Spira un vento molto pesante su Malta, nuvole che si addensano nei gangli dello Stato e che contrastano con il sole quasi estivo che per adesso caratterizza il clima dell’isola. Ma nessuno, alla fine, può dirsi realmente sorpreso. Il caso di Dafne Caruana Galizia, la giornalista uccisa nell’ottobre del 2017 da un’autobomba, ha contribuito a svelare definitivamente ciò che già da anni appariva evidente: a Malta non tutto è oro quello che luccica, le zone grigie tassellano molti aspetti della vita dell’isola, sempre più crocevia di traffici ed affari di ogni tipo.
Fenech, il rampollo maltese con le mani sull’isola
La storia del principale protagonista di queste ore è emblematica della situazione che da tempo oramai si vive a Malta. Yorgen Fenech, 38 anni, è l’indiziato numero uno per l’omicidio di Dafne Galizia. Arrestato lo scorso 20 novembre, il suo nome è uscito fuori dopo le rivelazioni di Melvin Theuma, un tassista che avrebbe fatto da intermediario tra lo stesso Fenech e tre sicari che hanno poi materialmente condotto l’attentato contro la giornalista. Il principale indiziato è un uomo d’affari proveniente da una delle famiglie più facoltose di Malta. Infatti, Yorgen Fenech è figlio di George Fenech e nipote di Tumas Fenech: quest’ultimo, come ha spiegato Carlo Campione sul Corriere di Malta, è colui che ha dato il nome alla società Tumas Group, la quale ha investimenti in molti rami. Dall’immobiliare al settore turistico, dal gioco d’azzardo all’iGaming, il gruppo da anni ha fatto affari in tutti i comparti più produttivi dell’isola.
Il rampollo di casa Fenech voleva evidentemente andare oltre. Sfruttando i collegamenti e le amicizie con la politica maltese, nonché l’influenza che un potente gruppo come quello familiare può esercitare, Yorgen Fenech è riuscito a mettere le mani anche sul settore energetico. Nel 2013, anno dell’arrivo al potere del primo ministro Joseph Muscat, Fenech fa entrare la Tumas Group nel consorzio ElectroGas. Non solo: la società è tra quelle selezionate per la costruzione e la gestione del più importante progetto energetico maltese degli ultimi anni, ossia quello della centrale elettrica a gas liquido naturale di Delimara. Un affare di milioni di Euro, su cui la giornalista Dafne Galizia aveva messo gli occhi evidenziando ombre molto opache sui contratti e possibili danni per i contribuenti maltesi. Forse, hanno fatto trapelare gli inquirenti, è proprio per questo che la reporter è stata uccisa.
Ma l’affare della centrale elettrica di Delimara non è l’unico sospetto sulla carriera affaristica di Yorgen Fenech. La stessa Dafne Galizia aveva rivelato nel 2017 l’esistenza di una società, la 17Black, con sede a Dubai e con molti collegamenti con le inchieste condotte sulla centrale maltese e sullo stesso Fenech. L’anno successivo si scoprirà che la 17Black è di proprietà proprio del rampollo della Tumas Group. Dalla 17Black sarebbero dovuti partire parte dei 150mila Euro che avrebbero poi dovuto transitare sui conti di due uomini molto vicini al premier Muscat: Konrad Mizzi, ex ministro dell’energia e ministro del turismo, e soprattutto Keith Schembri, fedelissimo del primo ministro e suo capo di gabinetto dal 2013 fino a pochi giorni fa.
Ed ecco dunque che le indagini sull’uccisione della giornalista Dafne Galizia hanno poi avuto quel risvolto che sta portando al terremoto politico di questi giorni e che, soprattutto, stanno svelando le dimensioni delle zone grigie del potere maltese. Una corruzione ed una commistione tra affaristi ed amministratori politici che sarebbe, secondo i figli della giornalista uccisa e secondo molte associazioni maltesi, oramai endemica.
Un’isola al centro di traffici
Come già evidenziato nella giornata di venerdì, Muscat è prossimo alle dimissioni: lascerà, ha fatto intendere, quando il suo Partito Laburista designerà un nuovo leader. Si sta comunque assistendo alla fine di una parabola politica iniziata nel 2013, con l’arrivo di Muscat sulla poltrona di primo ministro. Una parabola segnata da contraddizioni: da un lato le inchieste e le accuse di corruzione già da prima dell’indagine sulla morte di Dafne Galizia, dall’altro una crescita economica ben superiore alla media europea, sbandierata da Muscat come successo della sua politica. In realtà anche in questo caso non mancano ombre: Malta sta crescendo a ritmi superiori anche al 6%, una rarità nell’eurozona, tuttavia questa crescita sembra poco sostenibile a lungo termine ed appare trainata da un boom edilizio a sua volta sorretto dalla manodopera a basso costo garantita dall’arrivo di migranti. Questi ultimi provengono, tramite i cosiddetti “movimenti secondari” ufficialmente vietati nella zona Ue, soprattutto dall’Italia: una volta sbarcati nel nostro paese, in tanti riescono poi ad arrivare a Malta attratti dalla prospettiva di trovare subito lavoro. Ed il governo chiude un occhio pur di vedere alimentata la manodopera necessaria a mantenere gli attuali livelli di crescita.
A destare particolare clamore poi, sono non solo le inchieste sulla corruzione a livello politico, ma anche quelle che mostrano come Malta sia al momento crocevia dei traffici più inquietanti del Mediterraneo. A partire da quello del petrolio libico, rubato dalle milizie che operano nel paese nordafricano e portato a Malta: da qui poi, grazie anche ad una legislazione “benevola”, il greggio viene trasportato in tutta Europa. Un contrabbando in parte svelato ad esempio dalla procura di Catania, con l’inchiesta “Dirty Oil” del 2017.
Non solo petrolio, ma anche “giochi” finanziari, broker e scommesse illecite: diverse inchieste in tal senso puntano su Malta. Lo stesso Yorgen Fenech ad esempio, come ha ricordato nei giorni scorsi il giornalista Franco Castaldo su La Sicilia, è coinvolto nell’inchiesta “Treni del gol“. Si tratta di un’indagine avviata dalla procura etnea contro presunti giri di scommesse volti a condizionare alcune partite dei nostri campionati di calcio. Nuvole dense dunque su Malta, un’isola che sembra essersi sempre più trasformata da paradiso del Mediterraneo a vero e proprio buco nero del Mare nostrum. Ma dove, al contempo, dopo la morte di Dafne Galizia la società civile sta iniziando a chiedere repentini cambi di passo alla propria classe dirigente.