Negli ultimi mesi la Cina si è dedicata a due attività complementari e parallele: stringere nuovi accordi con vari governi stranieri per assicurarsi ingenti forniture di petrolio e aiutare quegli stessi paesi a non collassare sotto il peso dei contesti politici in cui si trovano. Il riferimento principale è all’Iran, alle prese con una situazione precaria nel Golfo Persico e ai ferri corti con gli Stati Uniti. Washington ha sanzionato a più riprese il governo iraniano ma Teheran, pur tra mille difficoltà, continua a commerciare il suo petrolio, anche perché il greggio è l’unica assicurazione sulla vita dell’intero Stato. Gli americani hanno provato in tutti i modi a isolare l’Iran, arrivando addirittura a corrompere con milioni di dollari i capitani delle petroliere affittate dai pasdaran per trasportare il petrolio ai partner.
Teheran in sofferenza
Nonostante il supporto della Cina, l’Iran sta comunque attraversando una fase complicata. Secondo i dati diffusi dalla compagnia di intelligence Kpler, che ha tracciato le petroliere e gli acquisti denunciati dalle dogane, le esportazioni di petrolio iraniano sono calate di oltre il 90%, arrivando da 365 mila barili al giorno di luglio ai 160 mila di agosto. Per capire il danno che le sanzioni americane stanno causando all’economia dell’Iran, basti pensare che Teheran, all’inizio di maggio, esportava un milione di barili al giorno e nell’aprile 2018 addirittura 2,5 milioni. Adesso i partner che continuano a fare affari con il governo iraniano si contano sulla punta delle dita: sempre riferito al mese scorso, la Turchia avrebbe importato 22 mila barili di greggio iraniano al giorno, la Siria (33 mila) e la Cina (105 mila). Kpler avverte tuttavia che questi dati non prendono in considerazione le spedizioni transitanti sui mercati irregolari; alcuni esperti affermano che tali esportazioni arriverebbero a essere quantificate anche a 400 mila barili al giorno.
Il salvagente di Pechino
In ogni caso è inevitabile che l’Iran abbia accusato il colpo e la Cina non vuole perdere uno dei suoi alleati più importanti situati in Medio Oriente. Secondo quanto riportato da Petroleum Economist, Pechino e Teheran hanno aggiornato un accordo stretto nel 2016 e della durata di 25 anni, che prevedeva un investimento cinese di 400 miliardi di dollari da diluire in questo arco di tempo. I cinesi sono pronti a destinare nel primo quinquennio 280 miliardi di dollari in tre settori strategici iraniani: quello petrolifero, del gas e petrolchimico. A questa somma ne sarà aggiunta una ulteriore di circa 128 miliardi destinata alle infrastrutture, perché l’Iran resta un hub fondamentale per la Nuova Via della Seta. L’obiettivo della Cina è chiaro: evitare che Teheran possa collassare sotto i colpi dell’amministrazione Trump, ma soprattutto evitare che un privilegiato fornitore di petrolio possa chiudere la saracinesca e dichiarare il “fallimento”: Pechino ha gettato un salvagente al governo iraniano ma ha comunque deciso di tutelarsi stringendo un accordo molto intrigante anche con Aramco, la compagnia petrolifera statale dell’Arabia Saudita sempre più interessata al business asiatico. L’importante, per il Dragone, è non restare a secco di petrolio in un momento storico molto delicato, quello in cui dovrà concretizzarsi il sorpasso agli Stati Uniti.