiato le abitudini e le prospettive dei siriani senza che questi se ne rendessero conto. Dopo che il web è arrivato alcuni hanno iniziato a pensare che la causa di tutti i mali fosse Assad. Ed è a seguito di questa nuova convinzione che sono scoppiati i primi moti di protesta contro di lui.Poi cosa successe?I primi moti erano composti solo da poche persone, ricevettero però una risonanza mediatica sproporzionata. I canali televisivi internazionali li descrissero come le proteste di tutto il popolo siriano contro un dittatore sanguinario che impediva l’arrivo nel suo Paese di quella democrazia che tutti i suoi cittadini volevano. I canali internazionali hanno fatto credere agli ascoltatori di tutto il mondo che i siriani non volessero altro che cacciare Assad, dando così la scusa ai grandi attori internazionali per aumentare le pressioni sul nostro presidente chiedendone le dimissioni. Chi intendi quando parli di grandi attori internazionali? Intendo coloro che interferirono nella nostra politica internazionale per destabilizzare il Paese. Gli Stati Uniti, l’Inghilterra, la Francia, l’Unione Europea, Israele, l’Arabia Saudita, il Quatar, la Turchia. Ricordo che quando scoppiarono le prime rivolte i canali televisivi turchi e sauditi, che sono visibili anche in Siria, iniziarono con una pesante campagna di bombardamento mediatico sui siriani, raccontando che il mondo era contro Assad e che sarebbe stato utile che i siriani si rivoltassero contro di lui. Alcuni lo hanno fatto, ma si trattava di una parte minima della popolazione. E’ paradossale che i turchi e i sauditi ci dicessero che opporsi ad Assad volesse dire avvicinarsi al mondo occidentale quando in realtà hanno fatto di tutto per instaurare nel nostro Paese un regime islamista. Arabia Saudita e Turchia hanno una gravissima responsabilità per quanto avvenuto nel mio Paese.Diversi siriani hanno però risposto positivamente agli inviti degli attori internazionali…Alcuni sì. In quel contesto vennero commessi diversi errori da parte del governo. Le truppe risposero alle proteste con la violenza, inimicandosi così ampie fette di popolazione sunnita che altrimenti lo avrebbe sostenuto. Non dobbiamo dimenticare che all’inizio molti sunniti appoggiavano il presidente. Damasco, dove il consenso per Assad è tuttora quasi totale, è una città a maggioranza sunnita. Le reazioni violente hanno ingrandito la spaccatura sociale creata dalle influenze esterne e contribuito ad aumentare il caos. Quando il governo chiese alle comunità palestinesi di sostenerlo, queste temporeggiarono. In tutta risposta l’esercito bombardò alcuni dei loro campi, tanto che molti palestinesi oggi sostengono le opposizioni islamiste.Lo scoppio delle violenze ha comportato la perdita del controllo del territorio da parte del governo a favore di suoi nemici. In quei territori è sorto il sedicente Stato islamico.Lo Stato islamico è espressione di alcuni dei grandi attori internazionali che ho citato, non a caso solo una piccolissima parte della sua classe dirigente è siriana. Per la maggior parte si tratta di persone venute dall’estero che all’inizio spacciavano la propria guerra come quella del popolo contro il presidente. Ciò non è vero e in Siria lo sanno tutti. Daesh non rappresenta i siriani, neanche quelli sunniti. È invece uno strumento che sta cercando di ridisegnare gli equilibri del Paese per fare gli interessi dei suoi mandanti, che sono, non a caso, anche i luoghi di provenienza di una larga fetta dei loro guerriglieri: Arabia Saudita e Qatar. A noi cristiani fu fin da subito evidente la minaccia, tanto che quando nel 2013 il mondo era sul punto di bombardare la Siria a difesa del nostro presidente intervenne la chiesa Damasco, consapevole che una sua sconfitta avrebbe significato anche la fine delle comunità cristiane in Siria. Non sarebbero mai sopravvissute alla furia di Daesh.E’ per questo che molti cristiani si sono uniti alle truppe del regime per combattere quelle del sedicente califfo?Sì. Ogni cristiano è stato libero di compiere la propria scelta e in molti hanno deciso di combattere per difendere il nostro governo. Mio