Il provvedimento giudiziario disposto nei confronti di Steve Bannon dalla procura di New York può influire sulle sorti del sovranismo politico.

L’ex capo stratega della Casa Bianca, nel corso di questi anni, è divenuto un simbolo della corrente ideologica che privilegia lo Stato nazionale, dunque i confini e l’economia interna. Non tutti i sovranisti si rifanno a Bannon, ma quest’ultimo ha guardato con attenzione a tutti i movimenti sovranisti occidentali. Tanto da aver anche pensato per un po’ di tempo alla costituzione di una “internazionale” in grado di racchiudere tutte queste formazioni. Non se n’è fatto niente ma, dal punto di vista mediatico, l’arresto di Bannon è un colpo che può essere sfruttato per mettere in crisi l’intero panorama populista: molti attori del sovranismo europeo, politicamente parlando, hanno avuto a che fare con l’ex Chief strategist di Donald Trump. E l’Europa è solo il secondo dei teatri in cui il “bannonismo” ha provato ad attecchire.

L’arresto di Bannon per presunta frode, soprattutto, arriva in un momento particolare per la politica americana: alle elezioni americane mancano ormai tre mesi. Novanta giorni in cui il presidente in carica, stando ai sondaggi, deve rimontare parecchio per impensierire il rivale Joe Biden. Trump ha allontanato Bannon dalla Casa Bianca nell’estate di tre anni fa, ma il leader di “The Movement” è associabile al presidente degli States per essere stato uno degli artefici della vittoria del 2016. Bannon ha fatto parte della campagna elettorale in seconda battuta, ma si è rivelato decisivo in termini contenutistici. Trump ha trionfato contro la Clinton anche per via della propaganda sulla costruzione del muro al confine con il Messico: un simbolo di come l’esponente Repubblicano avrebbe inteso gestire i fenomeni migratori. Ecco, il fatto che Bannon – questo è il cuore delle accuse – si sarebbe indebitamente appropriato di parte dei fondi di una raccolta destinata proprio alla costruzione del muro non fa che favorire la narrazione progressista. 

Quel muro è un simbolo del trumpismo. The Donald ha fatto di tutto per farlo edificare prima del voto di novembre. Prescindendo dal risultato pratico della costruzione, che può essere positivo o meno, quella barriera di separazione è tornata così al centro del dibattito politico statunitense, consentendo ai Democratici di attaccare il presidente pure sull’argomento “Bannon”. Le tempistiche dell’arresto – quelle che insospettiscono i complottisti – possono rivelarsi politicamente sensibili, e cioè in grado di smuovere l’opinione pubblica dei moderati in direzione dell’anti-trumpismo. A Trump, per essere riconfermato, serve il favour della “maggioranza silenziosa”. In altre parole, al tycoon occorre che l’America moderata preferisca lui a Biden. L’arresto di Bannon fa sì che si torni a parlare di un esponente legato al “trumpismo” in passato e considerato estremista dalla stampa mainstream. In questo senso, la notizia data qualche ora fa, può smuovere gli animi dei moderati americani in direzione di Joe Biden. La propaganda progressista – possiamo esserne certi – porrà molti accenti sul caso.

Donald Trump ha insomma un nuovo problema. E per quanto il presidente degli States abbia, almeno sino a questo momento, dribblato i commenti, è lecito immaginare che presto il tycoon venga travolto da un’altra bufera. Il presidente degli States, sempre nel caso Bannon dovesse effettivamente essere riconosciuto colpevole di frode, potrebbe comunque giustificarsi, affermando di averlo rimosso dal ruolo in cui era stato incaricato nella Casa Bianca in tempi non sospetti. Ma potrebbe non bastare: per un lungo periodo di tempo, Bannon è stato considerato l’ideologo del trumpismo. L’uomo che aveva risvegliato l’America profonda, contrastando le contraddizioni della dinastia Clinton e di quella Obama.

Nei suoi discorsi, Trump sembra essere consapevole del numero degli attacchi che sarà costretto a subire da qui all’appuntamento elettorale: nel 2016, il candidato dei Repubblicani ha sfruttato la polarizzazione ideologica e il fatto che i media, nel bene e nel male, non facessero che parlare di lui. Vedremo se questi elementi si ripresenteranno anche nel corso di questi tre mesi che ci separano dalle presidenziali.





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