Dopo giorni di silenzio, Washington si esprime sul caso Navalny, il dissidente russo che, secondo la ricostruzione degli inquirenti tedeschi, sarebbe stato avvelenato con il Novichok, un agente nervino prodotto in Unione Sovietica tra il 1970 ed il 1993.
A rompere gli indugi è stato proprio Mike Pompeo che ha ribadito che Washington e tutti i suoi alleati europei vogliono che la Russia “renda conto dei responsabili” e ha aggiunto che gli Stati Uniti cercheranno di identificare i colpevoli. “È qualcosa che esamineremo, valuteremo e ci assicureremo di fare ciò che dobbiamo fare per ridurre la probabilità che qualcosa di simile accada di nuovo” ha detto il segretario di Stato americano.
Sino a ieri l’amministrazione americana è stata sempre titubante nell’addossare la colpa del presunto avvelenamento di Navalny a Mosca: il presidente Donald Trump aveva affermato di “non aver ancora visto” le prove dell’avvelenamento, mentre la Germania aveva già sostenuto che era stato avvelenato da un agente nervino a seguito di analisi cliniche condotte all’ospedale Charité di Berlino, dove il russo è stato trasferito per essere curato.
Navalny era giunto in Germania dopo un braccio di ferro tra la sua famiglia e il governo russo, con il cancelliere tedesco Angela Merkel che addirittura aveva offerto asilo politico all’oppositore di Putin affinché le autorità di Mosca concedessero il trasferimento.
Durante questa vicenda il silenzio statunitense, con solo le parole del presidente Trump a commento, è apparso più fragoroso di una grancassa: mentre un alleato importante come la Germania era praticamente certo delle responsabilità russe, la Casa Bianca sembrava voler minimizzare.
Le parole di Pompeo in merito, che sovvertono questa tendenza, non devono però essere viste come un fulmine a ciel sereno.
La Casa Bianca ha, molto probabilmente, fatto tutta una serie di valutazioni di carattere interno ed esterno. In primis c’è da considerare che Trump si trova nel vivo della campagna elettorale, con le elezioni che ormai sono praticamente dietro l’angolo, e un atteggiamento accomodante nei confronti della Russia, di cui è stato sempre accusato dai Dem ma anche dai suoi stessi colleghi di partito, sarebbe assolutamente controproducente in questo senso, pertanto ha scelto di lasciare a Pompeo l’onere di fare il “cattivo” di turno, anche in considerazione del fatto che, per il modo stesso di gestire la presidenza che ha dimostrato di avere Trump, può aver pensato di recuperare i rapporti con Mosca con contatti personali di alto livello, come ha già fatto in passato.
Secondariamente c’è un aspetto geopolitico non indifferente da considerare, e riguarda proprio la Germania.
I rapporti tra Berlino e Washington sono, senza ombra di dubbio, ai minimi storici per tutta una serie di motivi che vanno dalla questione energetica legata al gasdotto Nord Stream 2, alla questione economica coi dazi su alluminio e acciaio, passando per quella industriale e militare: la Germania, infatti, viene accusata dalla Casa Bianca di non spendere abbastanza per la Difesa e, inoltre, di impiegare il denaro profuso per l’acquisto di armamenti non fabbricati negli Stati Uniti.
Questo ha portato, come concausa, alla decisione dell’esecutivo Usa di ridurre il numero di truppe stanziate nel Paese con la chiusura di basi importanti e lo spostamento di intere divisioni o stormi di cacciabombardieri sui territori di altri alleati della Nato.
Chi crede che sia l’unico motivo alla base di questo epocale provvedimento però sbaglia: la Casa Bianca ha pensato principalmente, così facendo, di venire incontro alle richieste degli alleati più orientali dell’Alleanza Atlantica, in particolare la Polonia, che si sentono particolarmente minacciati dall’attività russa ai propri confini soprattutto in considerazione di quanto avvenuto in Ucraina nel 2014, quando un vero e proprio putsch ha portato all’annessione della Crimea nella Federazione Russa.
Con delle simili contingenze gli Stati Uniti hanno forse pensato di allinearsi alla posizione della Germania, che resta pur sempre uno dei più importanti Paesi della Nato, per cercare sia di smorzare i toni della contesa tra Washington e Berlino, sia di dimostrare all’esterno l’unità dell’Alleanza in un momento storico così particolare, in cui sembra di essere tornati ai livelli di tensione che si vivevano al culmine della Guerra Fredda.
Da parte russa le parole di Pompeo hanno destato la reazione del vice ministro degli Esteri, Sergey Ryabkov, che ha riferito della possibilità più che reale che si giunga a nuove sanzioni internazionali. “Le sanzioni sono diventate uno strumento dominante della politica estera statunitense” ha detto Ryabkov ad Interfax “ma non è questo il motivo per cambiare qualcosa nel nostro approccio, che è assolutamente logico e spiegabile”.
Mosca ha protestato anche con la Germania per quelle che sostiene essere “accuse infondate” sulla questione Navalny. Il ministero degli Esteri russo ha precisato, durante un incontro con l’ambasciatore tedesco, che un eventuale rifiuto di Berlino di fornire informazioni sul caso sarebbe visto dal Cremlino come “una provocazione ostile” che sarebbe “carica di conseguenze” che riteniamo possano essere del tipo “energetico”.
La Russia ha l’impressione che la Germania si rifiuti di cooperare per motivi politici. A sostenerlo è sempre Ryabkov quando dice che “si ha sempre più l’impressione che essi stiano evitando questa cooperazione per qualche motivo politico. Ce ne rammarichiamo”. Il vice ministro degli Esteri russo potrebbe avere ragione: il caso Navalny si potrebbe considerare come una perfetta “colomba della pace” tra Washington e Berlino in un momento storico in cui i reciprochi rapporti, come abbiamo visto, non sono affatto idilliaci.