Il “fattore Putin” è stata una delle armi principali usate dal fronte pro-Ue nel dibattito pubblico sulla Brexit. Ma cosa ne pensa Mosca del referendum che si prepara a cambiare volto all’Europa?Per approfondire: Russofobi di tutto il mondo…piantatela!Da quando, niente di meno che il premier inglese David Cameron, durante il suo discorso pronunciato ad un evento del World Economic Forum, alla Mansion House, nel centro di Londra, rispondendo ai giornalisti disse che Vladimir Putin e al Baghdadi “sarebbero contenti” se la Gran Bretagna lasciasse l’Europa, il “fattore Putin” è entrato prepotentemente nel dibattito. Così la “russofobia” si è trasformata nella principale arma usata dai difensori dell’integrazione europea per delegittimare il fronte euroscettico.Anche il capo del Foreign Office britannico, Philip Hammond, infatti, poco tempo dopo disse che la Russia è “l’unico Stato interessato al fatto che la Gran Bretagna esca dall’Unione Europea”. “E questo probabilmente è tutto quello che dovremmo sapere”, aveva aggiunto, laconico, il capo della diplomazia di Sua Maestà. Accuse talmente forti, che hanno spinto ad intervenire anche il portavoce del Cremlino, e la portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakharova, i quali hanno entrambi chiarito come la Russia non sia affatto coinvolta nei processi connessi al referendum britannico.Molti in Gran Bretagna, però sostengono il contrario. E in prima fila, ci sono i tradizionali oppositori di Putin, come il campione di scacchi Garry Kasparov, presidente della Human Rights Foundation, che in un articolo pubblicato dal Guardian, ha accusato il Cremlino di sostenere qualsiasi processo volto ad indebolire l’Europa, supportando tutti i suoi elementi “divisivi”. La verità, però, è che il presidente russo non si è ancora mai espresso sul tema del referendum che potrebbe sancire la fine del matrimonio tra Londra e Bruxelles. Ma la “paranoia” occidentale nei confronti di Mosca ha portato ad interpretare il silenzio del Cremlino come un supporto esplicito al fronte anti-Ue. Tanto che il think thank inglese Chatam House, sulle mancate dichiarazioni di Putin è riuscito a scrivere un’intera analisi, intitolata, appunto, “il silenzio di Mosca cela una preferenza per la Brexit”.Per approfondire: Se gli europei sono sempre più euroscetticiMa, interpretazioni a parte, cosa pensa davvero la Russia degli esiti del referendum sulla permanenza di Londra nell’Ue? A spiegarlo oggi, alla vigilia dell’incontro tra Putin ed il capo della Commissione europea Jean-Claude Juncker al Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo, è il presidente del Consiglio russo per la politica estera e la Difesa, Fedor Lukyanov, intervistato dall’agenzia Agi. Quello che interessa davvero alla Russia, secondo Lukyanov, a prescindere dagli esiti della consultazione del 23 giugno, è che si apra “una nuova fase di cambiamento interno dell’Unione europea“. Magari, con un ulteriore spaccamento del fronte favorevole alle sanzioni contro Mosca, che, del resto è già in atto.”Nessuno sa cosa significhi Brexit e cosa seguirà a questa eventualità, non ci sono procedure definite, non sappiamo come influenzerà i mercati. Questa imprevedibilità non serve a nessuno e tanto meno alla Russia, che dipende così tanto dall’Europa”, ha spiegato l’analista del Club Valdai. Alla Russia del resto, continua Lukyanov, andrebbe bene qualsiasi scenario. Sia che dal referendum sulla Brexit uscisse fuori un’Europa più compatta, sia che si tornasse indietro ad uno scenario “pre-Maastricht”, composto cioè da “Stati più o meno indipendenti”, Mosca continuerà, in entrambi i casi, a dialogare con i partner europei. A variare, spiega l’analista sarà il formato con cui sarà condotto il dialogo. “Con un’Europa unita, si capirebbe meglio con chi parlare, mentre nella seconda ipotesi si tratterebbe di condurre la classica diplomazia”, ha affermato Lukyanov.Per approfondire: La crisi europea, tra Ttip, Ue e NatoMa è proprio l’incertezza che pesa sulle istituzioni comunitarie, ha fatto notare l’esperto russo, che continua ad essere il vero problema, “non solo per Mosca, ma per tutti i partner internazionali: Cina, Usa, India”. “Tutti si lamentano del fatto che in Europa non si sa con chi va presa la decisione finale”, ha concluso l’analista, che ha auspicato, quindi, che il risultato del referendum del 23 giugno apra finalmente una nuova fase nel processo di integrazione europea. “L’integrazione europea del XX secolo ha avuto un grande successo, ma è finita”, ha ricordato, infatti, il ricercatore, “la Brexit è importante perché prima di tutto creerebbe un precedente di uscita, quando finora l’ideologia è stata sempre quella dell’allargamento, ma allo stesso tempo può essere l’avvento di un’Europa più omogenea, se consideriamo che la Gran Bretagna ha sempre condotto una sua particolare politica”. Dall’altra parte Brexit, per l’analista, potrebbe significare anche “più instabilità”, “perché viene meno uno degli elementi che ha tenuto la struttura in equilibrio”.Insomma, è chiaro che a Mosca non dispiacerebbe un cambiamento interno a questa Unione Europea. Ma affermare che la Russia stia tramando perché la Gran Bretagna esca dall’Ue e che il Cremlino spinga per una disintegrazione delle istituzioni comunitarie, sembra un’ipotesi tanto impercorribile, quanto azzardata. La realtà è che in Europa c’è già talmente tanta crisi, che non serve nemmeno che qualcuno si sforzi per accentuarla.
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