La protezione dei confini è tornata centrale nel dibattito politico internazionale. Non c’è Paese che non ne senta l’esigenza. Non c’è governo che non la applichi o sia intenzionato ad applicarla. Non esiste campagna elettorale in cui la tutela delle frontiere non sia diventata centrale.

Stiamo vivendo una nuova fase della politica mondiale. Abbiamo vissuto con il sogno, forse l’utopia, dell’abbattimento delle frontiere. E invece ci ritroviamo a sentire di nuovo la necessità di riappropriarci del nostro spazio, sconvolti da una globalizzazione impetuosa e senza freni che ha scardinato certezze antiche, che davano sicurezza.

Le parole del ministro dell’Interno austriaco, Herbert Kickl , durante le esercitazioni per la difesa del confine da un assalto di migranti, esprimono in maniera cristallina la direzione intrapresa da molti governi: “Questo non è indecente né disumano, ma è ciò che il diritto e la gente si aspettano che facciamo”.

“Ciò che la gente si aspetta che facciamo”. Sì, è questo il vero ago della bilancia della politica del mondo. Non pensare al mondo come dovrebbe essere, ma al mondo come è. Con le sue certezze scalfite da anni di vuoti, di non detti, di mancanze di prospettive, di idee che non riuscivano ad attecchire su popolazioni che gradualmente perdevano le loro convinzioni.

C’è chi direbbe che qui, su questo terreno, è nato e cresciuto il cosiddetto populismo. Ma rispondere a un’esigenza sentita dalla popolazione non è forse la ragione per cui nasce un movimento politico?

È vero: è su questa esigenza che si fondono le grandi vittorie del sovranismo mondiale. Ma è anche vero che su questa idea i governi che pure fanno finta di non essere tali, si devono orientare. L’internazionale sovranista avanza e, con essa, si adeguano anche quelli che non la pensano come loro. Tutti consapevoli che è dietro questa esigenza che si nasconde il nodo da sciogliere per vincere le elezioni e mantenere il consenso.

La risposta a una domanda scomoda

La verità è che proteggere il confine è una necessità che per molto tempo si è voluto dimenticare. Le richieste dal basso arrivavano, ma i governi non le ascoltavano, convinti che, negli anni, avrebbero convinto loro i popoli della bontà delle proprie idee. Ma così non è stato.

Donald Trump, da molti considerato il capostipite di questo mondo, non è stato affatto il demiurgo dell’America profonda, ma la risposta alle domande che nessuno aveva mai voluto ascoltare. I leader dell’Europa orientale, quelli uniti nel cosiddetto “Gruppo Visegrad“, hanno avuto successo perché hanno risposto in maniera dura allo scontro fra la modernità e la base culturale che permea questi Paesi.

La sollevazione dei movimenti sovranisti in Europa occidentale, dalla Francia all’Italia, dalla Germania all’Olanda, passando anche per la Gran Bretagna, non è stata costruita dal sovranismo, ma è il sovranismo che le sta dando risposte concrete. E questo è dovuto principalmente a quei governi che per decenni hanno fatto finta che, in un modo o nell’altro, questa domanda non sarebbe più stata posta.

Da Est a Ovest, da destra a sinistra

Se esiste una discriminante fra i movimenti politici di tutto il mondo, oggi è proprio su quanto sia sentito il dovere di protezione del territorio dall’esterno. E non è un caso che tutti i leader attualmente in carica o che vogliono essere eletti si confrontino su questo tema. Donald Trump, Viktor Orban, Sebastian Kurz, Horst SeehoferMatteo Salvini, Marine Le Pen appaiono come i leader di questa nuova ondata europea e atlantica che vede nel confine il muro della propria dimora.

Ma sono soltanto loro, i sovranisti o populisti, quelli che parlano di confini da proteggere? No, non è così. Angela Merkel per anni artefice della politica delle porte aperte sui rifugiati, ora paga il prezzo di anni di aperture sia con l’ascesa di Seehofer sia con l’erosione di consenso a destra ad opera di Alternative für Deutschland.Emmanuel Macron, colui che ci descrive ogni volta con epiteti sempre meno gentili, considera il confine con l’Italia non solo impenetrabile ma anche un’area in cui mandare in avanscoperta le sue forze di polizia.

E in Spagna, dopo il “golpe” di Pedro Sanchez, anche la sinistra si sta rendendo conto che rischia di rimanere su un terreno molto scivoloso. Il caso Aquarius è stato emblematico. Ma lo sono stati anche i mille migranti ripescati in un solo giorno nel mare che divide il Marocco dall’Andalusia. Un campanello d’allarme che Sanchez sa che non deve essere inascoltato. Perché è proprio il non aver ascoltato quei campanelli ad aver distrutto l’utopia dalla socialdemocrazia europea. Il globalismo è un pantano che rischia di essere insuperabile senza averne i correttivi.

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