“La Cina ha sempre rispettato in modo completo e severo le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza”. Non si fa attendere la reazione di Pechino alle accuse del presidente Usa, Donald Trump, riguardo alla vendita di petrolio tra navi cinesi e navi nordcoreane al largo del Mar Giallo.

Le accuse di Trump sono state provocate dalla pubblicazione di un articolo del giornale sudcoreano Chosun Ilbo, in cui erano mostrate delle foto scattate da satelliti spia americani, che immortalano navi cinesi impegnate a trasferire petrolio su navi nordcoreane nonostante l’embargo imposto dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, ha risposto affermando che il governo cinese sta già indagando su quanto riportato dal giornale di Seul, ma ha negato che Pechino sia coinvolta in alcuna violazione delle sanzioni (votate dalla Cina). Inoltre, Hua ha anche riportato un particolare riguardante le foto scattate dai satelliti Usa che “scagiona” le autorità cinesi, e cioè che una delle navi immortalate dalle foto del 16 ottobre scorso, non fa scalo in porti cinesi da agosto. “Se questa nave abbia fatto scalo in altri Paesi, noi non lo sappiamo”, ha concluso, promettendo però anche che la Cina “adotterà severe misure punitive” qualora l’inchiesta avviata dalle autorità cinesi dimostri una violazione dell’armatore del blocco al petrolio verso la Corea del Nord. “Fare polemiche senza fondamento tramite media non contribuisce a rafforzare la fiducia reciproca e la cooperazione” ha poi ribadito Hua.

Una tesi sostenuta anche dal Global Times, il quotidiano internazionale del Partito comunista cinese, che ha definito “traballanti” le accuse di Donald Trump sul traffico di petrolio cinese in Corea del Nord. “La Cina è membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu e ha votato a sostegno delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite contro la Corea del Nord”, ricorda l’editoriale del Global Times, che prosegue: “dalle foto non si può concludere che la Cina stia fornendo petrolio alla Corea del Nord ignorando le risoluzioni. È universalmente noto che la proprietà di una nave non può essere determinata dal logo e dalle bandiere su di essa. È affrettato affermare che la nave sia collegata alla Cina solo in base al suo aspetto. Inoltre, se si trattasse effettivamente di contrabbando, è molto probabile che la nave usasse vessilli falsi”. Ed in effetti, se un governo fosse realmente coinvolto in una violazione palese delle sanzioni internazionali, difficilmente userebbe una flotta battente bandiera del proprio Stato. Lo potrebbe fare un armatore privato, ma si fatica a ritenere credibile l’azione così ingenua da parte di un governo che avrebbe tutto da perdere dalla scoperta di un possibile contrabbando di petrolio. E perderebbe non solo dal punto di vista d’immagine internazionale, ma anche dal punto di vista del rapporto con i partner asiatici come Corea del Sud e Giappone.

Proprio sul fronte dei rapporti bilaterali fra Cina e Corea del Sud, nei giorni scorsi Seul ha rivelato di aver sequestrato a novembre la petroliera “Lighthouse Winmore”, battente bandiera di Hong Kong, sospettata di aver trasbordato 600 tonnellate di petrolio a un battello nordcoreano il 19 ottobre scorso.

Secondo quanto riportato dalle fonti del governo sudcoreano, la petroliera è entrata nel porto di Yeosu, costa sudorientale della Corea del Sud, l’11 ottobre per imbarcare un carico di prodotti petrolchimici, per poi ripartire quattro giorni dopo. Una volta entrata in acque internazionali nel Mar Giallo, il 19 ottobre, si sarebbe incontrata con la nave nordcoreana “Ryesonggang 1”, come testimoniano le immagini satellitari.

L’intelligence sudcoreana era già a conoscenza di questi presunti traffici illeciti e così, a novembre, quando la petroliera è rientrata sempre a Yeosu per un altro carico, le autorità giudiziarie l’hanno sequestrata. La notizia è stata tenuta segreta fino a questi giorni, lasciando che fosse resa nota soltanto una volta scoppiato lo scandalo.  Una regia che lascia sospetti e che sembra dunque avere un preciso scopo. Non va, infatti, dimenticato che non esistono prove, fino ad ora, che il governo cinese sia in qualche modo coinvolto nel traffico di greggio: la Lighthouse Winmore batte bandiera di Hong Kong, regione comunque sottoposta a giurisdizione cinese, ma era stata noleggiata dalla società taiwanese “Billions Bunker Group Corp”. L’ufficio della presidenza della Repubblica di Taiwan, repubblica non riconosciuta da Pechino e che cerca di rendersi indipendente con l’auto del blocco cui fanno capo gli Stati Uniti, ha chiarito che la società che ha noleggiato la petroliera non solo non opera sull’isola ma si ignora anche chi ne sia realmente il proprietario. Il mistero dunque s’infittisce. E, come diceva sir Arthur Conan Doyle, “niente è più ingannevole di un fatto evidente”. Specialmente nelle bollenti acque del Pacifico occidentale.

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