Sullo sfondo del braccio di ferro sino-americano, in Eurasia è in corso uno scontro egemonico fra Russia e Turchia, combattuto a colpi di carichi umanitari ed utilizzando le rispettive piattaforme di cooperazione regionale.

Balcani, Caucaso meridionale, Asia centrale, questi sono i principali teatri in cui il Covid-19 ha esacerbato una rivalità già in essere; ed è l’ultimo il più meritevole di attenzione, in quanto il vincitore acquisterà terreno, influenza e prestigio su un’area dall’immenso valore geo-strategico per i destini del cuore della Terra mackinderiano quale è la polveriera turkestana.

Il modello di Mosca: l’Unione Eurasiatica

L’Unione Economica Eurasiatica (EAEU o EEU) è stata fondata nel 2014 da Russia, Kazakistan e Bielorussia ed è divenuta operativa il 1 gennaio dell’anno successivo, inglobando Armenia e Kirghizistan e siglando accordi di libero scambio con i principali alleati russi, come la Serbia, e attori regionali, come la Cina e l’Iran. L’UEE non ha ambizioni sopranazionali di natura politica, nasce con il semplice scopo di integrare le variegate economie eurasiatiche in un unico spazio e fungere da piattaforma di dialogo e coordinamento per le politiche di investimento e commerciali.

Il Covid-19 sta testando la resilienza delle organizzazioni di cooperazione regionale, mettendo alla prova la solidarietà dei paesi membri e la capacità degli enti sopranazionali di creare una valida alternativa alle inefficienze e agli egoismi degli stati-nazione. L’Unione Europea sta fallendo nell’obiettivo per assenza di entrambi i fattori e l’UEE, che proprio dall’UE trae ispirazione, sembra stia seguendo lo stesso percorso.

Il governo kirghizo, che sino ad oggi è stato fra i più entusiasti sostenitori dell’organizzazione, starebbe considerando la rivalutazione della propria adesione a causa del trattamento ricevuto dall’UEE nelle fasi iniziali dell’emergenza. Il paese non è stato particolarmente colpito dal Covid-19, avendo meno di mille casi, ma l’imposizione dello stato d’eccezione che ha danneggiato il sistema produttivo è stato aggravato dalle decisioni dell’UEE di congelare l’import-export di diversi beni e di negare il proprio appoggio al finanziamento di un piano anti-crisi elaborato dal governo. Per il Kirghizistan, che è fortemente integrato nella rete economica regionale e tendenzialmente importa più di quanto esporti, l’improvviso blocco dei traffici commerciali ha significato la chiusura di numerose attività, soprattutto medio-piccole, e la conseguente nascita di un aspro dibattito politico.

Vi sono, poi, le azioni dei singoli paesi membri che hanno contribuito a complicare la situazione. Il Kazakistan, ad esempio, ha inizialmente introdotto quote per la vendita di grano e prodotti cerealicoli, e vietato l’esportazione di altri beni alimentari, in aperta violazione del regime doganale introdotto dall’UEE. Anche in questo caso, la denuncia è partita dal Kirghizistan ed i toni utilizzati dai parlamentari sono il miglior metro di misurazione per capire la portata dal malcontento. Il parlamentare Altynbek Sulaymanov a inizio aprile dichiarava: “Sta funzionando l’unione doganale? Sembra proprio di no. In questo caso, sarebbe necessario accordarsi per sospendere i regimi dell’UEE fino a che l’emergenza coronavirus non è finita, poi ogni stato membro dell’unione risolverà da sé i propri problemi.”

La crisi è stata ovviamente sfruttata da alcune entità che rappresentano gli interessi occidentali, come la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, che destinerà fino a 150 milioni di dollari al paese, il Fondo Monetario Internazionale, che ha inviato 121 milioni di dollari, e la Banca Mondiale, con la quale le trattative in corso per un credito da 12 milioni di dollari.

Come il Kirghizistan, anche l’Armenia, alleato fedele e di lunga data, ha espresso il proprio malumore per il modo in cui l’UEE ha gestito le fasi iniziali dell’emergenza, assistendo all’imposizione graduale di barriere protezionistiche e al blocco dei traffici commerciali.

Il Cremlino non ha assistito inerte al malcontento crescente dei due partner: ha dapprima avviato negoziati bilaterali per mettere a disposizione di Bishkek una parte dei fondi presenti nel Fondo di Sviluppo Russo-Kirghizo, sullo sfondo dell’invio di aiuti umanitari ad entrambi i paesi, e poi ha dato impulso ad una videoconferenza, il 14 aprile, mirante a spronare i membri UEE e convincerli ad aiutarsi reciprocamente.

