Quirinale e Vaticano si guardano con stima e simpatia”: accogliendo nei Sacri Palazzi il presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano nel giugno 2013papa Francesco ha, in poche parole, sintetizzato il valore di una relazione strutturale, quella che lega i due poteri sistemici di Roma dal Dopoguerra ad oggi.

I rapporti tra le due anime di Roma

Nell’Italia a trazione democristiana e in quella dell’era globalizzata poi la relazione speciale con l’Oltretevere è stato un continuum di valenza politica, diplomatica, strategica. E mano a mano che si faceva sempre più globale, l’istituzione guida della Chiesa cattolica rendeva fede al motto secondo cui tutte le strade portano a Roma, consolidandosi come “impero” diplomatico, morale, culturale. E se tutte le strade portano a Roma, nell’Urbe tutte le strade portano al Quirinale, centro nevralgico dei poteri dello Stato.

L’istituzione del presidente della Repubblica, sia nei momenti in cui è stata titolarità di un esponente della Democrazia cristiana sia nelle fasi in cui è stata appannaggio dei partiti laici, ha nei primi decenni del dopoguerra incarnato la legittimità e la continuità dello Stato anche di fronte ai pontefici romani. Il palazzo del Quirinale un tempo appannaggio dei pontefici e poi strappato loro da Casa Savoia è stato legittimamente riconosciuto come residenza del capo dello Stato italiano; dal primo incontro tra Enrico De Nicola e Pio XII datato 1946 al recente faccia a faccia di saluto tra Sergio Mattarella e Francesco non c’è stato un caso di un inquilino del Quirinale che non abbia voluto incontrare i pontefici a lui coevi.

La relazione speciale Quirinale-Vaticano

Alessandro Acciavatti in Oltretevere ha raccontato l’evoluzione del rapporto tra i due colli più importanti di Roma, Quirinale e Vaticano. Da un lato, evidenziando come sia un significativo elemento di continuità il fatto che il primo atto di rilevanza internazionale compiuto da ogni Presidente appena eletto sia in genere stato quello di recarsi in Vaticano, percorrendo i tre chilometri di distanza che separano i due capi di Stato più vicini tra loro al mondo. Dall’altro, mostrando come il Vaticano abbia anche grazie al rapporto personale tra Papi e presidenti della Repubblica elevato l’Italia nella considerazione politica di interlocutore privilegiato, non tanto per la vicinanza geografica ma quanto per l’appartenenza a una comunità di destino condiviso sul piano sociale e politico.

De Nicola e Luigi Einaudi, i primi due capi dello Stato dell’Italia repubblicana, di cultura e fede cattolica ma appartenenti alla laicissima galassia politica del Partito Liberale, saldarono prima e dopo l’entrata in vigore della Costituzione che, su stimolo di Alcide De Gasperi, confermava i Patti Lateranensi del 1929 la definitiva consacrazione del cavouriano principio della “libera Chiesa in libero Stato”, la ripresa complessiva dei rapporti tra Roma e l’Oltretevere, la normalizzazione di ogni tensione riguardante il periodo postunitario e le fasi più calde del ventennio fascista. D’altro canto, il Vaticano all’epoca di Giovanni XXIII e Paolo VI allentò notevolmente il protocollo per i presidenti della Repubblica Giovanni Gronchi e Giuseppe Saragat, accogliendoli con le famiglie in più udienze private.

Con Saragat il Vaticano “legittima” i laici

E il Vaticano dell’epoca conciliare fu a tal proposito solerte a valorizzare il consolidamento tra le istituzioni per evitare il sospetto di considerarsi interlocutore della sola Dc, concedendo importante rilevanza proprio a Saragat, in carica dal 1964 al 1971, primo presidente della Repubblica dichiaratamente non praticante la fede cattolica. Saragat, peraltro, aveva avuto in precedenza da diplomatico di esperienza un rapporto stretto con l’ex pastore d’anime “giramondo” e diplomatico asceso al soglio pontificio, Giovanni XXIII (papa dal 1958 al 1963), morto pochi mesi prima della sua elezione. Da segretario del Partito Socialdemocratico Italiano, Saragat nel 1961 scrisse un articolo dove apprezzava l’enciclica Mater et Magistra di Giovanni XXIII, con il quale aveva sviluppato un rapporto personale durante il periodo in cui Saragat era ambasciatore a Parigi e Angelo Roncalli era nunzio in quella stessa città (1947).

Il successore di Roncalli, Paolo VI accolse Saragat in Vaticano, nel giugno del 1965, in modo benevolo, come del resto Acciavatti ha avuto modo di raccontare. Il Presidente in quella occasione pronunciò “per la prima volta un discorso davanti al Pontefice”. A conferma “della saldezza del loro rapporto”, aggiunge l’autore, “pochi mesi dopo Paolo VI, accogliendo un desiderio di Saragat, fa visita alla Fondazione intitolata alla memoria della moglie per benedirne personalmente la cappella. L’anno successivo, accogliendo Montini al Quirinale, Saragat arriva ad affermare che non vi sia campo in cui non si scorga il benefico riflesso “dell’insegnamento di cui la Chiesa è portatrice e divulgatrice”.

