Nuovamente sull’orlo dell’abisso, la Repubblica Bolivariana del Venezuela è stata segnata, nel corso dell’ultimo mese, da una serie di accaniti scontri politici e sociali che hanno scoperchiato, una volta di più, la questione delle enormi difficoltà con cui il Paese si trova a combattere e sono stati accompagnati, nelle principali città, da violente battaglie urbane tra i manifestanti facenti riferimento all’opposizione della Mesa de la Unidad Democratica (MUD) e le forze di sicurezza del governo del Partido Socialista Unido de Venezuela guidato da Nicolas Maduro.Mentre da inizio aprile a oggi i morti negli scontri deflagrati nella capitale Caracas sono stati almeno 20, un inquietante clima da guerra civile serpeggia in tutta la nazione: la tragicità della situazione del Venezuela sta nell’assoluta radicalizzazione della contrapposizione politica tra i due poli contrapposti, arrivati oramai a combattere una battaglia esistenziale in cui ogni mossa, ogni manifestazione, ogni discorso pubblico assume la valenza di strumento di offesa verso la controparte. Tale scontro si è spostato anche sul versante istituzionale: il 30 marzo scorso, infatti, il Tribunal Supremo de Justicia (TSJ), la Corte Suprema venezuelana, ha dichiarato en desacato (“in ribellione”) l’Asamblea Nacional controllata dalle forze di opposizione privandola, senza scioglierlo formalmente, di numerose sue prerogative.La mossa ha portato a un definitivo sdoganamento delle rivalità interne alla politica e alla società venezuelane, stabilendo le premesse per l’escalation attualmente in corso che sembra destinata a causare conseguenze infauste a una nazione messa in ginocchio dal tracollo economico iniziato con il netto abbassamento dei prezzi petroliferi ad inizio 2014. La crisi economica, politica e sociale ha rapidamente sgretolato le capacità di leadership di Nicolas Maduro, che nell’ultimo mese si è dimostrato una volta di più come un Presidente polarizzatore, divisivo e incapace di tenere una salda linea d’azione. Titubante, perennemente indeciso e restio ad agire, Maduro cerca di mascherare i suoi oggettivi limiti con un atteggiamento risoluto sulla scena pubblica, che però sole in rare occasioni si è tramutato in scelte concretamente utili alla risoluzione dei problemi vissuti dal Venezuela bolivariano, che a poco meno di vent’anni dall’elezione di Hugo Chavez si trova notevolmente vicino a un completo default.La netta e più che giustificata sconfitta del PSUV alle elezioni legislative del dicembre 2015 era stata il frutto della scelta di milioni di elettori appartenenti alla nuova classe media costituitasi sulla scia delle riforme chaviste e della riduzione delle disuguaglianze economiche conosciuta nel primo decennio della “Rivoluzione Bolivariana” che avevano voluto mostrare al governo la loro legittima insoddisfazione per i mancati risultati conseguiti in campi come il contenimento della criminalità, la lotta alla corruzione e la diversificazione economica e avevano mostrato tutti i limiti intrinsechi del “contratto sociale” venezuelano. La sonora batosta non ha in alcun modo spronato Maduro a evolvere la sua linea politica: nel momento in cui alcuni regimi politici facenti riferimento all’ideologia latinoamericana del “socialismo del XXI secolo”, come quelli del Nicaragua di Daniel Ortega, della Bolivia di Evo Morales e dell’Ecuador che di recente ha visto Lenin Moreno succedere a Rafael Correa, proseguivano sulla strada della riduzione della disuguaglianza economica interna, della disoccupazione e dell’analfabetismo in Venezuela la “Rivoluzione Bolivariana” ha finito per divenire il paravento ideologico con cui una ristretta cerchia burocratica ha giustificato il suo arroccamento al potere.[Best_Wordpress_Gallery id=”489″ gal_title=”Proteste in Venezuela”]Comprensibile, dunque, che il serpeggiante malcontento nella popolazione, manifestatosi in un primo momento sul piano elettorale, portasse in un secondo tempo all’aumento delle tensioni sociali; al tempo stesso, va sottolineato anche l’atteggiamento dei leader delle forze di opposizione, che dalla vittoria nel voto parlamentare ad oggi non hanno saputo in alcun modo sfruttare sul terreno politico il vantaggio acquisito e hanno portato l’eterogenea coalizione di opposizione ad essere egemonizzata dalle frange più radicalmente ostili alla perpetrazione del governo del PSUV.Verso la fine di ottobre 2016, esponenti moderati della MUD come Jesus Torrealba hanno cercato, forti della mediazione offerta dalla Santa Sede, di avviare un dialogo con il governo per implementare un piano di riforme d’emergenza condiviso, ma hanno visto la loro azione repentinamente affossata da esponenti oltranzisti come l’ex candidato alla Presidenza Henrique Caprilles e l’attuale Presidente dell’Asamblea Nacional Julio Borges. Questi è arrivato a cavalcare, per fini politici interni, la richiesta di esclusione del Venezuela dall’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) presentata dal suo Segretario Luis Almagro, giungendo ad incoraggiarla e a caldeggiarla con l’obiettivo dichiarato di mettere nell’angolo Maduro e il suo Ministro degli Esteri Delcy Rodríguez, rivelatasi negli ultimi anni l’unica personalità di spessore nell’attuale gabinetto chavista.Allo stato attuale delle cose, appare impossibile preventivare che la situazione interna del Venezuela possa normalizzarsi e che il clima politico possa rasserenarsi in vista del voto presidenziale previsto per l’aprile 2018: l’impresentabilità di Maduro, la violenza degli scontri di piazza, la rigidezza delle opposizioni, l’incalzante crisi economica (il 2016 ha visto una caduta del PIL di oltre 10 punti percentuali e circa un quarto dei venezuelani è oggigiorno senza lavoro) e il dilagare della criminalità hanno creato un circolo vizioso da cui la Repubblica Bolivariana sembra essere destinata a non uscire, perlomeno in tempi brevi. E mentre il presente riserva solo sfaceli al Venezuela, la più grande tragedia per il Paese è realizzare che nessuna forza politica abbia in mente un’idea chiara del suo futuro: al momento, l’unica preoccupazione dei contendenti sembra essere la volontà di proclamarsi i salvatori di una nazione che, in ultima istanza, mirano esclusivamente a continuare ad occupare o ad espugnare.
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