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Mike Pompeonel rispondere alle domande di numerosi giornali europei tra cui il Corriere della Sera, ribadisce che gli Stati Uniti faranno il possibile per sostenere gli alleati europei nella lotta al coronavirus. Italia inclusa. “Non esiste alcun Paese che fornirà al mondo più aiuti e assistenze di quanto faranno gli Stati Uniti”, ha dichiarato il Segretario di Stato, “e questo vale anche per l’Italia”.

Il titolare di Foggy Bottom gioca al rilancio e cerca di ribaltare l’evidenza e la narrazione che vedono Washington in difficoltà nella “geopolitica” degli aiuti sanitari rispetto al rivale cinese. Tra donazioni pubbliche, iniziative private e corsie preferenziali per gli acquisti sanitari la Cina sta dispiegando una notevole potenza di fuoco per contrastare il Covid-19. Le inefficienze iniziali e i problemi di comunicazione che hanno favorito il contagio a Wuhan sono dimenticati, e dall’Italia all’Iran, dalla Spagna agli stessi Stati Uniti la Cina fa sentire la sua presenza.

Pompeo promette un grande rilancio dell’assistenza statunitense, pure in una fase in cui il contagio dilaga negli States e la dotazione di mascherine, ventilatori polmonari e dispositivi di protezione è sempre più messa sotto stress. Il 30 marzo scorso Donald Trump ha annunciato che strumenti e prodotti sanitari per 100 milioni di dollari saranno inviati dagli Stati Uniti all’Italia per la lotta contro il coronavirus, compresi i nuovi kit per i test veloci prodotti dalla Abbott. In Italia, la testata Formiche, che oltre ad essere un think tank di tutto rispetto è tra i capofila del partito atlantista, non ha mancato di sottolineare come l’aiuto a stelle e strisce si stia sostanziando sia attraverso l’assistenza pubblica che per mezzo del contributo di privati, come la multinazionale farmaceutica Lilly.

Pechino sta portando avanti, a ritmo serrato, l’edificazione di una vera e propria “Via della seta” della salute. A tal proposito l’analista Diego Angelo Bertozzi, tra i maggiori conoscitori italiani dell’Impero di Mezzo e autore di saggi sulla grand strategy di Xi Jinping, ha recentemente fatto notare che “mascherine e respiratori sono diventati un formidabile mezzo di proiezione internazionale in una situazione di difficoltà”, dato che oltre che all’Italia le forniture “sono giunte anche in Spagna, Olanda, Repubblica Ceca e Iran solo per citarne alcuni, e con un ruolo non secondario giocato anche da colossi privati (ma pienamente inseriti nella Bri) come Alibaba, Huawei e Zte. Oltre 50 Paesi africani riceveranno ciascuno 20mila kit per test, 100mila mascherine e 1.000 tute protettive”.

Ora come ora, specie nei confronti di un grande Paese del G7 come l’Italia, gli Stati Uniti non possono oggettivamente pensare di confrontarsi con questa mole di aiuti profusa da un Paese che ha già scavallato la fase più dura dell’emergenza. Gli assi nella manica che Washington punta a utilizzare sono due: da un lato la scoperta del vaccino per il Covid-19, di cui si stanno occupando diversi gruppi di ricerca negli States che lavorano a ritmo serrato, dall’altro la cooperazione nell’assistenza finanziaria. Pompeo non ha mancato di sottolineare la continua collaborazione tra il Segretario al Tesoro Steven Mnuchin e i colleghi di tutto il mondo. Gli Stati Uniti hanno deciso di agire in proprio come motori del rilancio della domanda a livello globale, mettendo in campo un piano anti-crisi degno di quello seguito alla Grande Depressione. Su questi fronti Washington può muoversi contando su una forza maggiore in materia rispetto alla Cina: ricerca ed economia sono strumenti della leadership statunitense e risultano terreni d’azione in cui Washington può costruire una risposta alla geopolitica sanitaria di Pechino. Per quanto i loro effetti siano destinati a dispiegarsi sul lungo periodo. Mentre nel breve termine la Cina riesce a capitalizzare un guadagno d’immagine grazie a mascherine e materiale medico.

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