Il nodo principale che l’economia italiana si trova oggigiorno a sciogliere non è quello dei dati congiunturali che parlano della ricaduta del Paese in recessione tecnica ma, piuttosto, quello ben più stretto delle prospettive di lungo periodo del Paese. Il sistema-Paese, nonostante la presenza di numerose eccellenze, è fondamentalmente fragile ed è inserito in un contesto comunitario che preoccupa per la mancanza di strategie volte a mediare con una possibile recessione globale, per la sua eccessiva focalizzazione sulle politiche di moderazione salariale e rigore monetario che favoriscono l’export di pochi Paesi (Germania in primis) e, soprattutto, per la sua miopia strategica.

Neanche la Grande Recessione sembra aver scosso l’Europa dal torpore in cui l’avevano precipitata la fine della Guerra fredda e la firma del trattato di Maastricht, origini dell’illusione di poter vivere in un paradiso post-storico e di potersi affidare alla mera logica economicistica. La lezione della crisi e le mosse poste in essere da giganti come Stati Uniti, Cina e Giappone insegnano come la necessità principale sia, attualmente, riaffermare il primato della politica nella gestione dell’economia e, soprattutto, riscoprire la lezione di Keynes attraverso il rilancio della domanda aggregata. Cosa che l’Italia non ha saputo o potuto fare.





I governi italiani hanno distrutto la domanda interna

Giuseppe Conte ha portato a casa un deficit superiore al 2% dopo un’estenuante trattativa con Bruxelles, ma il governo Lega-Cinque Stelle ha fatto una manovra, fondamentalmente, più austera in termini di rapporto tra disavanzo e Pil di quella dei governi Renzi e Gentiloni. Basti inoltre pensare al caso del governo Monti, con i suoi deficit pari o superiori al 3% dettati principalmente dalle politiche di austerità che, per ammissione stessa del Senatore a vita, la domanda interna puntavano a distruggerla.

La mancanza di strategie per il rilancio della domanda interna e di spese capaci di produrre rafforzamenti in conto capitale capaci di fungere da volano per nuovi investimenti a lungo termine è da imputare, in primo luogo, alla sciagurata linea di taglio degli investimenti pubblici governativi. Coloro che oggi si stracciano le vesti per la più contestata delle infrastrutture in via di realizzazione, la Tav Torino-Lione, sono gli stessi che hanno avallato il massacro delle politiche di sviluppo negli scorsi anni. Salvo poi buttarsi con appetito da leone su ogni commessa pubblica in momenti in cui le reali necessità vengono a galla.

Infrastrutture e lavoro per rilanciare la domanda 

Anche la Germania di Angela Merkel, campionessa dell’austerità, inizia a pagare sulla propria pelle le conseguenze sociali delle riforme che hanno ridotto lo stato sociale e le tutele del lavoro, e corre ai ripari rompendo il tabù sugli investimenti pubblici in infrastrutture. Forse anche a Berlino risulta evidente a questo punto che è in atto “un circolo vizioso che diventa particolarmente problematico all’interno dell’Europa, dei rapporti politici tra Paesi membri e delle sue regole”, come sottolinea Italia Oggi. Oramai solo gli economisti poco seri e in mala fede possono  “non accorgersi del circolo vizioso in atto e  non sostenere che serva un elemento esterno che lo possa spezzare o quanto meno attutire. Il circolo vizioso è quello descritto di rallentamento globale, restringimento del credito, salita dello spread che si ripercuote sull’economia specialmente se ha scommesso tutto o moltissimo sulle esportazioni”, trascurando i consumi interni dei cittadini.

La domanda interna, dunque, risulta il cardine su cui basarsi per sperare in una nuova crescita. Paolo Savona lo aveva segnalato in fase di scrittura dell’ultima manovra economica. “L’intervento esterno o lo stimolo è quello che si rende necessario in una situazione in cui le banche non possono, da sole, che fare quello che fanno con meno crediti e in cui per rispettare i vincoli europei si dovrebbe addirittura fare politiche pro-cicliche aumentando le tasse”. Una vera e propria follia, certamente, ma il rimedio finale trovato dal governo, pur sanando doverosamente la clamorosa ingiustizia sociale della legge Fornero, non dota l’Italia dei grandi strumenti antirecessione di cui necessiteremmo in maniera vitale.

I progetti che servono al Paese

Ferrovie locali, porti, strade provinciali, viadotti, ponti necessitano di ristrutturazione in tutta Italia: anche senza porre in essere alcun nuovo progetto, per quanto soprattutto al Sud vi siano enormi necessità, si potrebbe impostare un piano nazionale capace di generare occupazione, lavoro e dividendi.

Creare lavoro significa creare futuro: la domanda interna, infatti,  coincide di fatto con la speranza dei cittadini italiani per un futuro migliore e più sicuro. Ed è il più grande strumento di assicurazione contro la buriana che si va intensificando su scala globale.

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