Sarebbe stato sciocco pensare che le primarie dei democratici non regalassero almeno un candidato in grado di fare a tutti una sorpresa. Nella politica statunitense, c’è sempre qualche fattore che esula dai piani originari.

La vittoria di Barack Obama contro Hillary Clinton alle primarie di quindici anni fa e la trionfante cavalcata di Donald Trump a scapito di Jeb Bush e Marco Rubio sono i due casi più recenti. Pete Buttigieg può rappresentare, a questo giro, quell’imprevisto che gli analisti politici non avevano tenuto in considerazione.

Posizioniamo sin da subito un primo paletto argomentativo: sorprendere non vuol dire per forza portare a casa la nomination. Vi ricorderete delle belle performance di Ted Cruz e Bernies Sanders, che tuttavia non hanno vinto. Le chance del giovane sindaco di South Bend restano ridotte al lumicino. Il vecchio leone del Vermont e Kamala Harris, finché Joe Biden non farà la sua scelta, rimangono gli assoluti favoriti. Ma uno spazio politico esiste e il trentasettenne originario del Midwest, ora incaricato come primo cittadino in Indiana, lo sta occupando di settimana in settimana.

Abbiamo raccontato più volte di come l’assenza di un “big” moderato potesse costituire un problema dalle parti degli asinelli. E abbiamo anche evidenziato come, in assenza di questo stesso big, le primarie dei Dem rischiassero di diventare una sorta di congresso interno tra socialisti. I primi a essere preoccupati sono i grandi finanziatori.

É proprio per via di questo vacuum che la candidatura di Pete Buttigieg sta acquisendo una certa credibilità. La sua figura mediatica è densa di paradossi, ma rimane tra le poche spendibili al centro della scacchiera. Persino più di quel Beto O’Rourke, il cosiddetto “Obama bianco”, che continua ad arrancare nei sondaggi. Pete Buttigieg, come avevamo scritto qui, è un omosessuale dichiarato e ha contratto un matrimonio con un compagno, Chasten Buttigieg, ma è pure un uomo di fede. E questo è la prima di quelle che potrebbero sembrare contraddizioni.

Il secondo di queste presunte illogicità è il militarismo, che il candidato alle primarie sembra professare, in quanto veterano, partendo da sinistra. Questo articolo apparso su La Stampa e riportato per intero da Dagospia pone l’accento su questi e su altri aspetti. Geograficamente parlando, il candidato dovrebbe portare a casa qualche risultato di valore nella “Rust Belt”, la cintura industriale che ha consentito a Donald Trump di vincere nel 2016 e che è destinata a fare da spartiacque pure nel 2020.

Se Joe Biden, di cui si sono perse le tracce, non dovesse partecipare alle primarie, Pete Buttigieg potrebbe fare la voce grossa in quel campo che rimane liberaldemocratico, ma che guarda pure all’operaismo, alla narrativa cara ai millenials (Buttigieg ha meno di quarant’anni) e all’estensione dei diritti civili.

Distribuire certezze a sei mesi dall’inizio delle votazioni sarebbe avventato. La senatrice californiana Kamala Harris punta, più o meno, a divenire la portavoce delle medesime istanze. Ma nella sua storia c’è una punta di progressismo in più. Buttigieg, che vuole raccontare una storia nuova della politica americana, si limita per ora a farsi conoscere. Una volta superata le prime fasi elettorali, sarà possibile valutare l’esistenza di possibilità concrete per la Casa Bianca. Tutto, come vedete, gira in ogni caso attorno a quello che deciderà di fare Joe Biden.

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