Nel suo discorso pronunciato all’Heritage Foundation  il consigliere per la sicurezza nazionale degli Usa, John Bolton, ha presentato i dettagli del nuovo approccio che Washington adotterà ogni volta che si tornerà a parlare di continente africano. 

Bolton ha parlato di una “nuova strategia per l’Africa” per controbilanciare l’influenza cinese e per concentrare in maniera più intelligente e utile gli investimenti in un continente in cui, solo nel 2017, solo gli aiuti americani hanno toccato gli 8,7miliardi di dollari, mentre gli investimenti hanno raggiunto l’importante cifra di 50 miliardi di dollari. Flussi di denaro che secondo il consigliere per la sicurezza nazionale Usa non sono serviti ai Paesi africani per praticare quella svolta in cui tutti speravano. Sintomo di impotenza che si scontra con la preoccupazione causata dai dati, ricordati da StartMag, riguardo i finanziamenti cinesi in Africa: secondo la Ong AidData, infatti, tra il 2000 e il 2014 i finanziamenti di Pechino nel continente nero hanno sfiorato i 121,6 miliardi di dollari.

Bolton ha annunciato che gli Stati Uniti non “getteranno” più i soldi dei loro contribuenti per finanziare Paesi che non condividono ideali e principi americani, ma che piuttosto verrà seguito un principio simile a quello adottato durante il Marshall Plan. Questo significa che gli investimenti americani saranno concentrati unicamente nei paesi che dimostrano di abbracciare, o quantomeno inseguire, gli standard occidentali. Da qui lo spunto per annunciare la possibile fine del supporto Usa al Sud Sudan.

Gli americani sono preoccupati del modello di business che Pechino sta tentando di esportare molto al di là dei suoi confini. Come già successo col porto di Hambantota in Sri Lanka , la Cina tende a favorire ingenti prestiti che però – a differenza, per esempio, della Banca Mondiale che solitamente richiede il loro pagamento entro decenni – devono essere saldati in pochissimi anni. Non avendo liquidità molti paesi tendono quindi a cedere infrastrutture o aziende strategiche per ripagare i prestiti cinesi. Esempio pratico portato da Bolton è lo Zambia che, detenendo attualmente un debito con la Cina che oscilla tra i 6 e i 10 miliardi di dollari, rischia di dover cedere a Pechino le sue compagnie energetiche.

Grande attenzione sul Corno d’Africa. Qui i cinesi nel 2017 hanno installato una loro base militare a Djibouti situata a poche miglia dalla base statunitense di Camp Lemonnier. Proprio in quest’area, secondo Bolton, sono capitati troppi episodi poco piacevoli. Un esempio pratico sono le decine di casi di piloti americani che hanno subito gravi danni agli occhi a causa dei laser cinesi che disturbavano i caccia Usa durante le manovre di atterraggio. 

In breve, le pratiche predatorie perseguite dalla Cina ma anche dalla Russia ostacolano la crescita economica in Africa, minacciano l’indipendenza finanziaria dei paesi africani e inibiscono le opportunità per investimenti americani nella regione. Per questo Bolton ha annunciato l’iniziativa “Prosper Africa” che, come suggerisce il nome, si impegnerà a far prosperare quello che alcuni considerano il “continente del futuro”, certo sempre con un occhio di riguardo per gli interessi americani. “Il nostro desiderio è vedere un’Africa che fiorisca senza dover abbandonare la sua indipendenza”, ha sottolineato il consigliere John Bolton. 

Anche in Africa, come già successo con il dossier Iran e Jcpoa,  Stati Uniti e Unione europea sembrano muoversi con relativa indipendenza, non più a braccetto come di consueto. Infatti anche l’Ue, come vi abbiamo raccontato su questa testata , ha lanciato il suo Piano Marshall per l’Africa, tanto che già si parla di un prestito europeo pari a 45 miliardi di dollari da spalmare in sette anni e che dovrebbe partire dal 2021. 

Il Continente nero si trova al centro di una partita importante e che si giocherà a più riprese. Pechino si sta facendo strada in Africa a un ritmo che preoccupa sia Washington che Bruxelles, soprattutto se si tiene in considerazione il progetto della Nuova via della seta. Così Stati Uniti e Ue, anche se con progetti indipendenti, cercano di rispondere alle ambizioni cinesi lanciando i loro rispettivi progetti di rilancio del Continente africano. E l’Italia? Roma dovrà riuscire a sfruttare i possibili margini di manovra che si apriranno durante lo scontro tra le potenze europee e la Cina cercando allo stesso tempo di non essere schiacciata durante quello che sarà sicuramente uno scontro tumultuoso tra i big internazionali. L’Italia potrebbe davvero proporsi come interlocutore privilegiato con i paesi in via di sviluppo, vicini geograficamente al Paese e nei quali c’è la possibilità di ampliare lo spazio internazionale di manovra per Roma. Il Bel Paese dovrebbe però riuscire a evitare di esacerbare lo scontro tra Bruxelles, Washington e Pechino, cercando allo stesso tempo di dimostrare la sua capacità di rappresentare una piattaforma di distensione ed equilibrio che possa rivelarsi un valore aggiunto per la maggior parte degli attori internazionali coinvolti.