Le elezioni presidenziali statunitensi, formalmente convocate per martedì 3 novembre, rischiano di diventare quelle maggiormente dilatate nel tempo degli ultimi anni, dai tempi del contesissimo duello tra George W. Bush e Al Gore del 2000 deciso sul filo di lana da una manciata di voti in Florida. Nell’incandescente 2020 americano, segnato dalla pandemia, dalla recessione e dalle proteste di piazza, un fattore estremamente peculiare nella corsa alla sfida tra Donald Trump e Joe Biden è stato rappresentato dal massiccio afflusso alle urne in anticipo o allo sdoganamento del voto per posta (sfruttato da oltre 50 milioni di americani) che hanno complessivamente portato oltre 80 milioni di cittadini a aver già espresso il loro voto. E dunque il conteggio dei voti espressi in questo modo in diversi Stati chiave rischia di rendere incompleta la tradizionale maratona che tiene incollati, dopo la chiusura delle urne, analisti e appassionati di tutto il mondo in attesa di vedere come si è strutturata la battaglia negli Stati chiave.

Il conteggio dei voti anticipati, infatti, segue flussi diversi a seconda degli Stati. “Dei sei Stati in bilico che decideranno le elezioni presidenziali ci si aspetta che la Florida, la North Carolina e l’Arizona diano i risultati entro la notte americana o poco dopo”, sottolinea il Corriere della Sera, segnalando che tali Stati hanno già iniziato a processare parte dei voti arrivati per posta. Al contrario, gli Stati industriali del Midwest in cui Trump costruì il suo trionfo nel 2016 – Pennsylvania, Michigan e Wisconsin – “iniziano a verificare le schede postali solo nel giorno del voto o poco prima” e dunque è diffiicile pensare che, a parte il meno popoloso Wisconsin che potrebbe finire il 4, gli esiti arrivino prima del 5 o del 6 novembre. “A complicare le cose”, aggiunge il quotidiano di Via Solferino, “alcuni Stati accettano schede che arrivano per posta dopo il giorno del voto (fa fede il timbro postale), come la Pennsylvania fino al 6 novembre o la North Carolina fino al 12”, per quanto ci si aspetta che una grossa fetta di elettori le invierà, piuttosto, nel giorno ufficiale del voto.

In questo contesto l’esito del voto rischia di rimanere in bilico per un diverso intervallo temporale, ma molto dipenderà dalle combinazioni di Stati che andranno all’uno o all’altro candidato. La forza di Biden è rappresentata dalla sua possibilità di vincere in più combinazioni di Stati. Se portasse all’incasso i primi tre e unisse ad essi la contesa Georgia, ad esempio, la partita potrebbe dirsi conclusa già il 3. Trump deve invece conquistare la Florida (29 grandi elettori) per non essere obbligato a sfondare in tutti e tre gli Stati del Midwest industriale vinti nel 2016 per uno scarto di meno di 90mila voti. Conquistando il Sunshine State, Trump potrebbe dover vincere solo in Michigan (16 grandi elettori) e assorbire la rimonta di Biden in Pennsylvania (20) e Wisconsin (10), a patto però di mantenere tutti gli altri Stati vinti nel 2016. Biden, in questo contesto, può puntare anche ad “assediare” la citata Georgia, il super-conteso swing State dell’Ohio, l’Arizona e, con remote possibilità di vittoria, provare a essere competitivo nella roccaforte per ecellenza del Grand Old Party, il Texas. La sua prima linea è dunque indubbiamente più solida di quella di Trump, per il quale il sentiero verso la presidenza è pressoché obbligato: vittoria in quattro dei sei Stati contesi, Florida necessariamente inclusa, e difesa del risultato del 2016.

E in caso di voto all’ultima scheda per decidere un’elezione cruciale in uno Stato conteso non è da escludere una sfida per il riconteggio che può arrivare, come accaduto nel 2000, a trascinare l’America nell’incertezza per diverse settimane e chiamare una delibera della Corte Suprema. E chi ha malignato in passato che con la nomina di Amy Barrett la Corte Suprema ha conosciuto una svolta “iper-trumpiana” è stato smentito dalla più recente delibera di First Street, che ha approvato l’ampliamento dei termini del voto postale contestato dai repubblicani in North Carolina e Pennsylvania. Le elezioni iniziate col più largo margine di anticipo nella storia americana potrebbero dunque concludersi come le più dilazionate nel tempo: il 2020 statunitense è una battaglia sul filo del rasoio.





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