La visita di Trump in Cina ha portato dei risultati molto importanti per entrambe le parti. Restano le frizioni, questo è indubbio. Ma nello stesso tempo, si è capito che tra Usa e Cina il dialogo non solo resta aperto, ma è possibile anche far evolvere ulteriormente la cooperazione economica – già presente, nonostante gli slogan – nonché quella diplomatica. Se si pensava a un Trump muscolare, energico e rabbioso nei confronti del suo vecchio pallino, Pechino, si è trovato nuovamente a doversi ricredere. The Donald è arrivato in Cina con aspettative basse ed invece, a fronte delle gravi tensioni fra i due  Stati, esce dall’incontro con una base di accordi solidi e decisamente improntati sulla logica del win-win- A tesserne gli elogi, un alleato inaspettato: la stampa cinese. Il Global Times, organo di stampa in lingua inglese, ha pubblicato un editoriale in cui definisce il presidente americano un “leader pragmatico” che “non ha interesse in una diplomazia ideologica” e ha attaccato la stampa statunitense per aver dato al mondo, e anche alla Cina, un’immagine del presidente del tutto fuorviante rispetto alla realtà.

La realtà dei rapporti sino-americani è per ora ancorata a tre grandi questioni: commercio, Corea e Mar Cinese Meridionale. Di questi tre, i nodi restano, ma l’incontro di Pechino ha fugato ogni dubbio: non ci sarà una guerra, almeno nell’immediato, fra le due superpotenze che si contendono il Pacifico. E come sigillo al “patto di Pechino” non può non essere menzionato quello che resta il fiore all’occhiello – per ora- della diplomazia trumpiana: gli accordi economici. Cina e Stati Uniti hanno siglato accordi per un valore complessivo di 253,4 miliardi di dollari: un volume d’affari che il ministro del Commercio cinese, Zhong Shan ha definito senza mezzi termini “un miracolo”. Accordi che prendono ogni settore dell’economia e che dimostrano come, prima di ogni altra cosa, a Donald Trump interessi il benessere delle aziende americane. Alcuni esempi su tutti per comprendere l’importanza di questi contratti. La Boeing ha venduto 300 aerei alla Cina per circa 37 miliardi di dollari. La statunitense Caterpillar e la China Energy Investment Corp hanno concluso un accordo di cooperazione strategica per l’acquisto di tecnologie e macchinari per l’estrazione mineraria. Il colosso petrolchimico cinese Sinopec, Alaska Gasline Development, lo Stato dell’Alaska, China Investment Corp, e la Bank of China hanno concluso un accordo quadro per una cifra di 43 miliardi di dollari riguardanti il gas naturale liquefatto dell’Alaska: un contratto che si tradurrà, per gli Stati Uniti, in circa 12mila nuovi posti di lavoro e in una riduzione sostanziale del deficit commerciale con Pechino di circa 10 miliardi di dollari l’anno.

E in fondo questo è stato sempre il vero nodo da sciogliere per Donald Trump: la politica commerciale cinese. Una politica che il presidente Usa neanche imputa a Xi Jinping né la biasima, ma la trova semplicemente contraria agli interessi degli Stati Uniti. In questo senso, devono far riflettere le parole del presidente durante il vertice con il leader cinese. “Non biasimo la Cina, dopotutto chi può biasimare un Paese per approfittare di un altro Paese per il bene dei suoi cittadini?” ha domandato in maniera retorica il presidente Usa a Pechino, puntando semmai il dito con le precedenti amministrazioni americane, che a suo dire non hanno tutelato gli interessi degli Stati Uniti. Da queste parole di Trump, si può evincere molto della sua linea politica con la Cina. Lo scontro aperto non può esserci, perché il volume d’affari fra le due potenze è enorme e perché, a livello finanziario, i legami sono altrettanto forti. Esistono però delle leve con cui Trump può “piegare” il più possibile la Cina. E la stessa cosa può fare Xi Jinping, che non solo non ha interesse a fare una guerra con gli Stati Uniti, ma ha delle leve diplomatiche, territoriali ed economiche con cui può far scendere a compromessi la politica americana e il presidente Usa.

Pace su tutta la linea? No. Le frizioni restano ed esistono terreni in cui gli interessi dei due Stati sono assolutamente divergenti. specie nel Pacifico. Anche sulla Corea del Nord esistono primi segnali distensivi, con l’impegno di Pechino e Washington a rispettare le sanzioni dell’Onu a Pyongyang e verso una prospettiva di denuclearizzazione. Restano i problemi legati alle isole contese del Pacifico, che per la Cina restano un’area sotto orbita cinese e per gli Stati Uniti invece sono destinate agli Stati partner del Sud-est asiatico. Detto questo, il vertice di Pechino dimostra un dato, e cioè che Donald Trump e Xi Jinping preferiscono la collaborazione allo scontro.