Giovanni Paolo II e Sandro Pertini: da alleati ad amici

La lezione del caso Saragat sulla possibilità di convivenza tra pontefici e presidenti di estrazione decisametne diversa è stata confermata in altre due occasioni: la relazione speciale tra Giovanni Paolo II e Sandro Pertini e quella umanamente calorosa tra Napolitano e Benedetto XVI hanno contraddistino altrettante fasi di interlocuzione diretta tra poteri romani.

La comune provenienza dalla lotta contro una dittatura oppressiva (il nazifascismo per Pertini, l’occupazione tedesca della Polonia e la repressione sovietica per Giovanni Paolo II), un’attenzione comune ai mezzi di comunicazione e una forte “mediaticità” dei due personaggi e la comune discontinuità rappresentata dai mandati del primo socialista a capo della Repubblica e del primo Papa straniero dopo oltre quattro secoli consolidarono dal 1978, anno dell’ascesa di entrambi, un rapporto sempre più franco e cordiale.

L’anticomunista Wojtyla fu fortemente legato a Pertini, ex partigiano, socialista radicale e ateo, che però fu apprezzato Oltretevere per la cordialità nei confronti del pontefice e il suo lavoro di favoreggiamento del processo negoziale per il Concordato siglato dal governo Craxi e dal segretario di Stato vaticano, Agostino Casarolinel 1984. Questi risultati concreti, le visite di Pertini al Papa dopo l’attentato del 1981, episodi di umana amicizia come le colazioni private reciprocamente offerte e la “vacanza” comune sull’Adamello del 1984 portarono le relazioni tra i due colli più alti di Roma a un livello di confidenzialità a cui non si è più voluto rinunciare.

Un rapporto sempre più stretto

Lo testimonia la calorosa e cordiale amicizia tra due figure ancora più lontane tra loro come Ratzinger e Napolitano, le cui relazioni, nota Famiglia Cristianasono state “segnate dalla comune passione per la musica classica, con i concerti che annualmente il presidente offriva al Papa”, da dialoghi cordiali anche di fronte alle continue polemiche tra il Quirinale e la Conferenza Episcopale Italiana e da una calorosa amicizia: lo testimonia “l’ultimo regalo fatto da Napolitano a Ratzinger, non un dono acquistato dal cerimoniale ma un libro tratto dalla sua biblioteca personale, una copia della prima edizione illustrata de I promessi sposi del 1840″. Nel primo incontro del 2006 Ratzinger si era  presentato dal Capo dello Stato con una cartina d’epoca del Vaticano, come a dirgli: “è casa tua”. Sei anni prima, Giovanni Paolo II aveva compiuto un gesto importante e simbolico a livello mondiale chiedendo al predecessore di Napolitano, Carlo Azeglio Ciampicattolico praticante ma di cultura politica azionista, di essere laico a passare la Porta Santa e a entrare simbolicamente nel nuovo millennio dopo l’inaugurazione del Grande Giubileo del 2000.

Il 2015 ha riportato al Quirinale un esponente della cultura politica del cattolicesimo democratico come Sergio Mattarella, che con Papa Francesco ha portato la sintonia e la convergenza sistemica a trasformarsi in feeling. Caso pressoché unico al mondo di human diplomacy in itinere, il rapporto tra le due istituzioni apicali di Roma è motore della relazione italo-vaticana e garanzia di una sua continuità nelle tempeste del mondo globalizzato e oltre ogni caos politico che possa manifestarsi. La pandemia di Covid-19 ha reso Mattarella e Francesco i due veri simboli unificanti della comunità nazionale colpita dal virus, il primo nella massima manifestazione del suo ruolo istituzionale, il secondo per la grande empatia e vicinanza mostrata dalla sua persona e, anche materialmente, dalla Chiesa guidata dall’uomo che è anche vescovo di Roma e Primate d’Italia. Nel ringraziare, nel suo ultimo discorso di fine anno, Bergoglio e il suo magistero Mattarella ha posto il sigillo definitivo nel suo mandato sulla natura privilegiata del canale di comunicazione tra Quirinale e Vaticano. Prossimo a strutturarsi sempre di più come rapporto sistemico e sempre più stabile di fronte a un mondo globalizzato avente punti di riferimento sempre più caduci. Vera e propria impersonificazione del predominio delle istituzioni più stabili sulle singole figure che le occupano pro tempore. E manifestazione della tendenza alla perennità di ciò che riguarda il cuore profondo e intimo di Roma.