Sono diffuse in tutto il mondo le aspettative secondo cui l’elezione di Joe Biden alla presidenza degli USA marcherà un cambiamento drastico sia nella politica interna che estera degli Stati Uniti. Questa convinzione si basa sullo stereotipo ampiamente condiviso che la presidenza di Donald Trump abbia incarnato un populismo autoritario interno ed uno scontroso unilateralismo, se non direttamente “isolazionismo”, all’estero.

Come molti luoghi comuni, un tale punto di vista degli anni di Trump contiene alcuni elementi di verità, ma include anche caratterizzazioni esagerate e inesatte. La presidenza di Biden adotterà senza dubbio politiche nettamente differenti su certe questioni, e alcune di queste modifiche si sono infatti già rese evidenti durante le prime settimane della sua amministrazione.

Tuttavia, coloro che danno per scontato che Biden seguirà un programma interno radicalmente progressista e che adotterà una politica estera sostanzialmente identica a quella a cui diede vita Barack Obama si troveranno probabilmente di fronte a grandi sorprese.

Quali cambiamenti sono in arrivo?

Non c’è dubbio che siano in programma diversi cambiamenti riguardo una serie di problematiche interne. Nella raffica iniziale di ordini esecutivi del nuovo presidente sono presenti anche quelli che annulleranno le decisioni del governo Trump per quanto riguarda la politica ambientale. Gli Stati Uniti rientreranno nell’Accordo di Parigi sul clima e cancelleranno l’oleodotto Keystone XL, ovvero gli obiettivi prioritari dei gruppi ambientalisti. Biden ha anche firmato alcuni ordini esecutivi che revocano le politiche restrittive di Trump, introducendo invece nuove protezioni per i diritti LGBTQ, per quelli all’aborto e per l’immigrazione.

Il presidente Joe Biden alza lo sguardo dopo aver firmato un ordine esecutivo che cancella il divieto, risalente alla presidenza Trump, per i transgender di servire nell’esercito, nello Studio Ovale della Casa Bianca, lunedì 25 gennaio 2021, a Washington. (AP Photo/Evan Vucci)

Tutti i passaggi di Biden sono stati in linea con un programma generalmente progressista. Tuttavia, l’amministrazione ha segnalato che potrebbe essere proposta una nuova legislazione per colpire il terrorismo interno. Questo approccio divide la coalizione progressista, poiché alcuni di loro temono possibili abusi delle libertà civili un timore che vede partecipi anche molti conservatori e libertari.

Sul fronte della politica estera, Biden ed i suoi consiglieri si stanno muovendo verso il ripristino di un maggiore coinvolgimento degli USA nella cooperazione internazionale. Oltre al rientro nell’Accordo di Parigi sul clima, il governo ha revocato il ritiro di Trump dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, nonché annunciato che gli Stati Uniti avrebbero cercato un’estensione quinquennale del Nuovo Trattato START per il controllo delle armi. La mossa di Biden ha immediatamente dato i suoi frutti quando il governo di Vladimir Putin ha confermato che la Russia avrebbe allo stesso modo continuato ad attenersi alle disposizioni del Nuovo START.

L’amministrazione Biden ha inoltre portato avanti misure conciliatrici riguardo altre questioni. Washington ha confermato di voler ristabilire il Piano d’Azione Congiunto Globale (PACG) l’accordo multilaterale che aveva posto limiti al programma nucleare iraniano. Trump aveva precedentemente sabotato tale provvedimento, portando ad allontanamento dalle policy degli alleati europei e dando modo all’Iran di attivarsi per intensificare i suoi sforzi nucleari. I consiglieri per la politica estera di Biden e i suoi alleati in sede congressuale hanno anch’essi riportato che altri cambiamenti potrebbero essere in programma per quanto riguarda la politica di Washington in Medio Oriente, compresa la fine del supporto USA alla brutale guerra che l’Arabia Saudita ed i suoi alleati del Golfo stanno combattendo in Yemen dal 2015.

Molte cose rimarranno le stesse

Ciononostante, bisogna stare attenti a non sopravvalutare l’estensione ed il significato di tali cambiamenti politici. Per esempio, non c’è indicazione che suggerisca che il legame tra Stati Uniti ed Israele si allenterà; anzi, la nuova amministrazione ha fatto capire immediatamente che Washington si sarebbe attenuta alla decisione del governo Trump di spostare l’ambasciata statunitense a Gerusalemme, nonostante le continue proteste da parte dei governi arabi. Non vi è alcun tipo di traccia che l’aiuto economico e militare statunitense ad Israele possa diminuire anche solo minimamente.

