Con il 55,7% delle preferenze, Jair Bolsonaro è il nuovo presidente del Brasile. Un voto in totale discontinuità con il passato, che certifica il fallimento del progetto della sinistra di Lula, crollato sotto i colpi degli scandali di corruzione e della fine dell’illusorio boom verificatosi tra il 2003 e il 2010.

Bolsonaro è intenzionato a cambiare registro in tutti i campi, dall’economia, alla sicurezza, passando per l’immigrazione e le relazioni internazionali. Su quest’ultimo fronte, emergono ulteriori dettagli in merito alle strategie che il neo-presidente dovrebbe mettere in atto.





Fermare l’immigrazione dal Venezuela

La criticità che per motivi geografici deve essere affrontata nel breve periodo riguarda il confinante Venezuela, da cui, a causa dell’emergenza umanitaria in cui versa il Paese caraibico, si è originata un’emergenza migratoria che sta sfiancando lo stato settentrionale di Roraima. Sul tema,  Bolsonaro non solo ha più volte ribadito di voler fermare il flusso di migranti, ma ha anche manifestato la volontà di vedere Maduro defenestrato, non escludendo un intervento militare volto a rovesciare il governo bolivariano.

In Israele come Trump

La politica di Bolsonaro sarà nettamente filo-americana e filo-israeliana. Il leader del Psl è, infatti, intenzionato a stringere un saldo legame con Trump e Netanyahu, letteralmente imitando il presidente degli Stati Uniti nell’ambito del conflitto israelo-palestinese. Due segnali forti, in questa direzione, saranno inviati dal nuovo governo. Il primo consisterà nel trasferimento dell’ambasciata brasiliana in Israele (che sarà anche la prima mèta di un’eventuale visita istituzionale) da Tel Aviv a Gerusalemme, replicando la discussa scelta di Trump dello scorso maggio.

Il secondo, ancor più eloquente, sarà la chiusura dell’ambasciata palestinese a Brasilia. Secondo Bolsonaro, come dichiarato al quotidiano O Globo, La Palestina non è un paese, aggiungendo ironicamente che la presenza di una delegazione palestinese permanente quasi giustificherebbe che anche le Farc possano esigere di essere rappresentate.

Intentidiametralmenti opposti,insomma, rispetto al recente passato. Nel 2010, infatti, Lula aveva riconosciuto la Palestina come stato e Dilma Rousseff, che all’Onu si era espressa in favore del negoziato.

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 “Il Brasile non è in vendita”

A cambiare saranno anche i rapporti con la Cina, che per il Brasile rappresenta il principale partner economico, in quanto maggiore importatore ed esportatore. Bolsonaro vuole, ovviamente, mantenere le relazioni commerciali, ma allo stesso tempo intende porre un freno al sempre crescente acquisto da parte di holding cinesi di imprese brasiliane, soprattutto nel settore energetico. A questo proposito ha, infatti, dichiarato in un’intervista concessa alla radio Jovem Pan durante il ricovero ospedaliero successivo all’attentato dello scorso settembre: “Non possiamo permettere che la Cina o qualsiasi altro paese, anziché comprare in Brasile, compri il Brasile “.

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