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Mentre Cina e Stati Uniti proseguono la loro guerra commerciale, gli effetti cominciano a farsi sentire a livello globale. Le due maggiori potenze economiche sono impegnate in un gioco occhio per occhio di dazi e regolamentazioni che ha causato perdite nelle industrie di entrambi i Paesi, ed è probabile che presto la situazione peggiorerà. Il 2 marzo gli Stati Uniti aumenteranno i dazi dal 10 al 25% a meno che si trovi un accordo da entrambi i lati, e le speranze che ciò avvenga in così breve tempo appaiono quantomeno scarse.

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In precedenza, il presidente Donald Trump aveva definito la possibilità di incontrare il presidente Xi Jinping prima della scadenza “improbabile.” Giovedì scorso, quando gli è stato chiesto se avrebbe incontrato Xi Jingping, ha risposto con un secco “no”. I mercati cinesi sono rimasti chiusi per il capodanno cinese, ma gli operatori finanziari di Hong Kong hanno già assunto un atteggiamento economicamente meno favorevole.

Non ci sono molti dubbi sul fatto che la Cina reagirà aumentando a propria volta i dazi, visto che entrambe le parti credono di poter soffocare l’altra quanto basta per riprendere le negoziazioni. A prescindere dal settore, l’economia globale è indissolubilmente legata sia alla Cina che agli Usa. La Cina è il maggior esportatore, con un export del valore di 2,263 trilioni di dollari nel 2017, stando ai dati dell’International Trade Centre: un aumento del 7,9% rispetto al 2016. Oltre il 40% di quelle merci sono state esportate in Nord America ed Europa.

La Cina è anche il secondo maggior importatore, subito dopo gli Stati Uniti, con un import pari a quasi 2 trilioni di dollari di merci nel 2017. Con i prezzi bassi della manodopera e un’incredibile abbondanza di lavoratori capaci, la Cina è il leader mondiale dell’industria manifatturiera, responsabile della metà della produzione globale. Di conseguenza, i dazi colpiscono un gran numero di aziende, molte delle quali hanno sede in Europa, ma hanno i propri centri di produzione in Cina.

Altre compagnie, come Bmw Ag e Daimler Ag, preferiscono tenere i propri centri di produzione negli Usa. Queste aziende tedesche possiedono fabbriche in Nord America da diversi decenni ed entrambe sono alla guida nelle esportazioni dell’industria automobilistica verso la Cina. Questo è un settore in cui la bilancia commerciale degli Stati Uniti è in positivo, ovvero in cui le esportazioni sono superiore alle importazioni. Nel 2017, Bmw ha inviato 100mila veicoli in Cina, tutti prodotti nel suo stabilimento in Carolina del Sud. Mercedes segue a breve distanza, con un export di 72mila automobili.

Le compagnie automobilistiche tedesche sono solo un esempio degli effetti negativi della guerra commerciale sino-americana. Se ci guardiamo un attimo intorno a casa nostra, probabilmente troveremo una manciata di prodotti senza nemmeno doverci alzare dalla sedia: frigoriferi, lavastoviglie, cellulari, televisori, console per videogame, e persino la camicia che abbiamo indosso. Con così tanti settori, aziende e Paesi che si ritrovano a fare il conto degli svantaggi della guerra commerciale, vale la pena chiedersi se ci siano dei vincitori in questo caos.

A dire il vero, alcuni Paesi ne trarranno beneficio, almeno nel breve periodo. Primo il Vietnam, il vicino del Sud della Cina, Questo Paese è diventato come una “seconda Cina” nel settore della produzione. Aveva già un ricco mercato manifatturiero, ma ora ci sono molte più aziende che stanno abbandonando la Cina, dirigendosi a Sud per evitare i dazi.

GoerTek, il produttore degli Apple AirPods, a ottobre ha annunciato di stare pianificando il trasloco dei suoi centri di produzione in Vietnam, identificando la guerra commerciale come il principale fattore dietro questa decisione. Anche Brooks Running Shoes, azienda finanziata dal miliardario Warren Buffett, sta meditando di lasciare la Cina per la stessa ragione.

Anche prima che i dazi entrassero in vigore, il Vietnam aveva sperimentato un aumento del Pil, cresciuto quasi del 7% da gennaio a settembre 2018. Le compagnie straniere hanno già guardato al Vietnam e ad altri Paesi dell’Asia sud-orientale per espandere le proprie capacità produttive e reagire alla crescita dei costi del lavoro e delle proprietà in Cina. Ora hanno tutte le ragioni per considerare nuove location.

Non solo le aziende cinesi si stanno spostando a Sud. In un sondaggio dall’American Chamber of Commerce, quasi il 20% delle 500 agenzie Usa ha pensato di lasciare la Cina, e molte l’hanno già fatto. Le delocalizzazioni sono rese più semplici da un aumento degli investimenti diretti esteri diretti regione. Gli investimenti in in campo manifatturiero sia in Thailandia che nelle Filippine sono schizzati alle stelle, aprendo la strada a più grandi opportunità di produzione.

La settimana scorsa la Conferenza delle Nazione Unite su Commercio e Sviluppo (Unctad) ha diffuso un report che analizza le ripercussioni della disputa commerciale. È stato rilevato che che dei 250 miliardi di dollari di merce tassata proveniente dalla Cina, l’82% sarà pagato soprattutto dai Paesi Ue. Allo stesso modo, l’85% delle merci dagli Stati Uniti sarà sostituito con merci provenienti da altri Paesi. Ci si aspetta che l’Ue ottenga nuovi guadagni commerciali per un valore di 70 miliardi di dollari. Messico, Giappone e Canada trarranno grandi benefici, ricevendo tutti più di 20 miliardi di dollari in scambi commerciali.

Infine, l’intera Ue può ottenere considerevoli vantaggi se spingerà per un maggiore accesso al mercato cinese. I leader Ue hanno discusso a lungo sul modo migliore per stabilire più scambi commerciali con la Cina, e nel 2016 hanno anche rilasciato una strategia dettagliata. Nel rapporto, la Commissione europea ha suggerito che l’Ue dovrebbe “promuovere la reciprocità, la creazione di un terreno comune e una concorrenza leale in tutte le aree di cooperazione,” nonché “cogliere nuove opportunità per rafforzare le proprie relazioni con la Cina”.

Adesso l’Ue ha le giuste leve per fare importanti passi in avanti nei suoi rapporti con la Cina, ma è improbabile che il Paese abbandoni tutte le sue pratiche commerciali sleali.

Nonostante i benefici economici che alcuni Paesi stanno traendo da questo scontro commerciale, i dati della Unctad avvertono che gli effetti negativi dei dazi con tutta probabilità si faranno prepotentemente sentire, specialmente se la guerra commerciale dovesse causare una crisi economica globale. E se il mercato finanziario sarà colpito, saranno soprattutto i Paesi in via di sviluppo a farne le spese.

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