Anche altri aspetti della politica USA sia in Medio Oriente che nell’Asia Centrale sembrano destinati a proseguire con il pilota automatico. Nonostante la volontà di Washington di rientrare nel PACG, l’ostilità generale nei confronti dell’Iran rimane accesa. Allo stesso modo, non ci sono prospetti di una significativa riduzione del coinvolgimento americano nei conflitti in Siria e Afghanistan. Anzi, l’amministrazione Biden risulta incline a perpetuare tali missioni USA a tempo indeterminato, ed è messa sotto pressione dagli alleati NATO per agire in questo senso.

In questo scatto del 31 gennaio 2021, della Tasnim News Agency, Il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, il secondo da destra, incontra una delegazione politica dei talebani a Teheran, Iran. Un gruppo di esperti  bipartisan raccomanda con urgenza all’amministrazione Biden a riaprire i colloqui con i Talebani per posticipare un completo ritiro della truppe dall’Afghanistan oltre la scadenza di maggio concordata dall’amministrazione Trump. (Tasnim News Agency via AP, File)

E per quanto riguarda le relazioni Cina – Usa?

Biden ed i suoi consiglieri danno sì priorità al ripristino della cooperazione con i tradizionali alleati dell’America sia in Europa che in Estremo Oriente; tuttavia, è probabile che persino questo programma incontrerà più difficoltà di quelle previste. Uno degli obiettivi chiave del nuovo governo è quello di arruolare gli alleati NATO su un fronte comune nei rapporti con la Cina. Nelle considerazioni riportate il 28 dicembre, Biden afferma: “nel momento in cui ci confrontiamo con la Cina e riteniamo il governo cinese responsabile per i suoi abusi sul commercio, sulla tecnologia, sui diritti umani e su altri fronti, la nostra posizione sarà molto più forte se costruiremo coalizioni con partner che condividono la nostra linea ed alleati che facciano causa comune con noi per la difesa dei nostri interessi e valori condivisi”.

Tale missione è probabilmente destinata a fallire. Infatti, a soli due giorni dai commenti del presidente eletto, l’Unione Europea ha firmato un significativo patto di investimento con Pechino, nonostante le richieste del team Biden di trattenersi da tale decisione. La prova che Washington non può contare sulla solidarietà europea agli Stati Uniti diventa ancora più evidente se si parla di un confronto diplomatico con la Cina su diritti umani ed altre questioni. Tale punto si è ampliamente palesato lo scorso anno, quando l’amministrazione Trump ha fallito nei suoi tentativi di arruolare gli alleati europei per una risposta condivisa all’imposizione di Pechino di una nuova legge per la sicurezza ad Hong Kong.

La questione Cina è forse il caso più esplicito in cui la politica di Biden con parecchia frustrazione da parte di molti alleati USA potrebbe non differenziarsi granché dall’approccio conflittuale adottato da Trump.

Gli interventi iniziali dell’amministrazione per quanto riguarda Taiwan rimarcano tale convinzione. Non solo Biden ha invitato l’ambasciatore de facto di Taiwan a partecipare alla sua inaugurazione, per la prima volta dopo che gli Stati Uniti hanno stabilito le relazioni diplomatiche con la Repubblica Popolare Cinese (RPC) nel 1979, ma alcuni funzionari dell’amministrazione hanno rilasciato diverse dichiarazioni enfatizzando il “solidissimo” impegno di Washington per la difesa di Taiwan.

Gli Stati Uniti hanno anche inviato un gruppo da battaglia della portaerei nel Mar Cinese Meridionale come sfoggio del potere militare statunitense sul territorio nemmeno una settimana dopo che Biden era salito al potere. L’amministrazione Biden starà anche tentando di sanare il conflitto commerciale con la Cina a cui Trump ha dato inizio, ma la politica USA nei confronti della RPC sul fronte sicurezza risulta decisamente inflessibile.

In poche parole, è probabile che Joe Biden cercherà di governare la politica interna come un presidente più vicino al centro che al centro-sinistra, ritardando o abbandonando obiettivi progressisti più grandiosi quali il Medicare For All e il Green New Deal, e adottando una posizione inaspettatamente ferrea e tradizionale per quanto riguarda il sistema legislativo e l’ordine pubblico.

Il suo approccio agli affari esteri ricorderà le politiche dei presidenti democratici (Bill Clinton e Barack Obama) che hanno preceduto Trump, ma con una linea visibilmente più dura nei confronti della Cina. In breve, Biden non sarà il fautore del drammatico cambiamento politico che molti dei suoi sostenitori o oppositori temono. Piuttosto, lascerà il suo distintivo ma generalmente moderato marchio sulla politica interna ed estera americana.

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