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La visita di Mike Pompeo a Roma ha conosciuto, all’ultimo, uno slittamento di 24 ore rispetto alle aspettative: invece che il 29 e il 30 settembre, infatti, Pompeo visiterà l’Urbe a partire dalla giornata odierna per lasciarla poi giovedì primo ottobre. I motivi di questo slittamento non sono chiari: errori di comunicazione iniziali? Volontà di non accavallarsi con il primo dibattito tra Donald Trump e Joe Biden? Necessità di riqualificare gli obiettivi della visita dopo il fallimento dell’ipotesi di un incontro con papa Francesco? Tutto può aver giocato un ruolo in questa intricata vicenda.

Ventiquattro ore in più potranno esser state comode all’ex capo della Cia per preparare al meglio i suoi appuntamenti romani, che spazieranno tra il Vaticano e i palazzi del potere italiani. Il triangolo Usa-Italia-Santa Sede ha in mezzo la Cina, convitato di pietra e oggetto del contendere delle discussioni. Sul fronte vaticano, anche dopo il diniego papale Pompeo continuerà con la strategia di massima pressione inaugurata dall’articolo su First Things nel quale il Segretario di Stato ha suggerito alla Santa Sede di interrompere l’accordo con Pechino sulla nomina dei vescovi. Francesco, sotto assedio per la pressione mediatica legata allo scandalo che ha coinvolto il cardinale Angelo Becciu e recentemente sfidato anche dall’anziano cardinale di Hong Kong Joseph Zenfieramente anti cinese, che è arrivato a Roma senza essere ricevuto dal pontefice, ha affidato la patata bollente della visita di Pompeo al suo Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin.

Sul fronte italiano, invece, Pompeo è pronto a incontrare Giuseppe Conte e Luigi Di Maio per trattare l’intricato dossier 5G. Su cui Roma si trova a metà del guado, tra investimenti consolidati di Huawei e una “pista atlantica” che gli Usa le chiedono di percorrere, chiudendo ai colossi tecnologici cinesi.

Pompeo e l’amministrazione Trump hanno alzato il livello del confronto con Pechino e vogliono spendere, anche in funzione elettorale, numerose energie diplomatiche per consolidare la sfida alla Cina. Con buona pace del governo italiano, da tempo oggetto di attenzioni a Washington per i legami con la Cina, nonostante i tentativi di Conte e compagni di mediare introducendo strumenti come il golden power rafforzato, il dossier più importante appare quello vaticano. Comprensibilmente: la Santa Sede è con ogni probabilità la terza grande potenza diplomatica mondiale dopo Washington e Pechino, e parafrasando il titolo di un libro di Massimo Franco Vaticano, Cina e Usa sono i tre “imperi paralleli” che a Roma si incontrano e, su molti dossier, discutono animatamente. Pompeo vede come fumo negli occhi un rinnovo degli accordi sino-vaticani che, pur avendo fino ad ora prodotto risultati altalenanti, sono un obiettivo della visione strategica del pontificato di Francescointento a lavorare per una transizione multipolare. Con Roma gli Usa puntano a usare la strategia del “bastone e della carota”, per citare quanto detto dal professor Carlo Pelanda a Il Sussidiario: Washington chiede spazio a Roma su temi strategici (5G) offrendo concessioni di matrice economica e di prestigio (come il coinvolgimento nel programma Artemis). Con una superpotenza diplomatica come il Vaticano la questione è ben più complessa.

Pompeo dovrà giocare tutte le sue carte in occasione dell’incontro con Parolin e il segretario per i rapporti con gli Stati, Paul Richard Gallagher, che avverrà in occasione del convegno organizzato dall’ambasciata statunitense presso la Santa Sede in occasione della visita di Pompeo, dal titolo: “Promuovere e difendere la libertà religiosa internazionale attraverso la diplomazia”. Il simposio è stato definito da una nostra fonte qualificata esperta di dinamiche vaticane come un’iniziativa politica pensata come “un altro affondo ai settori filocinesi presenti in Vaticano” dopo la visita di Zen. Gli Stati Uniti scoprono le carte, ma siamo sicuri che Pompeo abbia margini di manovra quando le posizioni di partenza sono così note? Nel silenzio, infatti, mentre l’annunciata visita di Pompeo prendeva forma, alla Santa Sede si preparava l’invio di una delegazione vaticana in Cina per rafforzare le trattative per il rinnovo dell’accordo, la cui partenza è stata annunciata proprio a poche ore dell’arrivo di Pompeo. La felpata e secolare arte diplomatica vaticana cura i dettagli e i tempi della comunicazione nel migliore dei modi: non ci sarà da stupirsi se sul fronte dell’Oltretevere Pompeo non riuscirà a ottenere risultati significativi. La visita romana del Segretario di Stato parte senza che da Washington si riesca a celare un palese nervosismo per la condotta procrastinatrice del Vaticano. Evidentemente intenzionato a rimandare a dopo le elezioni ogni confronto risolutore con gli Usa.

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