Le frequenti crisi di governo che hanno portato ad avvicendamenti negli esecutivi italiani hanno portato, negli ultimi anni, gli interlocutori internazionali del sistema-Paese a interessarsi alle dinamiche interne e ai loro sviluppi. Ne abbiamo avuto prova in entrambi i processi di formazione degli esecutivi guidati da Giuseppe Conte, in cui si sono fatti sentire il peso e l’influenza legate alle aspettative dei grandi attori internazionali: alleati dell’Italia, istituzioni internazionali, operatori finanziari. E così sarà anche in questo caso: se, ad esempio, il peso degli Usa e la moral suasion di Steve Bannon ha giocato un ruolo nello spingere M5S e Lega all’esperimento “populista” nel 2018 e i buoni uffici comunitari hanno plasmato il governo Conte II nell’agosto dell’anno successivo, ora la Commissione von der Leyen e l’entrante amministrazione Biden sono i convitati di pietra del processo decisionale.

A interiorizzare le aspettative degli attori internazionali non può che essere l’istituzione cardine nelle fasi di crisi di governo, la presidenza della Repubblica. Il Quirinale durante la presidenza di Sergio Mattarella, come ha ben scritto Paolo Armaroli nel saggio Conte e Mattarella, è diventato un contrappeso con le prospettive di lunga durata del suo inquilino alla caducità delle classi dirigenti partitiche e ala volatilità delle prospettive di lungo termine delle formazioni rappresentate in Parlamento. Al contempo, si è acuita la duplice tendenza che vedeva il Quirinale referente davanti al mondo degli equilibri istituzionali italiani e garante dell’ancoraggio di Roma all’alleanza con la Nato e alle istituzioni europee, tratto più saliente della “dottrina Mattarella” ben dimostrato dal forte potere di scrutinio esercitato sulla scelta dei ministri-chiave (Economia, Esteri, Difesa). Essendo tralaltro la Presidenza della Repubblica, come ha scritto Alessandro Aresu su Limes, cuore dello Stato profondo italiano è chiaro che il potere discrezionale di moral suasion, garanzia costituzionale e tutela delle prassi di gestione delle crisi assuma, in fase delicate come quella presente, valenza strategica.

Giuseppe Conte ha visto la “dottrina Mattarella” in applicazione più volte durante i suoi mandati e in questa fase il presidente della Repubblica rifiuterà qualsiasi scelta che avvallasse anche solo il sospetto di una crisi per cui sono proposte soluzioni “al buio”. Tenendo ben presente che Mattarella sa bene, come riporta Italia Oggi, che ogni soluzione dovrà valutare l’evoluzione degli assetti internazionali: “c’è stato un cambio di fase epocale, quello del passaggio da Trump a Biden e  quindi un cambio di fase non potrà non avvenire anche in Italia visto che il Quirinale è, da sempre, il punto più sensibile del paese agli equilibri internazionali” e ai mutamenti dei venti atlantici, ma anche alle prospettive degli equilibri europei. Sulle riflessioni del presidente ” inciderà anche la preoccupazione della Germania e di Bruxelles sull’inconcludenza del Recovery Plan italiano”, cui Conte sta provando a recuperare ingraziandosi Berlino con le nomine e con il ri-posizionamento politico.

Sia ben chiaro: non intendiamo in alcun modo avallare l’idea, semplicistica, secondo cui Mattarella possa subire o aver subito pressioni da Washington, Berlino, Bruxelles o altre capitali. Ma il Quirinale è tenuto nell’esercizio dei suoi poteri a valutare approfonditamente la proiezione strategica di un governo o di una coalizione da lui nominata per gestire gli incarichi apicali dello Stato. Non essendo Mattarella nè un Presidente interventista né un semplice notaio di scelte prese altrove, l’approccio costituzionale del capo dello Stato si sostanzierà nella richiesta ai partiti di formare una coalizione avente un indirizzo politico e programmatico chiaro nei confronti degli alleati e dei grandi progetti che il Paese attende per poter gestire la sua ricostruzione materiale ed economica. Che sia sotto forma di governo politico o di esecutivo di unità nazionale, ha importanza relativa.

Unica alternativa possibile, le elezioni. Logico che in questo processo le aspettative di Washington e dell’Unione Europea peseranno non poco, e sia le formazioni di governo che quelle dell’opposizione stanno iniziando a calibrarne l’effetto, come del resto gli appelli del Partito Democratico a rinnovare l’asse con la nuova amministrazione oltre Oceano e la svolta “tedesca” che Giancarlo Giorgetti immagina per la Lega testimoniano. Per Conte, dunque, la strada verso un terzo incarico potrebbe farsi molto più irta e complicata data la sua declinante stella di fronte agli interlocutori internazionali e la volontà di Mattarella di chiedere ai partiti soluzioni certe e politicamente omogenee.

“Giuseppi” rischia di essere la vittima designata dei nuovi equilibri, essendo divenuto scomodo per tutti: per un’Unione Europea che gli ha dato fiducia come punto di raccordo tra i suoi progetti e quelli italiani, per gli Usa ai cui nuovi leader è inviso per i trascorsi “trumpiani”, per molti partiti che potrebbero cogliere la palla al balzo e ribaltare nella sua esclusione da un nuovo governo, nel segreto delle consultazioni, il protagonismo su diversi dossier che Italia Viva ha segnalato tra i motivi che hanno condotto alla rottura della coalizione giallorossa. Su questa complessa base Mattarella sarà chiamato a fare una scelta. Ma non prima di aver chiamato i partiti e i leader a confrontarsi con un quadro internazionale sempre più complesso in cui l’Italia sarà chiamata a scelte decisive.

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