La luna di miele tra i brasiliani e Jair Bolsonaro è già finita? L’ex deputato della destra conservatrice brasiliana, eletto alla presidenza nello scorso autunno al termine di una campagna elettorale iniziata come vero e proprio outsider, era giunto al potere con un’agenda politica estremamente ambiziosa. Tagli massicci alla spesa pubblica, privatizzazioni delle imprese statali finalizzate ad attrarre investimenti, lancio di una dura campagna anticorruzione, eliminazione delle leggi sul controllo delle armi, pugno di ferro contro la criminalità, rilancio dell’alleanza con gli Stati Uniti. Le principali proposte politiche dell’amministrazione Bolsonaro riflettono l’eterogenea composizione del suo governo e la natura peculiare della politica brasiliana.
Più che i partiti, nel parlamento di Brasilia contano i gruppi di interesse e le alleanze trasversali. Bolsonaro è giunto alla presidenza sulla scia del consenso raccolto tra i ruralisti favorevoli all’apertura delle zone amazzoniche all’agrobusiness, gli evangelici e i membri della classe media traumatizzati dal tracollo economico dal Paese e dall’impennata dell’insicurezza (quasi 70mila omicidi nel 2018). Sotto il profilo economico, invece, Bolsonaro si è affidato al falco neoliberista Paulo Guedes e, per rivendicare la sua vicinanza alla lotta alla corruzione, ha nominato Ministro della Giustizia Sergio Moro, Pm dell’inchiesta Lava Jato.
Dunque, tre grandi gruppi di pressione e un appoggio delle lobby tecnocratiche e dell’alta magistratura che Bolsonaro deve saper gestire potendo contare, col suo partito Social-Liberale, di poco più del 10% dei seggi parlamentari. Impresa ardua in mancanza di capacità di mediazione e in presenza delle numerose gaffe di cui il Presidente si è reso protagonista. A circa cento giorni dall’insediamento, infatti, “Bolsonaro ha sicuramente segnato alcuni punti a suo favore”, riporta Mercopress, “come la legge sulle armi e un decreto che ha portato alla vendita di dodici aeroporti”, ma al tempo stesso ha visto l’agenda politica ristagnare sul tema cruciale, il pacchetto di riforme economiche con cui Bolsonaro punta a una profonda liberalizzazione e a drastici tagli alle imposte sul reddito e sugli utili aziendali.
Bolsonaro manca completamente della capacità di mediazione, necessaria in un parlamento diviso tra oltre trenta formazioni diverse e sempre pronto a polarizzarsi su diverse fazioni e gruppi d’interesse. La difficoltà nella ricerca delle alleanze ha, paradossalmente, amplificato la centralità del parlamento nella fase di maggiore crisi del sistema partitico brasiliano. I partiti sono deboli o prossimi all’inconsistenza, ma grazie alla divisione tra l’esecutivo e le istituzioni il parlamento è più forte che mai.
Come fatto notare da Bloomberg, “la riluttanza di Bolsonaro a trattare con partiti a lungo criticati come corrotti segnala che non esiste alcuna strategia o alleanza formale per promuovere l’agenda al Congresso. Di recente, i legislatori hanno inflitto a Bolsonaro una delle più grandi sconfitte mai subite da un leader brasiliano”, votando con una maggioranza di 453 voti a sei una proposta che sottraeva importanti facoltà di controllo sul budget al governo dirottandole sul Parlamento.
L’immagine di Bolsonaro non è migliorata dalla sua natura fondamentalmente divisiva. La scelta di commemorare il golpe del 1964 il 31 marzo scorso, stigmatizzata da buona parte della politica e della stampa, si è rivelata un autogol mediatico. Il Brasile, ora più che mai, necessita di una figura unitaria per ricomporre le fratture che lo dividono: tra gli ultimi tre Presidenti, Lula è in carcere, Roussef è stata destituita tramite una procedura di impeachment e Temer è indagato per corruzione. Bolsonaro rischia di aumentare la polarizzazione politico-sociale.
E i sondaggi di opinione, fondamentali per un leader che ha sempre fatto vanto della sua capacità di essere tramite del popolo brasiliano, iniziano a picchiare duro: il consenso di Bolsonaro è sceso dal 67% di gennaio al 51% di marzo, il più basso mai fatto registrare da un Presidente brasiliano a tre mesi dall’insediamento. Per ora, è solo un indizio. Ma il trend discendente potrebbe diventare la regola se lo stallo e le divisioni continueranno.