L’attesa entrata in scena russa si è rivelata fruttuosa: i paesi membri hanno dato il consenso ad un piano d’azione anti-pandemico comune basato sulla collaborazione stati-istituzioni finanziarie regionali, supporto nell’implementazione di piani anti-crisi, accesso agevolato al credito per importare beni medici, caduta dei regimi tariffari precedentemente imposti.

Il 29 dello stesso mese, su iniziativa kazaka, ha avuto poi luogo una video-bilaterale con le controparti russe per discutere del potenziamento della cooperazione nel quadro dell’UEE e delle possibili soluzioni per la ripresa economica nel dopo-pandemia. La conferenza sembra aver sancito la fine della fase degli egoismi, avendo le due parti concordato di ampliare la collaborazione bilaterale e multilaterale, ritenendola l’unico modo per assicurare un futuro all’organizzazione.

Ma non è soltanto nell’ambito dell’UEE che il Cremlino sta tentando di preservare la propria influenza nello spazio post-sovietico. Carichi di aiuti umanitari sono stati inviati ai già menzionati Armenia e Kirghizistan, ma anche all’Azerbaigian, al Tagikistan, all’Uzbekistan e al Kazakistan. Questi ultimi due, a loro volta, stanno supportando la diplomazia degli aiuti sanitari di Mosca, inviando tonnellate di cibo e beni medici sia nell’area UEE, Russia inclusa, che in altri teatri vitali per l’esistenza del mondo russo come Moldavia, Serbia e Bielorussia.

Il modello di Ankara: il Consiglio Turco

Il Covid-19 ha palesato la natura intrinsecamente imperiale ed universalistica della Turchia, auto-definitasi una “grande potenza rinata” proprio nei giorni della pandemia e che sta guidando la battaglia degli aiuti umanitari, posizionandosi in cima alla classifica, dopo la Cina, per la quantità delle donazioni inviate e per il numero di paesi supportati.

Le aspirazioni neo-ottomane, turaniste e panturche di Ankara naturalmente ed inevitabilmente collidono con l’agenda estera di Mosca, e dalla guerra di Crimea degli anni ’50 del 1800 ad oggi nulla è cambiato: le due potenze si combattono negli stessi teatri geopolitici e per le stesse ragioni. La pandemia ha contribuito ad esacerbare questa realtà di conflitto, alla luce del protagonismo turco nelle principali aree di influenza russa: Balcani occidentali, Moldavia, Asia ex sovietica.

Inoltre, che i due paesi siano impegnati in una gara antagonistica è evidenziato dal fatto che le loro strategie siano modellate per soddisfare precisi criteri etno-religiosi: Mosca sta inviando aiuti alla repubblica serba di Bosnia e alla Moldavia, mentre Ankara si sta focalizzando rispettivamente sulla comunità bosgnacca e sui gagauzi.

Ma è in Asia centrale che la competizione è più accesa che altrove, perché la diplomazia bilaterale è fiancheggiata dall’esistenza di importanti ed influenti piattaforme di cooperazione regionale ed internazionale, come il Consiglio Turco, l’Organizzazione Internazionale per la Cultura Turca e il più recente Qurultai mondiale dei turchi.

Contrariamente all’UEE, i paesi membri del Consiglio Turco hanno agito in maniera ordinata e concertata sin dalle prime fasi della pandemia, muovendosi nel quadro fornito dall’organizzazione ed organizzando una prima video-conferenza il 10 aprile, ossia nello stesso periodo in cui Mosca assisteva allo spaccamento dell’UEE, rivelatasi tremendamente vulnerabile al rischio dell’anarchia in assenza di una guida.

La Turchia ha fornito l’esempio da seguire, dando semaforo verde all’invio di aiuti umanitari in Azerbaigian ed entrando prepotentemente nella crisi fra Kirghizistan ed UEE, trasformando in tempi celeri l’ospedale per l’amicizia turco-kirghisa di Bishkek nel centro operativo della battaglia del governo contro il Covid-19. Inoltre, come già successo nei Balcani, i grandi privati turchi hanno dato manforte alla diplomazia degli aiuti umanitari del governo: la YDA Group ha raccolto materiale medico, come mascherine, occhiali protettivi e guanti, che sono stati poi inviati negli ospedali kazaki.

