Gli analisti americani e occidentali più critici nei confronti della Cina lo dicono da anni. Dietro la Nuova Via della Seta si nasconderebbe una trappola: la trappola del debito.

Secondo gran parte dei critici dell’iniziativa cinese, il gigante asiatico ha messo in piedi una strategia di do ut des per conquistare gradualmente i Paesi in cui investe. In sostanza accade questo: la Cina prima offre prospettive di crescita legate allo sviluppo infrastrutturale, poi, una volta che lo Stato oggetto dell’investimento si indebita per sostenere le opere delle aziende cinesi, Pechino offre prestiti per coprire le spese. Ed è proprio qui, in questo preciso momento di passaggio fra richieste di denaro e offerta di prestiti, che i critici della One Belt One Roadsostengono nasca la trappola.

La critica nei confronti della tattica cinese ora riguarda anche l’Italia. E le affermazioni del Financial Times sul sospetto che l’Italia stia valutando eventuali prestiti dalla Banca asiatica per gli investimenti sulle infrastrutture (Aiib nell’acronimo inglese) vanno in questa direzione. Dal momento che è questo lo strumento finanziario con cui il governo cinese sostiene molti progetti nell’ambito della Nuova Via della Seta, il pericolo è che anche Roma cada in questo meccanismo.

Il quotidiano londinese ha svelato che il potenziale coinvolgimento dell’Aiib potrebbe placare le preoccupazioni dell’Unione europea, visto che la Banca asiatica per gli investimenti presta fondi seguendo standard internazionali. Proprio per questo motivo, un funzionario europeo ha affermato che “senza il coinvolgimento di questa banca, sarebbe difficile far partire la Via della Seta in un Paese chiave dell’Unione”. Infatti, fino a questo momento, la maggior parte dei prestiti per le infrastrutture arriva dalla China Development Bank e dalla Export-Import Bank of China, due istituti che lavorano in chiave bilaterale e che quindi non garantiscono il rispetto delle normative Ue. Come invece richiesto da Bruxelles in queste settimane.

In queste ore, è iniziata a circolare una traduzione non ufficiale del memorandum che dovrebbe siglare Italia e Cina. E al punto 1 del paragrafo 2 del testo si legge che “le controparti lavoreranno assieme alla Banca di investimento asiatica per le infrastrutture (Aiib) per favorire la connettività nel rispetto delle finalità e delle funzioni della Banca”. In sostanza, sembra quindi confermato un coinvolgimento della Banca d’investimento cinese per quanto riguarda i progetto nell’ambito della One Belt One Road.

Il problema è che, come sottolineato anche da Startmagazine, questo potrebbe non placare né i dubbi sulla possibile caduta nella “trappola del debito” né i critici verso il coinvolgimento dell’Italia nella Nuova Via della Seta. E il motivo è da ricercar nella governance della Banca, dal momento che “il voto della Cina pesa infatti per il 27% del totale”. In sostanza, continua la testata, “ciò le conferisce di fatto un diritto di veto su tutte le decisioni chiave, dalla nomina del Presidente, alla ripartizione dei proventi all’approvazione di finanziamenti al di fuori del continente asiatico. Con un capitale di 2,57 miliardi di dollari pari al 2,7% del totale, l’Italia occupa un posto di rilievo nella Banca ma, al cospetto di Pechino, appare chiaramente un peso leggero, se non un fuscello”.

Preoccupazioni che trovano convergenze soprattutto da parte americana, visto che gli Stati Uniti considerano l’Aiib una sorta di contraltare del Fondo monetario internazionale e dei maggiori istituti internazionali di matrice occidentale. Di fatto, dicono da Washington e dintorni, quello che sta avvenendo non è altro che la costruzione di un sistema bancario e di investimenti alternativo a quella occidentale e con cui la Cina non ha solo velleità di investimento, ma anche di controllare il mondo. E in questo senso, rientra lo schema noto, appunto, come “trappola del debito”. Che secondo gli strateghi occidentali vale non solo per le altre due banche cinesi, ma anche per la stessa Aiib, pur rispettando le normativa europee. Un rischio che Giulio Sapelli, su Formiche, ha definito “imperialismo del debito”, con una sfida geopolitica che coinvolge Occidente e Oriente.

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