“Abbiamo intenzione di estendere le operazioni e aumentare il sostegno regionale”. A distanza di poche settimane dall’annuncio del ritiro degli oltre 2mila stivali sul terreno americani in Siria, è il capo del Pentagono, Jim Mattis, a contraddire il presidente americano Donald Trump e a spiegare davanti al Congresso che, al contrario, le truppe statunitensi sono destinate a rimanere ancora a lungo nel Paese mediorientale.
Un’inversione di rotta, quella del segretario alla Difesa, che arriva dopo il presunto attacco chimico a Douma e la risposta militare di Washington, Londra e Parigi contro Damasco. “Stiamo continuando la lotta contro l’Isis”, ha spiegato Mattis durante un’audizione al Comitato del Senato per le forze armate sul tema del bilancio del dipartimento della Difesa. La presenza militare statunitense nel Paese, dunque, è destinata a crescere. E ciò rappresenta, a detta del numero uno del Pentagono, “il più grande cambiamento” che gli Usa stanno “portando avanti in questo momento”. Del resto l’ipotesi di un ritiro del contingente americano era già stata smentita ieri dallo stesso Mattis davanti alla Senate Armed Services Committee, dove il capo della Difesa statunitense aveva anticipato un imminente “aumento delle operazioni sul lato iracheno del confine”.
Nelle scorse settimane a sostenere le truppe statunitensi nella lotta contro l’Isis in Siria sono arrivate anche le forze speciali francesi, a testimoniare come lo strano asse Trump-Macron, come lo ha definito il Washington Post, vada via via rafforzandosi. Proprio il presidente francese si è battuto nelle scorse settimane perché Trump tornasse sui suoi passi relativamente alla decisione di riportare a casa i soldati americani di stanza in Siria e secondo un retroscena pubblicato sul quotidiano russo Kommersantla questione della creazione di un piano alternativo a quello di Russia, Turchia e Iran per risolvere la crisi siriana sarebbe stata in cima all’agenda della visita di Emmanuel Macron negli Stati Uniti.
L’obiettivo di Washington e Parigi, secondo gli analisti russi, è quello di unire le forze “per controbilanciare il ruolo di Mosca e Teheran nella soluzione della crisi siriana”. Che dalla Casa Bianca puntino a ridimensionare l’influenza iraniana nella regione, del resto, non è un mistero e a confermarlo in un’intervista con la CBS News è stata la stessa ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite, Nikki Haley. Non è escluso, inoltre, suggeriscono gli esperti, che le truppe di alcuni Paesi arabi, come gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita, possano affiancare, o rimpiazzare progressivamente, come ipotizza il Wall Street Journal, i militari di Washington nel Paese.
E, in questo senso, uno dei primi tasselli che potrebbero saltare nel mosaico delle alleanze è quello della Turchia. L’asse tra Mosca e Ankara, notano gli analisti, è sempre più fragile e non è escluso che Vladimir Putin e Hassan Rouhani possano perdere il sostegno del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan. Intanto, un nuovo vertice tra i ministri degli Esteri dei tre Paesi resta confermato per domani a Mosca. Al centro dei colloqui ci sarà l’organizzazione del nuovo round di colloqui sulla Siria, previsti il prossimo 14 maggio nella capitale kazaka Astana.