Gli -stan hanno dimostrato un’incredibile solidarietà reciproca, un evento significativo considerando la storia di conflitti che li lega e ciò, senza dubbio, è anche merito dell’egregio lavoro svolto nell’ultimo trentennio dall’espansione dell’ideologia panturchista promanante da Ankara. L’assistenza umanitaria kazaka al Kirghizistan e al Tagikistan non si è limitata all’invio di beni sanitari, ma anche alla spedizione di viveri, fra i quali 5mila tonnellate di farina ciascuno. Sempre il Kazakistan ha guidato l’evacuazione dei cittadini kirghisi da Cina e India, rimpatriati su voli organizzati dal governo di Nur-Sultan, e ha avviato un’intensa opera di collaborazione e coordinamento con l’Uzbekistan. Quest’ultimo, invece, si è presto trasformato nel principale donatore dell’area, giocando un ruolo di primo piano anche nell’aiutare l’Afghanistan.

Inoltre, i membri del Consiglio Turco hanno fornito supporto ad un paese con lo status di osservatore che, nel prossimo futuro, vorrebbe entrare a pieno titolo nell’organizzazione: l’Ungheria. Budapest, che è entrata nell’entità in conformità con la piattaforma ideologica di Fidesz, pervasa di turanismo, ha ricevuto otto tonnellate di materiale tessile dalla Turchia per la fabbricazione di mascherine, e 150mila mascherine dall’Uzbekistan; un altro successo encomiabile per la diplomazia turca.

Cosa potrebbe accadere nel post-Covid19?

È difficile capire se la svolta umanitaria kazaka nel Turkestan, in particolar modo rivolta verso il Kirghizistan, che è membro sia dell’UEE che del Consiglio Turco, sia stata il frutto delle pressioni di Mosca o di Ankara. Certamente, entrambe le diplomazie hanno avuto un ruolo nel convincere la classe politica di Nur-Sultan a mettere da parte le tendenze isolazioniste ed egoistiche in favore del solidarismo.

Il modello russo, basato sull’UEE, si è mostrato inefficiente alla prova del Covid-19, contrariamente al Consiglio Turco, che ha saputo portare avanti una politica del dialogo e dell’azione concertata sin dall’inizio. I primi frutti delle rispettive diplomazie degli aiuti sanitari stanno già maturando e tutto sembra indicare che Ankara sia in vantaggio.

Infatti, mentre il Kirghizistan rimette in discussione la propria adesione all’UEE e l’Uzbekistan, dopo aver monitorato attentamente l’evoluzione della situazione, è sempre più critico verso un eventuale accesso alla stessa, la Turchia inizia a portare i primi, importanti risultati a casa.

Aselsan, il gigante turco nel settore degli armamenti, il 20 aprile ha siglato un accordo di cooperazione con il Kazakistan per il rifornimento di sistemi d’arma a controllo remoto, che verranno realizzate dalla sussidiaria in loco, la KAE (Kazakhstan Aselsan Engineering). Il Daily Sabah, il megafono dello stato profondo turco, ha riportato la notizia con toni trionfali: “L’accordo con il Kazakistan incentiverà le operazioni in Asia centrale”.

Essendo Nur-Sultan la prima potenza dell’area, è legittimo aspettarsi un effetto domino sugli altri -stan, ed è anche emblematico che, nonostante la pandemia, il volume delle importazioni da Ankara sia aumentato in diversi settori, legna, prodotti elettrici e chimici, acciaio. La ritirata protezionistica dell’UEE ha probabilmente influito.

La pandemia, inoltre, ha evidenziato la superiorità del modello organizzativo del Consiglio Turco rispetto all’UEE: celerità, concertazione, solidarietà reciproca. Per la diplomazia del Cremlino, i malumori kirghisi ed armeni hanno rappresentato un duro colpo ed il fatto che sia stata proprio la Turchia ad approfittare per prima della crisi, supportata dalle istituzioni finanziarie occidentali, è un campanello d’allarme importante: dove Mosca è assente, Ankara è pronta a sostituirla.

La Turchia si sta già preparando per il dopo-crisi e l’Asia centrale è una delle regioni in cui la diplomazia degli aiuti sanitari è stata modellata per massimizzare i risultati. L’idea non è soltanto di ampliare i poteri, le funzioni ed i campi d’azione del Consiglio Turco, ma di sfruttare l’aumento del volume commerciale fra Ankara, la cerniera sud-caucasica e il Turkestan per promuovere il potenziamento e l’espansione della linea ferroviaria Baku-Tbilisi-Kars.

Se ciò accadesse, la comparsa di attriti con l’UEE sarà inevitabile. Questi attriti, in un certo qual modo, già esistono, come mostrato dal caso dell’Uzbekistan, che ha finalizzato l’adesione al Consiglio Turco in un mese mentre ancora non ha assunto una decisione netta in merito ai sogni eurasiatisti del Cremlino, scegliendo di accedere all’UEE con lo status di osservatore, dopo quattro anni di snervanti tavoli negoziali.





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