fratello, per esempio, è oggi al fronte e combatte a fianco di altri cristiani, di wahabiti, di sciiti. La composizione dell’esercito regolare siriano rispecchia quella della società: i battaglioni sono misti e senza distinzioni religiose.Tu invece hai deciso di riparare in Germania. Come hai maturato questa scelta?E’ stata una decisione presa in famiglia. Un figlio combatte, l’altro va avanti con gli studi. Da Damasco sono andato a Beirut, dove sono stato ricevuto all’ambasciata tedesca. Dopo una lunga trafila di pratiche burocratiche ho ottenuto il premesso per continuare gli studi in Germania. Le pratiche burocratiche sono state lunghissime e difficili, è per questo che molti siriani preferiscono arrivare in Europa illegalmente. È più semplice e rapido (anche se più pericoloso) e una volta arrivati si sa che si riceveranno vitto, alloggio e assistenza dal governo. Per chi arriva legalmente non è così, bisogna invece lavorare sodo per pagarsi tutto autonomamente.Com’è la vita per i siriani stabilitisi in Germania?E’ piuttosto difficile, soprattutto perché il futuro è molto incerto. Nonostante chi sia arrivato illegalmente riceva vitto, alloggio e soldi dal governo e abbia diritto all’assistenza sanitaria l’incertezza per il futuro rende tutto più difficile. E’ evidente a tutti noi che il governo tedesco non abbia un piano per noi e che non voglia offrirci no imporci alcun modello di società. Mentre noi siriani sogniamo le nostre case ricordiamo la Siria come il luogo più bello del mondo, sembra invece che i tedeschi siano attratti da tutto ciò che viene da lontano e che invece disprezzino tutto ciò che è tedesco. Noi siriani ci troviamo ad affacciarci su una società che non vuole essere tale e non vuole proporci dei valori propri ai quali aderire. Ciò rende tutto più difficile e confusionario e contribuisce a far perdere la strada a molte persone.Secondo il Ministro alle Politiche Europee Michael Roth la Germania non vuole offrire nessun modello di società forte, ma dei percorsi umani e lavorativi individuali all’interno di una società democratica. Tra 20 anni, dice, i nuovi arrivati saranno stati sufficientemente formati per avere successo nel mercato tedesco…Molti siriani vorrebbero capire come sia possibile prevedere cosa succederà tra così tanto tempo e cosa offrirà il mercato tra 20 anni. Per molti queste sono solo promesse che si teme non verranno mai realizzate. Per adesso le uniche misure che sono state introdotte sono dei mini jobs in cui gli ospiti di alcuni centri di accoglienza lavorano per un compenso di 80 centesimi all’ora, cosa che è ben di sotto alle aspettative della tanto sognata Germania. Tra i profughi ci sono anche tante persone altamente qualificate, che in Siria formavano la classe media. Anche loro vivono gli stessi problemi di tutti gli altri, perché il mercato e l’attitudine al lavoro in Europa sono molto diverse che da noi. L’integrazione umana e lavorativa è una cosa molto difficile e fino ad oggi il governo tedesco ha mostrato chiaramente di non avere alcuna strategia a proposito. E per questo molti profughi potrebbero prendere una cattiva strada.Per approfondire: La tragedia dei profughi dimenticatiLa maggior parte dei profughi siriani fuggono dai bombardamenti delle truppe di Assad. Molti di loro, di conseguenza, sono portati a simpatizzare con i nemici di Assad, tra i quali c’è anche l’Isis. C’è il rischio che tra i profughi in Germania si nascondano dei terroristi?Sì, il rischio c’è. Le autorità tedesche sono completamente impreparate a controllare questo fenomeno, non hanno sufficiente personale competente per capire da dove possa provenire il pericolo. In assenza di una strategia e di un modello di società al quale aderire c’è il rischio che molti di loro cerchino un’identità altrove, magari all’interno dei gruppi di musulmani radicali che ci sono in Germania. Ci sono già stati dei casi in cui questo ricongiungimenti sono stati appurati e tutto ciò è molto rischioso perché sono nelle condizioni di creare una rete molto ampia e potenzialmente pericolosa.@luca_steinmann1

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